Inviare un messaggio

In risposta a:
Poesia della settimana

Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani - di Piero Calamandrei

mercoledì 25 aprile 2007 di Vincenzo Tiano
Epigrafe di PIERO CALAMANDREI *
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro (...)

In risposta a:

> Lo avrai camerata Kesselring il monumento --- Il 24 marzo 1944 la strage nazista a Roma. Fosse Ardeatine, l’anti-monumento oltre la retorica

lunedì 24 marzo 2014

L’altra memoria

Il 24 marzo 1944 la strage nazista a Roma. Oggi la studiosa Adachiara Zevi svela come il mausoleo che la ricorda cambia il nostro sguardo sulla storia

Fosse Ardeatine, l’anti-monumento oltre la retorica

di Simonetta Fiori (la Repubblica, 24.03.2014)


Siamo abituati a conoscerle come il luogo in cui molte storie finiscono. In realtà dalle Fosse Ardeatine riparte un’altra storia, che è un modo nuovo di vivere la memoria. Se è ormai sedimentato l’accadimento storico - trecentotrentacinque persone ammazzate dai nazifascisti per rappresaglia, il 24 marzo di settant’anni fa - è meno conosciuto il ruolo dirompente esercitato dal mausoleo che lo ricorda. Una svolta radicale nello sguardo sulla storia.

«I suoi meriti sono spesso ignorati», racconta Adachiara Zevi, storica dell’arte che ha a lungo lavorato sul rapporto tra architettura e memoria. Le Fosse Ardeatine occupano i primi capitoli del suo nuovo libro Monumenti per difetto, un’appassionante galleria di “antimonumenti” giocati più sull’afasia che sulla ridondanza (Donzelli, pagg. 226, euro 21).

«Per la prima volta il mausoleo romano propone non un oggetto da contemplare, ma un percorso da attraversare per rivivere anche emotivamente l’esperienza delle vittime ». Un’idea che nel lungo dopoguerra avrebbe fatto scuola, ripresa a Gerusalemme dal museo Yad Vashem e a Berlino dal memoriale di Peter Eisenman. Fino al museo diffuso delle “pietre d’inciampo”, piccoli sampietrini disseminati per le strade d’Europa che - ricordandone il nome e il destino tragico - restituiscono dignità a dieci milioni di deportati.

Questo capovolgimento architettonico cominciò nella Roma appena liberata dai tedeschi. Come tutte le piccole rivoluzioni, fu accompagnata da aspre contese che divisero architetti, artisti e famiglie di estrazione sociale molto diversa. Nel luglio del 1944 - appena quattro mesi dopo la strage e un mese dopo la liberazione di Roma - il Governo decise di dare degna sepoltura alle vittime in una forma monumentale che sarebbe dovuta diventare il simbolo della lotta al nazifascismo.

Si trattò del primo concorso pubblico dell’Italia democratica. La gara fu vinta dal progetto più sobrio ed essenziale, firmato da Mario Fiorentino, Giuseppe Perugini e Nello Aprile, che però scontentava le famiglie che avrebbero voluto una soluzione più altisonante. Dopo varie mediazioni, nel novembre del 1947, comincia la costruzione del mausoleo destinato a rovesciare lo sguardo sul passato. La conquista della libertà coincide con la vittoria sulla retorica e sul trionfalismo. «Non si assiste più alla rappresentazione statica della storia», spiega la Zevi, «ma si è costretti a riviverla, diventando testimoni. Meno il monumento parla, più si è lasciati liberi di elaborare una personale memoria».

Nel caso delle Fosse Ardeatine il centro del memoriale è un piazzale vuoto. «Per la prima volta il fulcro di un monumento è un’assenza. Sono le cose intorno che definiscono questo spazio: le cave, il sacrario, la scultura di Coccia con i tre personaggi dalle mani legate». In quel “vuoto”, nel piazzale centrale, furono risucchiati settant’anni fa 335 innocenti. Scaricati dai camion tedeschi che li avevano prelevati a Regina Coeli, in via Tasso e in ogni punto della città. Ebrei, cattolici, atei. Molti militari, ma anche liberi professionisti, studenti, impiegati, artisti, commercianti, agricoltori, artigiani, operai. Anche un sacerdote e un diplomatico.

