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Poesia della settimana

Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani - di Piero Calamandrei

mercoledì 25 aprile 2007 di Vincenzo Tiano
Epigrafe di PIERO CALAMANDREI *
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro (...)

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> Lo avrai camerata Kesselring il monumento ---- Roma sotto il dominio della svastica. L’anniversario della Liberazione. Gli americani entrano a Roma. “Il medioevo nazista è finito”

mercoledì 4 giugno 2014

Nove mesi di fame, torture, razzie

Roma sotto il dominio della svastica

di Paolo Conti (Corriere della Sera, 04.06.2014)

«Senza quelle truppe oggi non saremmo liberi e sicuramente non saremmo mai nati», ricordava ieri il presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, celebrando la riapertura del Tempio ebraico maggiore il 4 giugno 1944, il giorno della Liberazione di Roma da parte degli alleati angloamericani. Un episodio straordinario. Un soldato americano di fede ebraica, Aron Colub, appena entrato nella Roma liberata, passa su una camionetta sul lungotevere. Chiede di fermarsi alla Sinagoga romana, vuole pregare. Ma scopre che è stata sigillata dai nazisti durante la feroce occupazione della capitale (gli occupanti tedeschi erano in fuga dall’alba). L’ufficiale scende, si arma molto semplicemente di un piede di porco, rompe i sigilli, riapre il portone e restituisce il Tempio agli ebrei romani scampati alla razzia e alla deportazione nazista nei campi di concentramento.

Oggi alla Camera dei deputati, nelle sale della Biblioteca a palazzo San Macuto in via del Seminario 76, il presidente Giorgio Napolitano inaugura alle 17 la bella mostra «1943-1944. Roma dall’occupazione alla liberazione», che rimarrà aperta fino al 4 luglio (tutti i giorni dalle 10 alle 18.30, sabato 10-12.30, domenica chiuso).

Un’ampia rassegna documentaria che conta, oltre ai contributi della stessa Biblioteca, numerosi apporti: Roma Capitale, Agenzia Ansa, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Comunità ebraica romana, Fondazione museo della Shoah, Istituto Cinecittà Luce, Museo storico della Liberazione, Rai Storia. Ma ci saranno anche documenti e testimonianze affidate dalle famiglie Amendola, De Mata, Ghisalberti, Nenni, Osti Guerrazzi e Siglienti.

Il filo conduttore della mostra, organizzata sui due piani principali della Biblioteca, è il punto di vista della gente comune di Roma. Cioè le sofferenze quotidiane dei romani raccontate dalla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 fino alla mattina del 4 giugno 1944, quando le truppe alleate entrarono in città guidate dal generale americano Mark Wayne Clark.

Un vasto capitolo riguarderà ovviamente l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943 e la Resistenza: e quindi i sabotaggi, le azioni «diffuse» nella città, i luoghi della repressione nazista, la prigione di via Tasso, le Fosse Ardeatine. Un altro racconterà la tragedia degli ebrei romani: la deportazione, il 16 ottobre 1943, i rastrellamenti successivi in tutti i quartieri di Roma (ora testimoniati dalle «pietre d’inciampo» collocate dall’artista tedesco Gunter Demnig).

La Comunità ebraica ha prestato numerosi documenti di proprietà del Museo ebraico di Roma, in particolare quelli che ricostruiscono la consegna dei cinquanta chili d’oro agli occupanti nazisti. Poi ci sarà la ricostruzione dello sbarco alleato ad Anzio, la cronistoria della rinascita della vita politica democratica. Infine l’arrivo degli Alleati, la fuga dei nazifascisti, i primi processi, le epurazioni, il ripristino delle libertà civili e del multipartitismo.

Colpirà sicuramente i più giovani quella paginata dedicata dal rotocalco in bianco e nero «La settimana» alla disperazione dei romani, poco dopo la Liberazione. Titolo in prima pagina: «La fame assedia Roma» , con un grafico molto esplicito e di grande effetto. Dentro, un reportage che testimonia l’epidemia di tubercolosi a Tormarancio, la mancanza di acqua, luce e gas, le altre malattie legate alla scarsa e cattiva alimentazione. Una donna di appena trent’anni, ma con l’aspetto di un’anziana cadente, si fa fotografare e grida: «Adesso, questi scatti appendeteli a palazzo Venezia!» Ovvero sotto al famoso balcone che era stato, per vent’anni, il pulpito usato da Benito Mussolini per i suoi discorsi da Duce del fascismo.

Ci sarà anche una sezione di audiovisivi: dall’Archivio Luce arrivano documentari storici e famosi come Giorni di gloria di Luchino Visconti e Marcello Pagliero del 1944-45 (le terribili riprese della dissepoltura dei martiri delle Fosse Ardeatine, del processo alla Banda Koch), Roma città indifesa di Iacopo Rizza del 1963 e Roma occupata di Ansano Giannarelli del 1984. Domenica 8 giugno, durante un’apertura straordinaria della mostra dalle 16 alle 21, è prevista anche la proiezione di Roma città aperta di Roberto Rossellini e del documentario 4 giugno 1944 .


-  L’anniversario della Liberazione
-  Gli americani entrano a Roma
-  “Il medioevo nazista è finito”

-  di Umberto Gentiloni (La Stampa, 04.06.2014)

Il 4 giugno di settant’anni fa la diffidenza della popolazione si trasformò in gioia Il 4 giugno 1944 è una domenica, 271mo giorno dell’occupazione nazista di Roma iniziata la sera di mercoledì 8 settembre 1943 a seguito dell’armistizio.

All’alba di Settant’anni fa le prime pattuglie statunitensi entrano in città. L’accesso è rischioso: imprevisti, rallentamenti e presenza di truppe tedesche nei punti di scorrimento verso il cuore della capitale. La Wehrmacht ripiega verso nord, i primi soldati alleati entrano con circospezione, spingendosi fin dentro le antiche mura. Non c’è quasi traccia degli occupanti, le vie sono sgombre, alcuni cecchini rimangono nascosti nelle proprie postazioni. Si spara fino a tarda sera; alle 21 in piazza di Spagna un conflitto a fuoco coinvolge gruppi di nazisti, fascisti e alleati. L’ultima strage avviene alla Storta dove vengono fucilati quattordici prigionieri prelevati dalla prigione nazista di via Tasso. L’esito dei combattimenti è scontato. Roma è libera. “Elefante!” la parola in codice diffusa da Radio Londra. Il 5 giugno viene colpito Ugo Forno, un bambino di dodici anni che aveva deciso di proteggere un ponte di ferro sul fiume Aniene.

La liberazione di Roma diventa un obiettivo strategico per il buon esito della campagna d’Italia: impegnare divisioni tedesche sul fronte meridionale e lanciare un messaggio d’incoraggiamento al movimento partigiano e ai diversi teatri di guerra. Nei piani degli alti comandi la presa della capitale avrebbe dovuto seguire di qualche settimana lo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944, Operazione Shingle. Ma il cammino viene presto interrotto dalle capacità di difesa dei tedeschi e dagli errori di una condotta che rallentò invece di accelerare la direzione di marcia.

La dialettica difficile tra Washington e Londra condiziona pesantemente la strategia militare e l’indirizzo politico delle operazioni sul territorio della penisola italiana. Per uscire dallo stallo, ai primi di maggio, prende avvio una nuova offensiva, l’Operazione Diadem articolata su due direttrici: lo sfondamento della Linea Gustav nei pressi di Monte Cassino, assegnato all’VIII Armata britannica, concluso il 18 maggio; la marcia verso Roma della V Armata americana, di stanza nel litorale sud. Se il progetto originario prevede il ricongiungimento dell’VIII e della V armata prima dell’ingresso in città, il generale Clark decide di non attendere l’arrivo degli inglesi: da Cisterna e Valmontone, gli americani puntano direttamente sulla capitale, attraverso la via Appia e la via Casilina.

Sullo sfondo della seconda guerra mondiale Roma appare inizialmente incredula e dubbiosa. Dalle memorie che ci sono arrivate prevale un senso di diffidenza; il timore di una nuova cocente delusione, dopo le speranze tradite del 25 luglio e dell’8 settembre 1943. Si cercano conferme, si guarda verso sud per vedere arrivare mezzi e truppe di chi poteva cacciare l’occupante.

Quando ci si rende conto di ciò che sta avvenendo la città sembra impazzire di gioia, stringendosi festante attorno ai nuovi arrivati e circondando monumenti e simboli antichi con una nuova speranza. Dormono in pochi, anche i soldati sono increduli per i segni di un’accoglienza diffusa che per le prime settimane avvolge in un clima idilliaco popolazioni e eserciti. Per gli uomini della Resistenza, per chi era passato all’azione, l’incontro con gli alleati si carica di speranze e sogni. «Sul piazzale Tiburtino (erano le 19 circa) incontrammo la prima camionetta americana». Sono le parole di Rosario Bentivegna, Sasà, giovane partigiano del movimento antifascista: «La gente le si avvicinava insospettita, non sapeva distinguere bene dalla foggia dell’elmetto ricoperto dalle reticelle mimetiche e dalle divise rese uniformi dalla guerra se si trattasse ancora del nemico o se fossero i nuovi amici. Anche quei soldati erano stanchi, ma con una gran voglia di riposarsi dalle loro fatiche in mezzo a quella folla che ancora diffidava, che temeva di sbagliare, ma che si sentiva dentro il bisogno di salutare la libertà. [...] Poi vennero fuori le sigarette - le Camel - e non ci furono più dubbi, e la gente corse impazzita intorno, nelle strade a urlare che erano arrivati gli americani. Forse questa volta il Medioevo nazista era finito davvero».


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