AMERICHE - mondo
Chávez sì, Chavez no. In Venezuela è arrivata l’ora della scelta
di Geraldina Colotti (il manifesto, 6.10.2012)
Domani 19 milioni di venezuelani potranno decidere se confermare per la quarta volta l’attuale capo di stato o puntare sul candidato dell’opposizione. "Fame zero" e classe media: entrambi gli schieramenti invadono il campo avverso Gli indecisi sarebbero circa il 30% dell’elettorato. Si vota con un sistema giudicato a prova di brogli
«Vigileremo a che tutto si svolga in pace e con allegria». Con queste parole, Tibisay Lucena, presidente del Consejo Nacional Electoral (Cne), ha ufficialmente chiuso la campagna politica per le elezioni presidenziali in Venezuela, a mezzanotte di giovedì. Domani, 18 milioni e 900.000 aventi diritto potranno decidere se riconfermare per la quarta volta l’attuale capo di stato, Hugo Chávez Frias, o puntare sul candidato di opposizione, Henrique Capriles Radonski, che corre per la coalizione di centrodestra Mesa de la unidad democratica (Mud). In ogni caso, affideranno le loro preferenze a un sistema elettorale automatizzato, unanimemente riconosciuto a prova di brogli.
Nella IV Repubblica - prima che Chávez venisse eletto, nel 1998, con il 56% delle preferenze - per votare bastava mostrare la tessera. Adesso, prima di entrare nell’urna, ogni elettore deve lasciare la propria impronta digitale, che viene confrontata con quella custodita nel database generale, utilizzato per il rilascio della carta d’identità. Poi, per evitare il doppio voto, l’impronta viene registrata nell’archivio telematico il cui software è criptato: prima di installarlo, sono stati convocati gli schieramenti politici, ognuno dei quali ha ricevuto una password. La conta dei voti si fa a riscontro con il calcolo della macchina.
Un sistema elettorale maturo
Il sistema elettorale oggi «è sufficientemente maturo da non richiedere osservatori internazionali», ha affermato Tibisay Lucena, e perciò il Cne non ha rivolto inviti in questa forma. In compenso - ha aggiunto - sarà presente l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) per una «missione di accompagnamento» che implica «rispetto e considerazione tra pari». In questo quadro, il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) ha accreditato circa 51.000 invitati da ogni parte del mondo. L’opposizione, intorno ai 52.800.
Diversi rappresentanti della Mud si sono espressi contro la modalità di voto elettronico perché - dicono - intimorisce gli elettori. Però hanno scelto di utilizzare il sistema anche per le loro primarie interne. Un’ambivalenza che ha caratterizzato anche la campagna elettorale dell’opposizione. In quasi 14 anni, il governo "bolivariano" ha avuto il sostegno del voto popolare: 13 elezioni vinte e solo un referendum perso, per un pugno di voti. Per spazzarlo via, la destra ha giocato un po’ su tutti i tavoli: quello del golpe a guida Usa (2002) e della micidiale serrata petrolifera (2002-2003); quella del referendum per revocare Chávez (2004); quella del boicottaggio elettorale e del discredito, basato sul controllo che le deriva dai principali mezzi di informazione.
Sui siti della Mud, il modello delle «rivoluzioni arancioni» costruite nelle stanze dei poteri forti e i consigli di Gene Sharp che spiega nei suoi libri come innescarle, spopolano. Per quest’ultima tornata di elezioni (alle presidenziali seguiranno le regionali, a dicembre, e le comunali, ad aprile 2013), il blocco di centrodestra ha però deciso di rifarsi il look: avvalendosi - ha scritto la stampa di San Paolo - dei consigli del pubblicitario brasiliano Renato Pereira, capo strategia dell’impresa Prole.
