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Poesia della settimana

Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani - di Piero Calamandrei

mercoledì 25 aprile 2007 di Vincenzo Tiano
Epigrafe di PIERO CALAMANDREI *
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro (...)

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> Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani - di Piero Calamandrei

venerdì 25 aprile 2014

La mostruosa normalità di un sistema corruttivo

di Paolo Favilli (il manifesto, 25 aprile 2014)

L’uso senza limiti del lin­guag­gio iper­bo­lico in un dibat­tito poli­tico quasi sem­pre privo di spes­sore ana­li­tico ci sta pri­vando della pos­si­bi­lità di orien­tarci. Se la poli­tica finan­zia­ria con­nessa all’attuale gestione dell’euro diventa "Ausch­witz". Se ogni appro­va­zione di leggi da parte della mag­gio­ranza (spesso dav­vero ingiu­ste e intrise di con­flitti d’interessi) diventa "colpo di stato". Se la reale ten­denza al pro­gres­sivo con­cen­trarsi del potere in ristrette oli­gar­chie diventa "ritorno al fasci­smo", ebbene la spe­ci­fi­cità e il peso di ogni feno­meno scom­pa­iono ed orien­tarsi in «"una notte in cui tutte la vac­che sono nere" è impresa assai dif­fi­cile.

In un arti­colo apparso su que­sto gior­nale qual­che giorno fa (15 aprile,Berlusconi-Napolitano «gli esiti cri­mi­nali della poli­tica sepa­rata») ho usato anch’io tinte molto forti. Si tratta, però, e credo che que­sta affer­ma­zione possa reg­gere l’onere della prova, di un lin­guag­gio con alto grado di mimesi nei con­fronti della realtà. Il pro­blema è che il feno­meno al cen­tro di quello scritto, se ana­liz­zato dav­vero, è in grado di pro­durre disve­la­menti, tanto sull’oggi che su un iti­ne­ra­rio sto­rico ven­ten­nale, che i faci­tori di opi­nione sem­brano impos­si­bi­li­tati a sop­por­tare. Meglio la rimozione.

Luigi Pin­tor diceva che dopo mez­zo­giorno con il quo­ti­diano si pote­vano incar­tare le patate. Visto con quanta faci­lità si dimen­tica, mi si scu­serà se fac­cio rife­ri­mento all’articolo citato. I dati di fatto non sono con­tro­ver­ti­bili. Dall’insieme delle sen­tenze rela­tive a Ber­lu­sconi, Pre­viti, Dell’Utri (su quest’ultimo si attende ancora quella defi­ni­tiva della Cas­sa­zione che, come ricor­diamo, non è giu­dice di merito) emerge un qua­dro cri­mi­nale impres­sio­nante.

Il cen­tro del qua­dro è rap­pre­sen­tato da un enorme e rami­fi­cato sistema cor­rut­tivo espanso in tutte le pos­si­bili varianti. Il sistema cor­rut­tivo è neces­sità fun­zio­nale come uscita di sicu­rezza per una mol­te­pli­cità di com­por­ta­menti delin­quen­ziali. La poli­tica è una delle varianti più impor­tanti tanto come uscita di sicu­rezza che come luogo pri­vi­le­giato del cir­cuito potere-denaro.

La triade sud­detta è stata il ful­cro, il sog­getto agente della costru­zione di un sog­getto poli­tico che per lun­ghi anni ha eser­ci­tato il potere ad ogni livello della vita pub­blica. Ancora oggi il sog­getto creato vent’anni fa è tutt’altro che mar­gi­nale e le sue pro­spet­tive non sono neces­sa­ria­mente per­denti.

Natu­ral­mente sarebbe una scioc­chezza pen­sare che il suc­cesso di quella forza poli­tica sia deri­vato da una logica cri­mi­nale, ma quella logica, tenuto conto del ruolo cen­trale della triade, ha infor­mato di sé aspetti impor­tan­tis­simi delle pra­ti­che di governo. Inol­tre è stato punto di rife­ri­mento legit­ti­mante di ana­lo­ghe pra­ti­che locali: il para­digma Cosen­tino si com­prende meglio nell’ambito di tale insieme strutturale.

Per la prima volta nella sto­ria dell’Italia repub­bli­cana i gan­gli fon­da­men­tali della vita poli­tica si tro­vano ad essere intrin­se­ca­mente legati a una ope­ra­zione cri­mi­nale. Di fronte a tutto ciò ci tro­viamo a vivere in una situa­zione di "nor­ma­lità mostruosa", come potremmo defi­nirla con un ossi­moro. Mostruosa: sia come feno­meno straor­di­na­rio, che suscita stu­pore, sia come feno­meno orri­bile. Nor­ma­lità: in quanto lo svol­gi­mento della vita poli­tica non è asso­lu­ta­mente toc­cato dalla mostruo­sità.

