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Il magistero del "logo" di "Mammasantissima" e "Mammona" ("Deus caritas est") o il magistero del "Logos" d’ Amore ("Deus charitas est") di Gesù, Giuseppe e Maria?!!

"CHARITAS", "HOMO", E L’ "H" DELL’UMANITA’ DI OGNI ESSERE UMANO!!! SULLA VIA DELLA VERITA’, NON DELLA MENZOGNA. Caro Papa Ratzinger ... "Sàpere aude!", Amare aude! Sia "charitatevole" e "maggiorenne" verso se stesso e verso il prossimo!!! Risponda eu-angelicamente (o almeno come Pilato: "Ecce Homo" - ma senza togliere la "H" alla Parola, come ha fatto nell’enciclica) al grido dei fratelli e delle sorelle omosessuali, dentro e fuori dalla Chiesa. Non abbia paura, la grazia (cHaritas) [di Dio], il "Padre nostro", La illuminerà - a cura di pfls

Non abbiamo nulla da nascondere, e voi? La domanda sale dalla lettera aperta che un gruppo di omosessuali preti sottopone alla comunità cristiana e alla gerarchia cattolica ...
lunedì 30 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay.
L’esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, se vissuta alla luce del Vangelo, sotto l’azione dello Spirito ci mette in condizione di (...)

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> "CHARITAS", "HOMO", E L’ "H" DELL’UMANITA’ DI OGNI ESSERE UMANO!!! --- "PARROCO E OMOSEX, NON MI NASCONDO SONO I VESCOVI A TEMERE LO SCANDALO" (di Marco Politi).... «IO, PRETE GAY ALL’ATTACCO DELL’IPOCRISIA CATTOLICA» (di Patrizia Albanese).

venerdì 9 gennaio 2009

Padre Felice esce allo scoperto: ora ho una storia, chi sa lo accetta

«IO, PRETE GAY ALL’ATTACCO DELL’IPOCRISIA CATTOLICA»

di Patrizia Albanese (Il Secolo XIX, 09 gennaio 2009)

Genova. «Come vive la propria omosessualità un prete come me? Con molta serenità». Padre Felice, 50 anni, parroco in un Comune della Liguria, parla con il tono leggero di chi questa «serenità» non soltanto la vive davvero, ma la trasmette pure agli altri. Anche perché se l’è conquistata a caro prezzo. Con anni di tormenti, iniziati da adolescente. E poi in seminario, dove confida di aver «avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista». Una bella storia d’amore, «poetica, durata a lungo: per 15 anni». Ma che non gli ha risparmiato riflessioni interminabili e molto critiche. Sia verso se stesso, sia verso la Chiesa. Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay.

«Sì, sono gay come molte altre persone all’interno della Chiesa, sebbene non tutte si manifestino». Appunto. Molti religiosi - preti e suore - sono omosessuali. Ma difficilmente ne parlano. Tantomeno in pubblico. Invece Italo, come si chiamava padre Felice nel mondo laico, quando ancora abitava in Lombardia con la famiglia, non soltanto ne parla, ma lo fa con estrema naturalezza. Conferma padre Felice: «Per vivere l’omosessualità con serenità occorre accettare se stessi. E mettere un filtro alla dinamica della gerarchia ecclesiastica e omofobica».

Padre, non è che qui parte una sospensione a divinis?

«All’inizio, vivi con terrore. Nascondendolo a te stesso. Poi capisci che devi accettarti, facendo un cammino di maturazione affettiva. Un cammino che di solito viene negato. Basta leggersi "Il diario di un curato di campagna" di George Bernanos per capire che cosa prova il classico pretino schiacciato».

Quando ha realizzato di essere gay?

Da ragazzino, si percepisce. In seminario, si realizza pienamente. Verso i vent’anni, si arriva all’accettazione».

Di nascosto? Pregando e macerandosi?

«Ho avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista. Era tutto molto poetico. Si hanno vent’anni. E tutta l’incoerenza dei vent’anni. Ma con la speranza data dalle aperture del Concilio. Così almeno si pensava allora. Perché poi è arrivata la Restaurazione. Ma la Chiesa non è una compagnia militare. È una comunione di più voci. Di più anime».

Quant’è durata la storia in seminario?

«Quindici anni. Anche lui è diventato prete. Poi ci siamo lasciati. L’amicizia è rimasta. Ora è missionario in Centro America».

Lei è così tranquillo...

«Guardi che conosco molti preti omosessuali, molto tranquilli e altrettanto sereni. Diverso è il caso di quelli che rifiutano di accettarlo e di accettarsi. Sono i primi a scagliarsi...».

Lei è single?

«Ho una storia da sei mesi. Con un coetaneo. Prete? No, pure lui single».

Scusi, padre, e la comunità?

«Non tutti sanno tutto. Mica siamo a un reality. Però chi sa accetta. E non ha problemi. Anzi, proprio per questo sono diventato un punto di riferimento per chi ha problemi d’amore. No, non soltanto gay. Anzi. Direi che si rivolgono a me i ragazzi etero. Sanno che posso comprenderli».

Scusi, ma la castità?

«Bella domanda. Soltanto i monaci e i frati fanno voto di castità sul modello greco di perfezione. Noi preti facciamo promessa di celibato».

Ossia?

«In realtà è frutto di un diktat della Chiesa del 1200, decisa a evitare che i patrimoni finissero alle famiglie dei religiosi. In realtà, non c’è mai stato obbligo di celibato. Tant’è che non esiste nelle altre religioni. E fino al 1200 neppure per noi. Francamente, penso che il fatto di vivere da soli non faccia maturare. Non ti fa preoccupare dell’altro».