Il volto presentabile del centro
Capriles - rampollo delle grandi famiglie, attivissimo nel golpe del 2002, uomo di destra proveniente dalle fila del partito Primero Justicia - si è presentato allora come il volto accettabile del moderatismo centrista: appetibile per i mercati internazionali e per quanti vedono come il fumo negli occhi qualunque tentativo di scalfire i grandi monopoli. Si è ammantato, anche, di un po’ di vernice progressista. Così, il programma della Mud («Petroleo para el progresso») che mira a riconsegnare il paese nelle mani dei grandi potentati economici, sostiene anche di voler mantenere (ma in termini assistenziali) alcune delle misure sociali portate avanti dal governo Chávez: non certo la nuova legge sul lavoro, che garantisce ampi diritti ai lavoratori e contro la quale si sono scagliate le imprese. Non la riforma tributaria, che prevede maggiori controlli fiscali e contro la quale i grandi imprenditori hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale. E tantomeno il piano di edilizia popolare della Mision vivienda. Si parla di un «Plan Hambre Cero», con un richiamo al programma «Fame zero» adottato in Brasile durante la presidenza di Lula da Silva. Capriles è d’altronde arrivato a dichiarare a più riprese la sua simpatia per l’ex presidente del Brasile, cercando di accreditare un presunto sostegno brasiliano alla sua linea politica. Solo che, in diretta dal Foro de São Paulo, dov’erano presenti tutte le sinistre latinoamericane, Lula ha espresso invece il sostegno totale del suo partito e il proprio personale alla candidatura di Hugo Chávez: «La sua vittoria sarà la nostra vittoria», ha dichiarato fra gli applausi Lula.
In basso a sinistra
Una politica della confusione, quella della destra, ben sintetizzata dallo slogan elettorale scelto da Radonski, «In basso a sinistra»: una indicazione per la scheda elettorale dov’è situato il suo simbolo, ma anche un richiamo (quantomai incongruo, dato il pedigree del personaggio e dei suoi alleati) alla campagna zapatista contro il verticismo dei governi.
Trasformismi per cacciare voti anche fra i ceti popolari, fidando sull’inevitabile usura del governo Chávez e sulla platea degli indecisi, valutata intorno al 30% dell’elettorato. Un dato enfantizzato oltremisura per delegittimare l’eventuale vittoria chavista, sostiene il campo della sinistra. In estate, persino un sondaggio di Datanalisis (appartenente a Vicente Leon, che sostiene l’opposizione) ha dichiarato che il 62% dei venezuelani considera positivo il bilancio del governo Chávez e lo rivoterebbe. Ma poi, altre inchieste di medesima provenienza hanno registrato una progressiva erosione del vantaggio tra l’attuale presidente e il suo sfidante.
Anche il governo bolivariano ha cercato di pescare nel campo avverso, mettendo fortemente l’accento sulle misure erogate a favore della classe media. Chávez ha peraltro condotto una campagna elettorale all’insegna del «Plan 1×10?», ovvero sull’impegno a moltiplicare per dieci ogni attivista bolivariano. E senza trionfalismi: «Vinceremo, ma non abbiamo ancora vinto. Non bisogna abbassare la guardia», ha affermato nell’ultima settimana di comizi. Entusiasmo da stadio
Per il discorso conclusivo di giovedì, Capriles ha scelto l’Avenida Venezuela di Barquisimeto, nello stato Lara, una delle più grandi strade del paese. Il mare di camicie rosse che sostiene «il processo bolivariano» ha invece invaso, simbolicamente, sette vie di Caracas, per affluire infine in Piazza Bolivar ad ascoltare il discorso di Chávez: «Il 7, sarà 7 a zero», dicevano i cartelli in piazza, sintetizzando l’entusiasmo da stadio che investe il paese a ogni tornata elettorale. Di fronte alla folla che lo acclamava sotto una pioggia battente, il "comandante" ha invitato questa «moltitudine bolivariana» a manifestarsi nelle urne: «In questo modo - ha concluso - gli daremo una bella batosta».