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Terra: Spagna

APPELLO INTERNAZIONALE PER LA "SAGRADA FAMILIA" DI ANTONI GAUDI’. Barcellona-Madrid: la costruzione di un tunnel per un treno veloce mette in pericolo la chiesa - a cura di Federico La Sala

sabato 12 maggio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Dal Giappone al Messico, dalla Russia alla Nuova Zelanda, dagli Stati Uniti alla Germania, decine di architetti e ingegneri lanciano l’allarme. "Nessuno potrebbe immaginare la costruzione di un tunnel che passasse accanto all’Alhambra di Granada", scrive Tokutoshi Torii, professore dell’università di Kanagawa, in Giappone. "Mettere in pericolo un monumento catalogato come patrimonio dell’umanità - rincara Mark Schuster, del Massachusetts Institute of Technology - è un atto di (...)

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> APPELLO INTERNAZIONALE PER LA "SAGRADA FAMILIA". Barcellona-Madrid: la costruzione di un tunnel per un treno veloce farà tremare la chiesa di Gaudì - a cura di pfls

mercoledì 25 luglio 2007

INTERVISTA

Le grandi sfide che Antoni Gaudí seppe interpretare: parla il discepolo Josè Manuel Almuzara, che interverrà al prossimo Meeting

Il profeta degli architetti

«Negli ultimi 10 anni, in un’epoca di forte anticlericalismo, visse come un eremita dentro la Sagrada Familia. La concepì come la cattedrale del nostro secolo. E il processo di beatificazione avanza»

Da Madrid Michela Coricelli (Avvenire, 25.07.2007)

Lo descrive come il modello di una perfetta «unione fra arte e fede», come un uomo «straordinariamente umile», che visse la penitenza fino in fondo. Fino alla morte. Quando un tram lo investì il 7 giugno del 1926 a Barcellona, era vestito così modestamente che nessuno lo riconobbe come il maestro della Sagrada Familia e lo trasportarono all’Ospedale della Santa Cruz, il ricovero per i più poveri. José Manuel Almuzara sa praticamente tutto della vita di Antoni Gaudí. Ha cercato di penetrare nelle pieghe di un’esistenza straordinaria, di ricostruire un lungo percorso artistico e religioso. Ma non lo ha fatto solo per motivi di studio. Perché l’architetto Almuzara - oltre ad essere un esperto del genio del modernismo catalano - è anche il presidente dell’Associazione Pro Beatificazione di Gaudí.

Professor Almuzara, a che punto siete con la causa?

«Il processo iniziò nel 2003, quando fu presentato a Roma tutto il materiale raccolto per anni. Ora stiamo realizzando la biografia di Gaudí: speriamo di completarla entro quest’anno. Ma non c’è fretta...».

Anche Gaudí diceva che non bisogna essere frettolosi...

«Diceva: "Il mio Cliente non ha fretta". Si sentiva un collaboratore di Dio nella creazione, era questo il suo obiettivo finale. Il suo cammino quotidiano lo portava verso l’unione fra l’architettura e la fede. In questo fu un santo. E trasmise tutto ciò nella sua arte. Un esempio: Gaudí fu molto devoto alla Vergine di Reus, come sua madre. Questa devozione mariana si riflette nella sua opera al Parco Guell: le sfere di pietra che lo decorano sono i grani del rosario con cui pregava ogni giorno».

Crede che avrebbe voluto manifestare la sua religiosità più di quanto gli fu possibile?

«Ci furono momenti drammatici: pensiamo alla "settimana tragica" di Barcellona del 1902. C’era un forte anticlericalismo, che poi esploderà più tardi, negli anni ’30. Ebbene Gaudí per la Pedrera aveva pensato ad un gruppo scultoreo con una Vergine e due angeli, ma improvvisamente al la sua cliente venne una gran paura: pensò che esporre quelle statue sarebbe stato pericoloso. Risultato: Gaudí non realizzò mai il suo sogno di trasformare la Pedrera in un piedistallo per quel gruppo scultoreo».

Allo stesso tempo, piazzò una croce su un edificio di appartamenti borghesi che non aveva nulla a che fare con la religione...

«È vero: sulla cima di Casa Batlló mise una croce. Per lui fu sempre un simbolo onnipresente: il cammino di Cristo».

Perché fu un santo secondo lei?

«Visse cristianamente, visse il sacrificio. Fin da piccolo conobbe il dolore, con la morte della madre e poi della sorellina. Pur di studiare, dato che i mezzi in casa erano scarsi, si mise a lavorare già da giovane. Più tardi si occupò dell’anziano padre e di una nipote. Ma sono soprattutto gli ultimi 10 anni - in cui visse da solo nella Sagrada Familia, come un eremita - il periodo più splendido dal punto di vista religioso e della vita interiore».

Era un architetto esigente?

«Esigeva molto da se stesso, sia personalmente che professionalmente. Lo dimostra il fatto che lavorò alla Sagrada Familia per ben 40 anni. La concepì come la cattedrale per il secolo futuro, sapeva di dovervi riassumere tutta la propria conoscenza architettonica, umana e religiosa. Aveva un forte senso del perfezionismo e della penitenza. Nonostante la genialità, era umile: sapeva che è tutto opera di Dio».

Avete anche testimonianze di miracoli?

«Sono allo studio alcuni casi. C’è la storia di un signore catalano che fu operato per una protesi all’anca. L’intervento apparentemente andò bene, ma poi tutto si complicò. Era una situazione disperata. Soffriva. Il paziente era un caro amico dell’architetto giapponese Etsuro Sotoo (che ha il compito di terminare la Sagrada Familia, ndr), che gli consigliò di pregare Gaudí. Qualche giorno dopo stava già meglio. I medici non seppero spiegarsi il motivo, ma non aveva più bisogno di altre operazioni. Comunque ci sono diverse storie di persone di altre religioni c he hanno visitato la Sagrada Familia e hanno deciso di convertirsi».

Cosa la colpisce di più della vita di Gaudí?

«Le sue ultime ore. Una volta Gaudí andò all’Ospedale della Santa Croce per studiare l’anatomia umana insieme allo scultore con cui sempre collaborava, Lorenzo Matamala. Trovarono un signore completamente solo e sentirono una grande pena. Gaudí gli restò vicino, lo consolò, gli parlò, lo preparò per la "buona morte". A Matamala disse che avrebbe voluto morire così. E infatti...».

E infatti morì in quell’ospedale per i poveri...

«Sì. E per i suoi funerali, per le strade di Barcellona, scesero 6.000 persone, fra cui tanti poveri. È incredibile: un uomo che rivoluzionò l’arte, seppe restare sempre semplice e umile».


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