Cronache del parroco di Bozzolo di Angelo Paoluzi in “Europa” del 28 febbraio 2012
Non è morto nel 1959 perché il suo messaggio sembra scritto oggi. Don Primo Mazzolari, «la tromba dello Spirito Santo della Bassa mantovana» - così lo definì papa Giovanni XXIII -, è ancora fra noi, con il suo potere di ammonimento e possiamo dire di profezia. Nelle centoventi pagine di un’antologia dal titolo Come pecore in mezzo ai lupi le edizioni Chiarelettere (Milano 2011, 7 euro) ripropongono testi che continuano a servire come catechismi di moralità politica. Nella prefazione don Virginio Colmegna parla di «attività provocatoria » di don Primo, di una «nuova cultura politica, partecipata, rilanciando la connessione virtuosa fra etica e impegno politico, riscoprendo una soggettività che ha il coraggio del servizio disinteressato, del bene comune come responsabilità».
Un concetto al quale risponde - sembra per i nostri giorni - il brano di un articolo scritto su Adesso nel 1950: «Un popolo che stenta a vivere e conta a milioni i suoi disoccupati e ha lo schifo di pochi avventurieri che buttano via volgarmente il denaro, ha diritto di vedere che almeno gli uomini da lui scelti per governarlo, se non proprio poveri, siano almeno distaccati, in omaggio a quello spirito di povertà da cui prendono nome e vanto».
Così un’amara osservazione sui principi, sui quali «è almeno strano che certe difese a oltranza vengano fatte principalmente nei confronti dei poveri, i quali, posti nel disumano dilemma di scegliere tra un principio morale e una tremenda necessità materiale, all’infuori di qualche caso di grazia, sono costretti ad arrendersi alle necessità». E sullo spettacolo (triste immagine dei nostri tempi) «poco edificante ma istruttivo, di uomini senza fede che si dichiarano per la religione; di senza patria, che s’accendono di furore nazionalistico; di corrotti celibatari, che esaltano la santità della famiglia».
Abbiamo di don Mazzolari un ricordo preconciliare. Si svolse a Napoli, negli anni che precedettero il Vaticano II, un convengo di scrittori cattolici, cui partecipò il meglio della cultura di allora, da Giancarlo Vigorelli a Giorgio La Pira, da Carlo Bo a Mario Pomilio. Fra essi un silenzioso don Primo: il suo Adesso era sotto il tiro della censura clericale. In un gruppo di lavoro si sfogò: chiese a tutti i laici presenti che cosa stessero rischiando, in quanto credenti, della loro libertà: un povero prete come me questo rischia, disse, e sventolò la tonaca. Erano gli anni in cui, fra la generale diffidenza ecclesiale, si batteva per la pace, per l’obiezione di coscienza, per una Chiesa che respingesse - come più tardi essa fece - la legittimità della guerra.
Come pecore fra i lupi restituisce al nostro ricordo il tenace parroco di Bozzolo, che non soltanto i fascisti non riuscirono a piegare