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IL BUON MESSAGGIO (Eu-angelo, ev-angelo, non ... vangelo, il gelo dell’inferno!). In principio era la Parola del Dio Amore ("Deus Charitas") - non il "logo" di "Mammasantissima" e di "Mammona" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)!!!

PIRANDELLO E LA BUONA-NOVELLA. DALL’ITALIA, DALLA SICILIA, DA AGRIGENTO, DA BONN, DA ROMA, DA MILANO, DA NAPOLI, DA SAN GIOVANNI IN FIORE, E DA GERUSALEMME: UN "URLO" MAGISTRALE PER BENEDETTO XV ... E BENEDETTO XVI - a c. di Federico La Sala

LA NOTTE DI NATALE. Basta con la vecchia, zoppa e cieca, famiglia cattolico-romana, camuffata da "sacra famiglia"!!!
giovedì 13 settembre 2012 di Emiliano Morrone
[...] Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta - personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva (...)

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> "Ecce Homo": un “goj”!!! Natale 1918: la "novella-risata" di Pirandello contro la vecchia e zoppa "sacra" famiglia "cattolica" !!!

martedì 7 agosto 2007

ANNIVERSARI

A settant’anni dalla morte un ritratto «intimo» di Pirandello, scritto dal nipote Andrea. Un genio letterario visto nello «spazio» familiare. Dalla baraonda suscitata dal premio di Stoccolma agli scherzi a tavola, alle canzoncine

E nonno Luigi disse: «Il Nobel? Tutte pagliacciate»

Il grande drammaturgo in casa era affabile, sorridente, ma quando una sua commedia non incontrò il favore del pubblico, si lasciò andare alla collera con i critici. Ce l’aveva poi con Mussolini e i funzionari che gli avevano promesso dei teatri e non avevano mantenuto«Un giorno si udì una discussione animata provenire dallo studio: erano il figlio Stefano e lo scrittore che discutevano di religione. Accompagnati ad assistere, noi nipoti, sentimmo che il nonno non era credente. Ma non è cattivo, ci disse la mamma» «Quando ci richiamarono a casa da scuola perché il nonno aveva vinto il Nobel, trovammo una gran confusione di giornalisti e fotografi. Lui posò alla macchina da scrivere prendendosi gioco del riconoscimento ma dentro di sé era ben contento»

di Vincenzo Arnone;di Andrea Pirandello (Avvenire, 07.08.2007)

A settanta anni dalla morte dello scrittore, nel pozzo letterario di Luigi Pirandello c’è ancora qualcosa di inedito e di interessante. Lo ha scoperto e scritto uno dei nipoti, Andrea, figlio di Stefano, il quale , tra l’altro, due anni fa, diede alle stampe un grosso volume di 372 pagine, Il figlio prigioniero, carteggio tra Luigi e il figlio Stefano, durante la prima guerra mondiale, 1915-18. Pirandello inedito, privato, familiare: nelle sue origini, nella vita, nella professione, nel lavoro teatrale e nelle difficoltà economiche, comuni a tutti gli uomini. Pirandello che ritorna, con la mente, col cuore alla sua fanciullezza e alla fatica di vivere, Pirandello visto dai nipotini, ignari di avere un nonno così grande, letterariamente. Ecco allora il Ricordo del nonno di Andrea Pirandello, il figlio appunto di Stefano.

Uno scritto non apparso fino ad ora in nessun saggio, in nessuna biografia o in nessuno studio degno di particolare nota dello scrittore siciliano. Andrea (nato nel 1925 - undici anni prima della morte dello scrittore - vive a Roma) lo scrisse nel 1986 in occasione di una mostra che si tenne a Milano: «Pirandello l’uomo, lo scrittore e il teatrante». È uno scritto che potrebbe intitolarsi: Pirandello visto dai suoi nipotini, nella vita familiare e con la confidenza che i nipotini hanno verso il nonno, ma anche con la non piena comprensione di tutto ciò che riguarda i grandi, massime se sono dei geni letterari. Anche se scritto in età adulta, tuttavia il Ricordo cerca di cogliere al massimo le emozioni, le intuizioni, la dimensione di divertimento che sono proprie dei bambini, attraverso quel che passava ogni giorno nella vita della famiglia Pirandello in Via Bosio a Roma. E inizia proprio annotando: «Con nonno ci si divertiva». Seguono tante annotazioni di carattere personale, teatrale, religioso (il senso di agnosticismo dello scrittore ), familiare nel senso più banale del termine: gli stornelli, la battute, gli scherzi fatti a tavola, durante i pasti, l’entusiasmo infantile alla notizia del premio Nobel, le collere dello scrittore che arrivavano alle invettive, contro critici letterari, contro Mussolini o i funzionari che gli promettevano dei favori e poi... le piccole delusioni che seguirono all’assegnazione del Nobel, i momenti di tristezza e di depressione per la situazione matrimoniale con la moglie, l’amicizia con Marta Abba di cui soffrì «l’incompletezza del rapporto».