Anche stranieri. Arrivano da tutti i quartieri di Roma, Trastevere e Montesacro, Torpignattara e Trionfale, Portico di Ottavia e Centocelle, Testaccio e La Storta. Furono presi perché esercitavano un impegno attivo nella resistenza o perché ebrei o per essersi trovati per caso nel luogo sbagliato. Il giorno prima un gruppo di partigiani aveva lanciato una bomba contro una colonna tedesca di poliziotti in via Rasella: trentadue persero la vita. La rappresaglia nazista fu immediata: dieci fucilazioni per ogni tedesco ammazzato.

«L’unica strage metropolitana avvenuta in Europa», la definisce Alessandro Portelli, che ha scritto sull’eccidio pagine fondamentali. «Non solo l’unica perpetrata dentro uno spazio urbano, ma l’unica che nella eterogeneità delle vittime riassuma tutta la complessa stratificazione di storie di una grande città».

Dal piazzale centrale del mausoleo si possono seguire le vittime dentro le cave di pozzolana, nel punto esatto dove furono sterminate. Un cancello in bronzo di Mirko delimita il luogo della carneficina. L’ombra della caverna è stemperata da un po’ di luce che filtra dall’alto: sono i crateri aperti dalle bombe fatte esplodere dai tedeschi perché i cadaveri non fossero mai ritrovati.

All’uscita dalle cave si può imboccare la strada del sacrario: 335 sepolcri in granito monzonite alleggerito dalla lama di luce che cade dalla fenditura in alto sulla parete. «Una soluzione che sembra anticipare le finestre di luce colorata progettate negli anni Settanta sulla costa californiana da Maria Nordman, Robert Irwin e James Turrell». Anche questa un’idea architettonica che lascerà una traccia nei memoriali successivi.

Così come sarà ripresa la mescolanza di codici espressivi distanti, «tra il carattere realistico della scultura di Coccia, l’astrazione geometrica del progetto di Perugini e Fiorentino e la contorsione espressionista di Mirko», allora contestata da alcune famiglie ma difesa da Argan e Venturi. «Il mausoleo », dice la Zevi, «evoca una sorta di palcoscenico dove sono esposti linguaggi artistici e architettonici nel punto in cui l’oscuranti-smo fascista li aveva interrotti». Ed è grazie all’arte, scrive Lewis Mumford, che «da vittime transitorie » i morti diventano «vincitori permanenti».

C’è meno armonia nella memoria dell’evento, che nonostante le ricerche storiche di Portelli rimane ancora divisa. Un nuovo senso comune, alimentato soprattutto negli anni Novanta nel segno dell’“anti antifascismo”, ha caricato di responsabilità gli artefici dell’attentato di via Rasella: la loro colpa sarebbe quella di non essersi costituiti. In realtà i documenti mostrano come da parte tedesca non ci fu nessuna richiesta di costituirsi per evitare la rappresaglia, che fu decisa immediatamente da Hitler. E nonostante ben tre sentenze assolvano mandanti ed esecutori di via Rasella, c’è ancora chi sporca la memoria partigiana.

Non c’è eco di queste divisioni nel memoriale delle Ardeatine, che anche oggi ospiterà la cerimonia ufficiale con il presidente della Repubblica. Ma un rito non meno importante avverrà nel pomeriggio in via Urbana, nel quartiere Monti, dove sarà rimessa a posto la pietra d’inciampo dedicata a don Pappagallo, il prete interpretato da Fabrizi in Roma Città aperta, una delle vittime delle Ardeatine. Tredici di loro hanno avuto il loro sampietrino, realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig.
-  L’idea è che nella storia si deva inciampare, soprattutto emotivamente. Qualcuno non gradisce, e la pietra di don Pappagallo è stata divelta per due volte. Oggi il sacerdote riavrà il suo Stolperstein, la sua pietra d’inciampo. Perché il verbo stolpern in tedesco significa inciampare ma anche ricordare.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: