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Dio è amore ("charitas"), non caro-prezzo ("caritas") né "mammona"!!! Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

TEMPI NUOVI PER L’AVVENIRE DELLA CHIESA. Gianfranco Ravasi "rompe" gli indugi e prende le "distanze" dal Dio "caritas" e in accordo con Chateaubriand dichiara: «la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità»!!! - a cura di Federico La Sala

MONSIGNOR RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?!
sabato 14 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Aveva ragione un importante autore francese, François-René de Chateaubriand, quando affermava che «la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità». Ritroviamo anche noi la limpidità, la lievità interiore, la luminosità serena e gusteremo la vera gioia [...]
GESU’ "CRISTO", GESU’ DI NAZARET. MA CHI ERA COSTUI?! CERTAMENTE IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS") DI GIUSEPPE E DI MARIA!!! NON IL FIGLIO DEL "DIO" ("CARITAS") DELLA CHIESA AF-FARAONICA E COSTANTINIANA !!! (...)

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> TEMPI NUOVI PER L’AVVENIRE DELLA CHIESA. Gianfranco Ravasi "rompe" gli indugi e prende le "distanze" dal Dio "caritas" e in accordo con Chateaubriand dichiara: «la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità»!!! - a cura di pfls

domenica 5 agosto 2007


-  05 Agosto 2007 *
-  MATTUTINO
-  L’ESILIO

Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani che chiedono a un anziano rabbino quando sia cominciato l’esilio di Israele. «L’esilio di Israele - risponde il rabbino - cominciò il giorno in cui Israele non ha più sofferto del fatto di essere in esilio». Il vero esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore la struggente nostalgia della patria. Quest’oggi ho lasciato voce a un mio amico, caro e stimato da molti, il vescovo e teologo Bruno Forte. Queste sue parole colgono una profonda verità, la cui semplicità la rende spesso disattesa e ignorata. L’uomo di oggi, soprattutto, ha perso il gusto delle grandi attese, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. La perdita di questa nostalgia dell’infinito da cui proviene e a cui è destinato lo rende meschino, curvo sulle piccole cose, sulle modeste mete, sulle recriminazioni davanti a ogni minimo ostacolo, pronto a dare le dimissioni di fronte a una vita che può essere una scalata.

Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava: «Chi si dedica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi». In molti c’è ormai l’abitudine all’esilio, stanno bene nella banalità di un’esistenza priva di fremiti e di tensione, non attendono più un "oltre", cioè una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. In loro non crea più emozione la ricerca interiore e umana, il loro sguardo non si leva più - come aggiunge mons. Forte - verso «il cielo del desiderio e della speranza». Ritroviamo, allora, in noi il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte più vasto e più luminoso.

Gianfranco Ravasi



-   04 Agosto 2007 *
-  MATTUTINO
-  il sorpasso

«Preferisco essere superato che seguito». Purtroppo sono rari i maestri che accettano di essere superati. Ancor più rari quelli che ti sollecitano al sorpasso e ne sono lieti. La maggior parte di essi, quando hanno il fiato grosso, pretenderebbero che tutti si accampassero stabilmente nelle posizioni acquisite e agitassero i ventagli delle ripetizioni. Cita in apertura un noto autore spirituale, Gustave Thibon, e poi vi intesse una vivace riflessione - com’è nel suo stile - don Alessandro Pronzato a cui oggi mi sono affidato attraverso il suo libro Vogliamo vedere Gesù... (ed. Gribaudi). Le sue sono parole che colpiscono nel segno. L’educatore, come dice la stessa etimologia latina del termine, dovrebbe essere colui che «conduce fuori» dall’altro tutta la sua ricchezza, facendola sbocciare e fruttificare in pienezza. Esemplare è la dichiarazione del Battista nei confronti di Gesù: «Bisogna che lui cresca e che io diminuisca» (Giovanni 3, 30).

E invece spesso il maestro non intuisce la grandezza del discepolo perché egli è pieno di sé e vuole essere sempre e solo magister, vocabolo che deriva dall’avverbio latino magis, che significa «più». Vuole, allora, prevalere, avere sempre il primato; pretende che l’alunno lo segua o al massimo stia al suo livello «agitando il ventaglio» dell’adulazione o della ripetizione. E invece dovrebbe avere il coraggio - maestro, educatore, sacerdote, genitore, guida sociale - di spingere il giovane ad andare oltre nel cammino della conoscenza e della vita per sviluppare quei doni che ognuno ha a suo modo e in misura diversa. È vero che Gesù ha detto che «il discepolo non è da più del maestro» (Matteo 10, 24) ma lo ha affermato di sé a proposito delle persecuzioni!

Gianfranco Ravasi


03 Agosto 2007 * MATTUTINO ELOGIO DEI PIEDI

Sono lontani dalla testa, conoscono il suolo, le spine, i serpenti, l’aspro e lo sdrucciolo, sono tutto l’equilibrio... Reggono l’intero peso, sanno correre sugli scogli..., sanno saltare e non è colpa loro se più in alto dello scheletro non ci sono ali... Gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante. Sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati dietro un inginocchiatoio... Non sanno accusare e non impugnano armi e sono stati crocifissi.

Sono solo alcune battute di un suggestivo «elogio dei piedi» che lo scrittore Erri De Luca ha lasciato in un testo minore che raccoglie un suo intervento. C’era già Isaia che cantava: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi» (52, 7). Gesù nell’ultima cena aveva lavato i piedi ai suoi amici e san Paolo ricordava che la testa non può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi!» (1 Corinzi 12, 21). Sono, dunque, necessarie queste estremità spesso bistrattate ("ragionare coi piedi", si ironizza) e che invece sono un capolavoro di "tecnica", dato che riescono a sostenere un peso così notevole com’è quello del nostro corpo su una superficie così ridotta, per di più spesso in una situazione di movimento.

Con l’homo erectus l’umanità ha cominciato a dominare l’orizzonte, a perlustrarlo, a comprenderlo e ha iniziato a levare il capo verso il cielo, cioè l’infinito. E questo è stato reso possibile dai piedi, realtà modesta che rivela la sua preziosità proprio quando si paralizza e ci blocca nella fissità. La lezione da trarre è facile. Noi non badiamo alle mille persone o cose quotidiane che ci permettono di vivere, pur rimanendo nascoste e quasi inavvertite. Un proverbio arabo, ad esempio, dice: «Che cosa c’è di più ovvio dell’aria? Eppure guai a non respirarla!».

Gianfranco Ravasi

* Avvenire.


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