Fino ad arrivare agli ultimi giorni di vita dello scrittore, vissuti dal nipotino con tanto sbigottimento. Vien da pensare come gli epistolari, di diari o i ricordi di familiari come questo, costituiscono come una sorta di discesa alle madri, alle origini di uno scrittore; una dimensione importante e quasi necessaria per l’elaborazione di immagini e di emozioni. «Una parte di ogni vita umana - scriveva Margherita Yourcenar nelle Memorie di Adriano -, persino di quelle che non meritano attenzione, trascorre nella ricerca delle ragioni dell’esistenza, dei punti di partenza, delle origini». Vien da pensare anche a quanto lo stesso Pirandello scrisse a proposito delle origini storiche di ogni scrittore, nel seno della sua vita e della sua famiglia, a contatto con i bambini. «Guai allo scrittore che a un certo punto non si ricorda della sua infanzia, dove ha radici originarie il suo mondo, e non torna fedele all’impegno assunto quando gridò che era nato per esprimere». Questo scritto di Andrea ci aiuta a capire Pirandello uomo e scrittore.

Con nonno ci si divertiva. E credo che anche lui con noi nipoti trovava qualche momento di abbandono e di svago. C’erano giorni o forse ore in cui Pirandello era allegro. Allora anche in famiglia era estroso e si sbrigliava nel suo verso addirittura giocondo. Giocava inventava recitava. La grande confidenza era con mia sorella Ninnì. Era Ninnì che ogni giorno per il pranzo e per la cena correva su tutta contenta per annunciargli che era pronto in tavola. Dall’autunno del 1933 Nonno abitava con n oi, in Via Bosio a Roma, in un appartamento sopra il nostro e per tutte le sue necessità si appoggiava alla nostra famiglia, che era la famiglia del figlio Stefano. Lui appena Ninnì irrompeva nel suo studio smetteva di lavorare, lasciando in tronco un periodo o una battuta di commedia. Sapeva che riprendendo avrebbe subito ritrovato il filo... A tavola, nell’attesa di una portata, era capace d’attaccare e cantare una canzoncina in voga che faceva: «quando suona Veronica, la fisarmonica, gira gli occhi di qua, gira gli occhi di là...» e come trasognati canticchiando ondeggiavano sul ritmo, muovevano la testa e teatralmente roteavano gli occhi come dettava la canzone. Ninnì aveva allora, dal 1934 al 36, dodici tredici quattordici anni. Noi maschi, io e mio fratello Giorgio, più piccoli di tre e quattro anni, seri e tontacchioni, non sapevamo entrare in quelle recite se non come un coro entusiasta. Pieni di ammirazione adoravamo nostra sorella anche per vederla presa dal Nonno alla pari. Forse qualche volta era lei a inventare una variazione e Nonno felice l’assecondava...

Il 9 novembre 1934, di mattina, mandarono a chiamarci a scuola. Dovevamo correre a casa. A casa era piombata la notizia entusiasmante del conferimento del Premio Nobel. Lo studio di Nonno era già invaso da schiere di giornalisti e fotografi e cineoperatori. Una baraonda. Il premiato naturalmente al centro, ma anche noi di famiglia dovevamo farci riprendere in tante pose. Col suo sorriso ilare e bonario che riduceva gli occhi a due spacchi, Pirandello si prestava e fu ripreso a lungo anche alla macchina per scrivere, sulla quale con un pizzico d’insincerità batteva la parola «pagliacciate», ripetendola decine di volte. Erano invece onori piacevolissimi e goduti. Il nobel consacrava definitivamente agli occhi del mondo una grande carriera di scrittore. Ci fu una ripresa di interesse intorno alla sua opera. L’entità stessa del premio era una salutare boccata d’ossigeno. Pirandello aveva un treno di vita dis pendioso e inoltre dava ancora sostanziosi aiuti ai figli, manifestando per questo spesso malumori e sdegni. L’attenzione nuova destata dal premio presto s’attenuò.

