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Al di là della Trinità "edipica" - e della terra e del sangue!!!

DONNE, UOMINI, E L’ALLEANZA "PREISTORICA" DELLA MADRE ("MARIA" - ELENA) CON IL FIGLIO ("GESU" - COSTANTINO): "L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE". CANTA ANCORA LA MESSA, QUESTA IDEOLOGIA "TEBANA" DELLA GRECIA ANTICA?!! Un commento di Lea Melandri, all’apertura "femminista" del Vaticano - a cura di Federico La Sala

sabato 21 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] l’attribuzione a un "ordine naturale" del potere insidioso e salvifico delle donne, legato alla loro capacità procreativa, non è solo il pesante retaggio dei fondamentalismi religiosi, ma una convinzione radicata nel senso comune di entrambi i sessi, incorporata nelle istituzioni della vita pubblica, nei suoi saperi e nei suoi linguaggi.
E’ l’atto di nascita, sovrano e guerresco, della pòlis, che, nonostante i grandi cambiamenti della storia, ancora accompagna la politica in tutte (...)

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> DONNE, UOMINI, E L’ALLEANZA "PREISTORICA" DELLA MADRE ("MARIA" - ELENA) CON IL FIGLIO ("GESU" - COSTANTINO): "L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE". CANTA ANCORA LA MESSA, QUESTA IDEOLOGIA "TEBANA" DELLA GRECIA ANTICA?!! Un commento di Lea Melandri, all’apertura "femminista" del Vaticano - a cura di pfls

sabato 21 luglio 2007

Il familismo italico e le sue madri-amanti

La sessualità, pur essendo uno dei principali ingredienti di cui sono fatte le relazioni private e pubbliche è solo nelle calde giornate di luglio e agosto che sembra prendersi la sua rivincita

di Lea Melandri (Liberazione, 21.07.2007, pp. 1, 6)

Ci sono temi il cui gradimento mediatico sale insieme alla temperatura, all’arrivo dell’estate, al clima vacanziero. La sessualità, pur essendo uno dei principali ingredienti di cui sono fatte le relazioni private e pubbliche, è solo nelle calde giornate di luglio e agosto che sembra prendersi la sua rivincita, guadagnando le prime pagine dei giornali, ma, soprattutto, costringendo una società che ne fa un uso smoderato e distratto a porsi qualche momentaneo interrogativo.

Dopo la battuta di Giuliano Amato sulla violenza contro le donne, a riattizzare l’interesse per una materia tanto importante quanto trascurata dal dibattito culturale e politico che si rispetta, è venuto il Financial Times con la denuncia di un’altra cattiva "abitudine" sessuale, questa volta marcatamente italica: «L’uso incongruo che viene fatto delle donne nella pubblicità», l’aspirazione diffusa delle teenager italiane a fare le veline, le vallette di quiz a premi, la persistenza di una femminilità "arcaica" -«mamme confinate in cucina a fare ravioli e figlie che cercano il successo attraverso la bellezza». Lasciando stare la nota di folclore sui ravioli, che anche le donne romagnole ormai comprano già fatti, non c’è dubbio che l’occhio straniero corre senza inciampi là dove noi esitiamo, mette, per così dire, il dito sulla piaga, segretamente compiaciuto di un confronto che gioca a suo favore. Da oggetto di violenza a oggetto di desiderio, le donne restano sempre e comunque "oggetto", rispetto a pensieri, pulsioni, valori che rimandano a un protagonista unico, il sesso maschile, ma con una differenza di non poco conto: nel proporsi come madri e seduttrici, ciò che è stato vissuto come imposizione, destino deciso da altri, viene assunto attivamente, agito come volontà propria.

Virginia Woolf, in un breve scritto del 1940 ("Pensieri di pace durante un’incursione aerea") con uno straordinario coraggio intellettuale, paragonava la smania di dominio dei soldati tedeschi e inglesi che si combattevano nel cielo di Londra, al potere che le donne trasferiscono sulla maternità e sulla bellezza: «Schiave che tentano di rendere schiavi gli altri». Nell’oscura commistione di amore e odio, assoggettamento e rivalsa, che si è andata storicamente depositando nel rapporto tra i sessi, risulta tutt’oggi molto difficile dire con chiarezza che cosa siano privilegi, responsabilità, scelte e adattamenti, felicità e sofferenza. La fissazione su un corpo femminile desiderato e temuto, isolato come un feticcio da ogni altra qualità che identifichi la donna come persona, nella sua interezza, suscita giustamente rabbia, quando la si vede agire nei rapporti tra adulti, quando, come ha scritto Mila Spicola su Repubblica del 17 luglio, lo sguardo insistente del "maschio italico" si posa su un bel fondo-schiena, una "qualità" «di cui non ho nessun merito; nonostante il mio quoziente intellettivo, la mia cultura, la mia ironia...». L’uso del proprio corpo come un’arma, un valore spendibile, può essere allora visto effettivamente come «rassegnazione a un pensiero unico sull’aspetto fisico e sul valore di mercato delle donne» (Maria Laura Rodotà, Corriere della sera , sempre il 17 luglio).