Come dire che senza un partner e dei figli non si possono comprendere gli affanni quotidiani dei fedeli?

«Concordo. Ma sempre più la famiglia etero viene usata come scudo contro gli omosessuali. È la tragedia del nostro tempo. Che esiste solo da noi. Non in Africa, per esempio. La vita celibataria nelle Missioni non esiste. È importante, però, non farlo sapere. È il gap tra realtà e gerarchie ecclesiastiche. Che all’inizio tutelavano i patrimoni, ora disprezzano la sessualità. A parole. Nell’ipocrisia cattolica, basta non farlo sapere».

Invece lei fa coming out. È innamorato?

«Sì, felicemente. Da sei mesi. Una cosa molto serena».

Chi ha fatto il primo passo?

«Direi lui, eravamo in vacanza. Abbiamo iniziato parlando molto. Ci incontravamo».

E ora quando vi vedete? Nel fine settimana?

«Veramente, sabato e domenica io non posso... - ride - Ma nei giorni feriali, stiamo insieme».

Allora, auguri.

«Grazie di cuore».

Patrizia Albanese


Don Z., sacerdote di campagna: "I miei fedeli lo sanno, spesso la gente è più avanti di quel che si pensi"

"PARROCO E OMOSEX, NON MI NASCONDO SONO I VESCOVI A TEMERE LO SCANDALO"

Cominciò tutto in seminario, mi innamorai di un ragazzo: ora è andato via, siamo amici

di MARCO POLITI (la Repubblica, 09 gennaio 2009)

ROMA - Prete, gay, cinquantenne. Don Z. non è rimasto affatto colpito dal fatto che si stia aprendo una breccia nel muro di tabù che nella Chiesa circonda ancora l’omosessualità.

«L’Avvenire - risponde sorridendo - agli occhi del clero rappresenta un po’ il giornale governativo. Certo affermare la normalità dell’omosessualità diventa importante per quei fedeli i quali attendono ancora la linea dalla gerarchia. Però interessa meno a quei preti che da tempo vivono liberi la propria affettività».

Don Z. è parroco di campagna, è stato ordinato circa una ventina di anni fa e in un certo senso è gay da sempre.

Quando ha scoperto il suo orientamento sessuale?

«Da adolescente, come molti, e poi più chiaramente al seminario».

Cosa è successo?

«Mi sono innamorato di un altro seminarista. È una storia durata qualche anno, anche lui è diventato prete, ha cambiato città e siamo rimasti buoni amici».

Non siete stati scoperti?

«In seminario ognuno si faceva gli affari propri. C’era una vita abbastanza libera e su una trentina di allievi circa sette, otto avevano relazioni. Etero oppure omosessuali».

Prima dell’ordinazione ha avuto dubbi?

«No».

Poi ha avuto altre storie?

«Ci sono stati anche periodi in cui sono stato per conto mio, una breve stagione in cui ho frequentato ritrovi gay, ma in complesso ho vissuto una vita tranquilla. Adesso da un anno ho una nuova relazione. Credo che tutto dipenda dalla maturazione di una persona. Ci sono preti bravissimi che non hanno alcuna relazione e preti altrettanto bravi che hanno un rapporto».

Tutto avviene sempre in maniera così serena?

«Niente affatto. Ci sono preti che vivono la loro situazione con grande sofferenza, perché oscillano fra liberazione e repressione. Non hanno il coraggio di essere chiari con se stessi. Non c’è cosa più drammatica che rifiutare se stessi e contemporaneamente abbandonarsi ad una sessualità sregolata e poi ricadere nel bisogno di colpevolizzazione. Alla fine è essenziale chiarirsi e affrontare la vita con maturità».

I vescovi sanno?

«I vescovi sono terrorizzati, soprattutto in questa fase di restaurazione in Vaticano. Se c’è scandalo, cercano di coprire. Se tutto avviene senza scalpore, spesso fingono di non vedere. Magari vengono a sapere che un prete ha un nipote in canonica che nipote non è, ma sono restii a intervenire o suggeriscono semplicemente di non creare situazioni che possano creare scompiglio».

I suoi fedeli lo sanno di avere un parroco gay?

«Alcuni sì. Spesso i fedeli sono più avanti di quanto si pensi. "Sappiamo che quel prete ha amici - dicono - ma è bravo, predica bene, confessa bene, assiste gli anziani. Apprezziamo quello che fa". Da me in parrocchia i ragazzi e i giovani lo sanno».

Come l’hanno scoperto?

«Gliel’ho detto io».

Sul serio?

«Ho alcuni gruppi di ragazzi. Un giorno uno di loro ha detto di non sopportare gli omosessuali. Allora gli ho risposto: guarda, che ne hai uno davanti! I ragazzi hanno reagito in modo molto tranquillo, nessuno è andato in giro a dire niente. D’altronde uno di loro ha una zia lesbica, in paese lo sanno tutti e niente più».

In confessione ha incontrato fedeli, che hanno sollevato il problema di essere gay?

«Qualche volta. In genere, giovani angosciati dall’insegnamento cattolico tradizionale, che li spinge a non accettarsi, quasi a odiarsi, perché l’omosessualità è presentata come una cosa orribile e mostruosa».

E lei cosa fa?

«Li consiglio a rivolgersi a qualcuno che possa aiutarli a capire meglio se stessi».


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