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Lettere

Veronica Tussi ci scrive di Karolina, la bimba polacca uccisa per errore ieri, nel napoletano. La Tussi pone degli interrogativi diretti sui miracoli, anche con ironia

Documento da leggere. Al miracolo, "la Voce di Fiore" dedicherà presto uno speciale
mercoledì 9 maggio 2007 di Emiliano Morrone
Già pubblicato su la Voce di Fiore lo scorso 6 maggio
Gentile direttore,
ieri 5 maggio, a San Paolo Belsito (Napoli) una bambina polacca, Karolina, 5 anni, è stata uccisa accidentalmente da un proiettile non a lei destinato. Non è la prima volta che succede. Ed ogni volta a me viene in mente un proiettile che invece era destinato alla persona colpita, ma che grazie alla Madonna di Fatima, subì una lieve deviazione, e non fu mortale. La domanda è ovvia: è pur vero che un Papa, essendo capo (...)

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martedì 8 maggio 2007

I miracoli non esistono perché Dio non discrimina (capito, Vespa?)[1]

Ma ci sono cristiani che non credono ai miracoli.

Caro Direttore,

Bruno Vespa ha dedicato una trasmissione a santi e miracoli, e per l’ennesima volta è venuto fuori il solito punto di vista di coloro che credono nei miracoli, e il solito punto di vista dell’ateo (c’era il filosofo Giulio Giorello), ma non quello dei cristiani che ai miracoli non credono. Così, chiedo a lei la possibilità di esporre un aspetto del problema che Vespa ignora, ovviamente, e che la Chiesa finge d’ignorare.

Spesso è il popolo a creare i miracoli. La Chiesa, purtroppo, interviene quando le credenze hanno già assunto proporzioni inarrestabili, e sono radicate a tal punto nell’immaginario dei devoti, che deluderli diventa impossibile.

Autorevoli teologi (Cf ad esempio, W. Kasper, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 1988) dubitano persino dell’attendibilità storica dei miracoli evangelici, ritenendoli, alla stregua delle parabole che non sono fatti storici, reali enunciati di fede sul significato salvifico della persona e del messaggio di Gesù; ed affacciando l’ipotesi che il Nuovo testamento abbia arricchito la figura del Salvatore con motivi extracristiani per esaltarne l’eccezionalità. Non sono gli evangelisti, infatti, ad avere "inventato" i miracoli. Sia in campo rabbinico che in quello ellenistico si narrano storie di guarigioni, resurrezioni, tempeste sedate, ecc. Un certo Apollonio di Tiana, mago e guaritore contemporaneo di Gesù, presenta numerosi parallelismi con in miracoli dei vangeli. Guarigioni si sarebbero verificate nel santuario di Asclepio a Epidauro. Anche la struttura del racconto evangelico presenta somiglianze con analoghe narrazioni extracristiane.

Questi motivi non sono sufficienti per negare la verità dei miracoli in genere; è chiaro, però, che la inspiegabilità di un fenomeno non autorizza assolutamente un credente ad attribuirlo ora a Dio ora al diavolo: per poterlo fare, occorrono argomenti teologici seri. Esiste, invece, un’importante ragione teologica che induce a non credere perlomeno ai miracoli di guarigione: l’assoluta impossibilità che Dio, salvando da un malanno questa o quella sua creatura, possa fare discriminazioni. Si potrebbe pensare che un malato o i suoi familiari abbiano pregato Dio, la Madonna, o un santo, più intensamente di altri; oppure che siano più meritevoli di altri, ma come fare un ragionamento del genere quando la discriminazione riguarda i bambini? Non sono tutti uguali davanti a Dio? Perché Dio, Padre misericordioso, dovrebbe compiere un miracolo per un figlio e non per un altro? Ragioni imperscrutabili? Non è possibile, giacché Dio può nascondere quasi tutto di sé alla sue creature (non potrebbero afferrarne la grandezza), ma non può dare di sé un’immagine alterata, distorta, contrastante col senso di giustizia che Lui stesso, secondo la fede cristiana, ha infuso negli uomini, con l’intelligenza che Lui ha donato, con l’amore che Lui ha comunicato. Alterato, distorto, falso, sarebbe anche il rapporto degli uomini con Dio.

Affermare d’essere oggetto di un intervento divino, e quindi privilegiati da Dio, è anche un atto di presunzione, di cui neppure i santi si sono mai resi conto.

Veronica Tussi

[1] Roberto Brunelli, che curava la rubrica lettere rivolgeva spiritosamente la domanda a Bruno Vespa, a seguito del colloquio telefonico con l’autore riguardo alla faziosità del conduttore televisivo.


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