Sagrada Familia Ratzinger consacra il gigante di Gaudì
di Claudia Cucchiarato (l’Unità, 7 novembre 2010)
È il cantiere aperto più visitato del mondo: in media due milioni di turisti all’anno. Eterno work in progress, paradigma della grandezza e dello sfarzo, della sfida verso ciò che appare impossibile. E si sviluppa lentamente, con le tempistiche del saecula saeculorum, tanto proprie della Chiesa, quanto distanti dal ritmo vorticoso del mondo globalizzato. La Sagrada Familia è un simbolo del distaccamento tra secolarismo e cattolicesimo: una cattedrale moderna nel centro di una della città più dinamiche d’Europa, che nella sua realizzazione ricorda però i lunghi tempi di attesa, di lavoro e di battaglie degni della letteratura di Ken Follet.
Iniziata nel 1882 dall’architetto Francisco de Paula del Villar,un anno dopo la direzione dei lavori per la costruzione del più grande tempio espiatorio di Barcellona è stata affidata al giovane Antoni Gaudí. Padre del modernismo, architetto, scultore e inventore geniale, uomo di fede incrollabile, Gaudí è un personaggio intrigante,ma anche scomodo per la stessa Chiesa Cattolica. Non si è mai risolto il dubbio sulla sua presunta omosessualità, qualcuno l’ha accusato addirittura di pedofilia e viene spesso ricordato come un ubriacone paranoico. Mail ricordo più importante di questo genio dell’arte a cavallo tra il XIX e il XX secolo sta nella quantità di progetti, carteggi e monumenti lasciati in eredità in tutto il territorio catalano.
La sua opera più ambiziosa è la Sagrada Familia, un gigante da 18 torri che pesano più di 22.000 tonnellate e sulla cui possibilità di conclusione in tempi ragionevoli egli stesso era dubbioso. Per farlo, nel 1914, si era personalmente trasferito nel cantiere, fino al giorno della sua morte. Gaudí è deceduto nel 1926, investito da un tram. La sua opera magna potrebbe incorrere nella stessa sorte: l’Ave, il treno ad alta velocità che presto passerà sotto le sue fondamenta, potrebbe mettere in pericolo la sua solidità. Dure polemiche si sono levate contro il passaggio dell’Ave sotto il tempio, ma ora che sono state dimostrate le bassissime probabilità di crollo della struttura, ciò che più preoccupa l’arcivescovo di Barcellona, Lluís Martínez Sistach, presidente della fondazione che gestisce i lavori e il loro finanziamento, è la sua rapida messa a punto e inaugurazione.
Sarà necessario abbattere interi condomini per costruire il 40% della basilica oggi mancante. Saranno necessari permessi comunali, sentenze, traslochi. Saranno necessari diversi milioni di euro, molti anni e buona dose di pazienza per concludere il tempio rispettando il progetto faraonico di Gaudí. E l’unico Ave in grado di offrire un solido aiuto a tutta questa faccenda è quello pronunciato dal Papa in persona. Nasce dalla volontà di dare un nuovo impulso ai lavori e alle donazioni private (unica fonte di finanziamento della struttura, insieme ai biglietti d’ingresso dei turisti) l’invito che l’arcivescovo Sistach avrebbe trasmesso alle gerarchie vaticane un anno fa. Durante i negoziati che hanno portato alla visita che oggi il Papa realizzerà a Barcellona, diverse figure chiave del Vaticano e della Chiesa spagnola sono intervenute, per dare un significato preciso all’evento. La prima S. Messa in una cattedrale ancora in costruzione deve avere una valenza anche politica. Di fede, cultura, arte e bellezza parlerà oggi, in catalano, Benedetto XVI.
Ma il messaggio sottostante alla consacrazione della Sagrada Familia è ben più sottile e pragmatico: riportare alla religiosità la pecorella smarrita spagnola. È stato lo stesso Ratzinger a sottolinearlo, ieri, durante il suo viaggio aereo: «in Spagna è nata una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo, come abbiamo visto negli anni Trenta, e questa disputa si realizza ancora oggi».
Matrimoni omosessuali, eliminazione dei crocifissi dalle sedi delle istituzioni pubbliche, leggi avanguardiste sull’aborto e il «divorzioexpress», e non solo. Il Vaticano sa bene che la percentuale di praticanti cattolici nel Paese governato da Zapatero è scesa dall’80% al 50% circa negli ultimi trent’anni. È anche per questo che le visite del Papa in Spagna saranno sempre più frequenti d’ora in una all’anno. Ma è anche per questo che la visita di oggi a Barcellona è stata accompagnata da una visita a Santiago de Compostela, ieri pomeriggio. Era conveniente interporre una tappa intermedia per non insistere troppo su Barcellona, storica capitale dell’anarchismo e dell’anticlericalismo europeo: Rosa di Fuoco, come venne battezzata durante la Guerra Civile.
Le misure di sicurezza applicate sono state eccezionali e carissime. Da settimane si lavora nelle strade circostanti la basilica e in quelle che percorrerà la Papamobile. Sono state chiuse al traffico sette arterie del centro cittadino, i trasporti pubblici sono stati sospesi in buona parte dell’ area attorno alla cattedrale. Si sono impiegati migliaia di poliziotti, vigili urbani e agenti dei corpi speciali. Ci sono più di 3.600 giornalisti accreditati, una previsione di 50.000 fedeli presenti. Lo sconcerto si è impossessato delle autorità pubbliche qualche giorno fa, quando un barcellonese ha trovato per strada, abbandonato, un dossier contenente delicate informazioni sulle misure di sicurezza, con tanto di numeri di telefono, nomi e indirizzi delle più alte cariche della polizia e della guardia reale. Un vero e proprio smacco, che si aggiunge alle proteste che da giorni proliferano in città. Giovedì scorso migliaia di persone si sono radunate davanti alla sede dell’arcivescovato urlando lo slogan «Papa, noi non ti aspettiamo».
Cartelloni con la scritta «Mettete in salvo i vostri bambini» circolano negli autobus pubblici. E oggi, al suo risveglio, il Papa potrà osservare dalla finestra un Flash Mob promosso dalle associazioni gay e lesbiche locali: un bacio collettivo e massivo tra persone dello stesso sesso. Il tutto per dimostrare che anche il Papa, con il suo Ave Maria, avrà il suo bel daffare per ricondurre sulla “retta via” la pecorella smarrita d’Europa. E che anche la Sagrada Familia potrà attendere qualche altra decade per vedere terminato l’ultimo pilastro. D’altronde, non sarebbe una novità.