Si pensi solo alla leg­ge­rezza con cui auto­re­voli edi­to­ria­li­sti di auto­re­voli quo­ti­diani hanno trat­tato que­sto enorme peso che grava su tutta la nostra vita etico-civile. Com­men­tando la sen­tenza che ha fis­sato la pena (si fa per dire) rie­du­ca­tiva per il delin­quente, ci viene data l’immagine di un uomo "dolo­rante die­tro l’eterno sor­riso (...) un uomo che merita rispetto", un uomo i cui errori sono quelli di non aver fatto le riforme pro­messe, un uomo che però ha defi­ni­ti­va­mente supe­rato una "guerra giu­di­zia­ria" finita da tempo (Mas­simo Franco, Cor­riere della sera, 16 aprile).

E anche dal fronte per­vi­ca­ce­mente anti­ber­lu­sco­niano (la Repub­blica), dopo aver messo giu­sta­mente in rilievo lo "sta­tus par­ti­co­lare" che spiega l’agibilità poli­tica con­cessa al delin­quente, non si fa una piega di fronte alla "neces­sità" di farne un padre della patria, visto che Renzi avrebbe avuto una via "quasi obbli­gata" (Mas­simo Gian­nini, 16 aprile).

L’espressione "non ci sono alter­na­tive", non casual­mente una delle pre­fe­rite da Mar­ga­ret That­cher per giu­sti­fi­care la duris­sima repres­sione sociale, è, in genere, causa delle mag­giori nefan­dezze. Nel nostro caso non si tratta di "neces­sità» bensì di una con­cla­mata «sin­to­nia» per una pro­spet­tiva di bipar­ti­ti­smo for­zoso su cui Renzi e Ber­lu­sconi gio­cano il futuro delle loro for­tune poli­ti­che.

Ma la que­stione cen­trale su cui gli auto­re­voli opi­nio­ni­sti svo­laz­zano entrambi, l’uno auspi­cando il supe­ra­mento defi­ni­tivo di «una guerra finita da tempo», l’altro facendo appello allo stato di neces­sità, è la com­pa­ti­bi­lità del qua­dro che esce dalle sen­tenze Ber­lu­sconi, Dell’Utri, Pre­viti, con qual­siasi ruolo di rile­vanza poli­tica, figu­ria­moci con quello di «padre della patria». In realtà, su que­sto, la guerra non c’è mai stata.

Il dilemma, in fondo, è piut­to­sto sem­plice: le sen­tenze dicono il vero o sono il frutto della fal­si­fi­ca­zione di una magi­stra­tura poli­ti­ciz­zata? La seconda ipo­tesi è soste­nuta, con forza, non solo dai con­dan­nati, ma da aree poli­ti­che e d’opinione rela­ti­va­mente ampie. Gli auto­re­voli devono dirci se la con­di­vi­dono o meno. Penso di sì, per­ché è l’unica ipo­tesi in per­fetta coe­renza con i loro svo­laz­za­menti. Diranno che Ber­lu­sconi ha i voti e il loro è sem­pli­ce­mente rea­li­smo poli­tico. Non di rea­li­smo si tratta, invece, ma dell’accettazione, della con­di­vi­sione di quello stato di necrosi che carat­te­rizza il tes­suto con­net­tivo civile in Italia.

Ovvia­mente è del tutto inu­tile chie­dere ai molti «auto­re­voli» di uscire dal recinto in cui stanno comodi e pro­tetti, ma forse non è inu­tile chie­dere a chi sta fuori il recinto, in vari e arti­co­lati modi, di assu­mere il qua­dro che emerge dalle sen­tenze come uno dei pro­blemi essen­ziali delle ini­zia­tive poli­ti­che in corso.

Il ber­lu­sco­ni­smo non è il fasci­smo, certo, ma il solo modo di uscirne dav­vero è quello della cesura netta, sia pure in forme diverse, con la quale l’Italia è uscita dal fasci­smo. Sap­piamo bene che nem­meno le cesure sono in grado di tagliare davvero la vischio­sità pro­fonda dei pro­cessi sto­rici, pur tut­ta­via sono i soli momenti che pos­sono segnare una, sep­pur par­ziale, discon­ti­nuità radicale.

I com­pa­gni, i pro­fes­so­roni, i pro­fes­sori qual­siasi (come chi scrive), devono pren­dere coscienza che anche que­sta via d’uscita dal ber­lu­sco­ni­smo, e da tutti gli affi­ni­smi col ber­lu­sco­ni­smo, è una «via mae­stra». La bat­ta­glia dif­fi­cile per l’affermazione della lista L’altra Europa con Tsi­pras non può igno­rare il pro­blema. L’Italia deve pre­sen­tarsi in Europa anche con una forza che rap­pre­senti dav­vero l’antitesi a un volto del paese sfi­gu­rato dal morbo criminal-politico. Frutto di quella «pas­sata di peste» che Paolo Vol­poni, pro­fe­ti­ca­mente, aveva visto soprag­giun­gere più di vent’anni fa.


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