25 aprile troppo, troppo poco
di GIOVANNI DE LUNA (La Stampa, 25/4/2007)
Dal fastidio per un eccesso ridondante e celebrativo, al disagio per un imbarazzante silenzio. Nel congresso di scioglimento dei Ds, come nel Pantheon del nuovo partito democratico, non c’è traccia di un qualche richiamo all’antifascismo. Certo, se si ritorna ad alcune immagini degli Anni 80 (Craxi che inaugura una caserma della Guardia di Finanza a Milano o Gava davanti al monumento allo scugnizzo a Napoli), si ha l’impressione che quelle celebrazioni servissero ormai solo a mascherare il desolante vuoto di credibilità in cui stava per inabissarsi quella classe politica, aggrappata al carisma di Pertini e a un passato che stava inesorabilmente per passare. E potrebbe anche essere legittimo considerare quel tipo di antifascismo sepolto insieme alle macerie del Novecento, in un processo che avrebbe visto progressivamente esaurirsi tutti i valori culturali, politici e esistenziali che vi erano racchiusi. Ma allora bisognerebbe dirlo, dichiarare di considerare esaurita una pagina della nostra storia che pure continua a vivere nel patto fondativo della Repubblica.
E’ un’operazione che il centro-destra ha già compiuto da tempo, nei fatti più che nelle parole. In questo Fini e Berlusconi si sono discostati dal «modello Sarzoky», che ha costruito il suo recinto elettorale innalzando contro Le Pen proprio lo steccato dell’antifascismo: ma il primo nasce da Salò, non da De Gaulle; e il secondo, senza tante sottigliezze politiche, si è dichiarato «allergico» al 25 Aprile. Ora anche il centro-sinistra sembra avviarsi su questa strada. Se ne possono intuire le ragioni. La prima. L’idea della «fusione fredda», cioè di un profilo debole con poco spazio per le ragioni identitarie e per le radici storiche, è sembrata ai fondatori del nuovo partito democratico tremendamente efficace, quasi che - per assurdo - più larghe siano le maglie della rete, più pesci sia possibile catturare. La seconda. Le disinvolte omissioni sul passato sono servite a rafforzare le immagini di una formazione politica totalmente nuova, tutta proiettata verso il futuro, senza gli impacci della tradizione e il peso di ingombranti eredità novecentesche. La terza. L’antifascismo come valore consiste essenzialmente nella scelta da quale parte stare. Fu così per l’esigua minoranza che «scelse» di mettersi contro la maggioranza di questo Paese al tempo del fascismo; fu così per le attive e coraggiose minoranze di massa che scelsero la lotta armata contro i nazisti e i fascisti al tempo della Resistenza. Ora il nuovo partito democratico nasce esplicitamente con l’intenzione di intercettare il consenso della maggioranza degli italiani, di essere un partito in grado di vincere le elezioni e non ha nessun interesse a coltivare la memoria di quelle che furono minoranze per quanto eroiche e importanti siano state per la nostra storia. Per il resto, mi pare che proprio la «scelta» sia stata almeno per il momento accantonata dall’universo dei valori a cui si ispira il nuovo partito, relegando in imprecisato futuro il momento in cui sarà necessario districarsi tra le varie «fratture» che ne attraversano la variegata composizione.
Quale che sia la fondatezza di queste ragioni, restano però alcune contraddizioni, in particolare per quanto riguarda il cosiddetto «Pantheon». È subito apparso un problema complicato, tanto da alimentare in qualcuno la tentazione di una sorta di bricolage «fai da te», lasciando tutti liberi di costruirsene uno in proprio, mettendoci Martin Luther King e Dossetti, secondo le personali inclinazioni. In realtà, leggendo i nomi che sono affiorati nei dibattiti congressuali, almeno quelli che appartengono alla storia del Novecento italiano, da De Gasperi a Riccardo Lombardi, da Gramsci a La Malfa, si capisce come l’unica cosa che hanno in comune sia esclusivamente l’antifascismo. Perfino l’azzardo storico dell’accostamento tra Craxi e Berlinguer può trovare una sua pallida giustificazione solo in quell’ambito. Tanto vale allora esplicitarlo e non lasciarlo confinato solo nella pura elencazione dei nomi. Più in generale credo che un partito che in Italia si dichiari democratico debba tener conto della specificità assunta dall’antifascismo italiano rispetto a quello europeo. Qui da noi il nesso con la democrazia è stato così forte da apparire quasi inscindibile. L’antifascismo scaturisce dall’esigenza di combattere un regime totalitario, quel fascismo che purtroppo rimane il lascito più significativo dell’Italia alla storia del Novecento. Nasce nel segno della libertà contro la dittatura. E questo suo patrimonio genetico è stato così forte da condizionare nel senso della democrazia e della libertà lo stesso partito comunista che in Italia si è sottratto agli esiti totalitari e statolatrici delle altre esperienze del comunismo europeo. Dalla sintesi tra democrazia e antifascismo, dal modo in cui i due termini si innervarono reciprocamente, nacque la Repubblica. La Costituzione è l’unica della nostra storia unitaria a scaturire da un’Assemblea Costituente ed è stato l’antifascismo, attraverso la Resistenza, a realizzare quello che era sempre stato il sogno inappagato di una democrazia compiuta.