Non si sa come, l’ultimo lavoro teatrale pirandelliano, era stato già composto nell’estate del 1934, e andato in scena non fu bene accolto. Da allora Pirandello non scrisse più per il teatro, cosicché non alimentata da nuovi lavori l’attesa di pubblico e critica a mano a mano si spense. Tutto questo aveva ripercussioni in casa. Noi nipoti vedevamo Nonno nelle ore dei pasti. Ho detto dei suoi occhi e del suo recitare. Ma cominciammo ad assistere anche alle sue collere dove si manifestava facinoroso nel suo candore. Pirandello era trasparente come il Paolino di L’uomo, la bestia e la virtù, non nascondeva i moti dell’animo. Ed era uomo di sentimento forte. Perciò talvolta le sue proteste avevano un che di pazzesco. Ai critici detrattori o semplicemente non sostenitori di qualche suo lavoro o delle prove di Marta Abba riservava in famiglia espressioni violente... Il suo astio era anche contro Mussolini e gerarchi e dirigenti, da cui si sentiva tradito. Il regime prometteva di sostenerlo nei suoi progetti per un teatro nazionale o di una rete di teatri comunali, ma non manteneva. E lui a tavola agitato gridava che la vita per lui in Italia s’era fatta impossibile, che voleva riscapparsene all’estero. Se la pigliava anche con Stefano, che cercava più che altro di quietarlo...

Un giorno, in Via Bosio, Nonno era sceso prima del solito al nostro piano e s’intratteneva con Stefano nello studio di questi in una discussione che noi sentivamo animata. Mamma ci chiamò e tutti insieme entrammo nello studio per annunciare che era quasi pronto in tavola. I due ci sorrisero ma non s’interruppero, seguitavano a dibattere. La vertenza era su Dio. Noi capivamo appena, naturalmente. Però intendemmo che Papà parlava della possibilità di un Dio personale, cioè persona; «Perché no ?», udimmo nostro padre dire; Nonno negava quell ’evenienza, ci sembrava. Con la vivacità che sempre mettevano nella contrapposizione, ma senza inimicizia o acrimonia. Al maggior vigore del figlio, Pirandello opponeva alle argomentazioni il suo sorriso arguto, finissimo. Cogliemmo soltanto una sua affermazione strana e memorabile: che se quel Tale si fosse presentato pronunciando la parola «Io», lui si sarebbe inquietato forte; e di nuovo sorrideva col reticolo di rughe intorno agli occhi. Mia madre ci sospinse via come una chioccia preoccupata per lasciare soli i due uomini. E appena fuori della porta ci rassicurava: «Nonno però è buono; non perché parla così dovete pensare che sia cattivo». Noi veramente, e non so dire perché, non eravamo sorpresi dal conoscerlo non credente, né dubitavamo affatto della sua bontà...

Poi l’ultimo ricordo di mio Nonno. Era la fine di novembre 1936. Sei giorni dopo Pirandello si sarebbe messo a letto per una influenza che al terzo giorno si dichiarò invece polmonite-polmonite doppia. Morì la mattina del 10 dicembre. Noi bambini, ammalati anche noi, udimmo sbigottiti il grande urlo sulle nostre teste e un tuono di passi come di gente che fugge al piano di sopra. Pochi attimi dopo sapemmo che Nonno era spirato in quel momento. I parenti e gli amici presenti, all’annuncio avevano gridato e d’impeto erano accorsi alla sua camera.

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Il libro

Il quarto Meridiano Mondadori

È uscito l’ultimo dei quattro Meridiani Mondadori dedicati al drammaturgo Luigi Pirandello (Nobel 1934). Il Meridiano contiene opere di teatro «Maschere nude» a cura di Alessandro d’Amico e Alessandro Tinterri - e «Opere teatrali in dialetto», a cura di Alberto Varvaro con introduzione di Andrea Camilleri (Pagine XCI - 1919, euro 55.00). Nell’edizione già diretta da Giovanni Macchia, con rigore filologico e ampia interpretazione storico-critica. In «Maschere nude» le opere composte dal 1929 in poi: le opere drammatiche «Bellavita», «O di uno o di nessuno», «Sogno (ma forse no)», «Lazzaro», «Questa sera si recita a soggetto», «Come tu mi vuoi», «Trovarsi», «Quando si è qualcuno», «La favola del figlio cambiato», «I giganti della montagna», «Non si sa come». Per le «Opere teatrali in dialetto», «Lumìe di Sicilia», «Pensaci, Giacuminu!», «’A birritta ccu ’i ciancianeddi», «Liolà» «’A giarra», «Cappidazzu paga tuttu», «’A morsa», «’A vilanza», «La patente», «U’ ciclopu», «Glaucu», «Ccu ’i nguanti gialli»


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