Il giudizio diventa meno semplice, o, se vogliamo, più imbarazzante, quando dobbiamo riconoscere - e nei commenti di questi giorni lo hanno fatto molte donne note per il loro impegno culturale e politico, come Chiara Saraceno e Dacia Maraini - che «anche donne capaci e intelligenti si sentono in dovere di presentarsi svestite e ammiccanti», che giornaliste e parlamentari «cercano di assomigliare a pin up». E’ la resa di un femminismo che non ha saputo dar seguito alla spinta rivoluzionaria dei suoi inizi -"modificazione di sé e del mondo"- e alla sua ostinata ricerca di autonomia, una visione del mondo capace di scalfire la divisione sessuale del lavoro e tutti i dualismi su cui si è costruita la civiltà? Oppure è l’oscura radice del dominio maschile e della differenziazione tra i sessi, che il femminismo non ha avuto il coraggio di affrontare, quell’enigma delle origini che ha a che fare con la nascita dal corpo femminile, con l’iniziale "co-identità" tra la madre e il figlio, e, soprattutto, con il prolungamento dell’infanzia che si materializza all’interno della famiglia e che ogni volta appiattisce l’amore di un uomo e di una donna su un legame di dipendenza materno-filiale?

Il corpo con cui l’uomo-figlio è stato tutt’uno, in un rapporto di fusione perfetta che riemerge idealizzato nella nostalgia di un padre, di un marito, di un amante, o, stravolto, nell’uso proprietario della donna, è quello che gli ha dato insieme al nutrimento le prime sollecitazioni sessuali. La madre e la seduttrice sono le figure salvifiche e minacciose che segnano le prime esperienze dell’infanzia e, al medesimo tempo, i ruoli che il patriarcato assegna all’altro sesso.

Infanzia e storia non sono separate, ma non sono neppure riducibili l’una all’altra, così come l’individuo non può essere visto come un puro prodotto della società. Nel modo con cui l’uomo continua a guardare la donna, privilegiando le sue ‘qualità’ corporee più che le sue doti intellettuali, considerandola un "genere" anziché una persona, si mescolano confusamente le fantasie tenere o violente del bambino che è stato e i privilegi che gli garantisce un modello maschilista di società.

E’ questo annodamento che impedisce al rapporto uomo-donna di prendere, nelle analisi e pratiche politiche, la centralità che ha nella vita quotidiana di ogni individuo, maschio e femmina?

Il corpo femminile, e i corpi in generale, non potranno mai essere soltanto una "risorsa" da sfruttare, una "merce" o un "oggetto di piacere", perché trattengono una "preistoria" fatta di accadimenti destinati a lasciare un segno duraturo, una "memoria" che continua a ripetersi, o riproporsi in cerca di nuove soluzioni. Un cambiamento significativo di modelli nelle istituzioni della vita pubblica, a partire dalla famiglia e dalla scuola, dalla centralità che vi ha ancora, nella sua ambiguità di "serva-padrona", la figura femminile, consentirebbe a quanto di "arcaico" si è depositato nelle singole vite di trovare vie d’uscita e risposte diverse.

Se questi interrogativi, che vanno a scavare in zone profonde, inesplorate dell’esperienza, sono rimasti a margine anche del movimento delle donne, forse è perché sfuggono alla logica che separa nettamente la vittima dall’aggressore, l’amore dall’odio. Il femminismo italiano, che non è affatto scomparso, pensa che l’immagine femminile diffusa dalla pubblicità e dai media sia degradante, ma non fa nulla per combatterla. Penso che non sia solo per paura di cadute moralistiche o perché non ama la censura. Il persistere del familismo, anche in presenza di una crisi incontestabile dell’istituto famigliare, dice che le donne, pur emancipate, non rinunciano facilmente a quel ruolo di madri e di ‘seduttrici’ che da loro il potere, in gran parte fantasmatico, di sentirsi necessarie, indispensabili all’altro.


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