Stupro a Montalto, quel sindaco se ne vada
di Lidia Ravera *
Avrebbe avuto le sue buone ragioni, il sindaco Salvatore Carai, nel dichiarare di aver anticipato le spese legali a un branco di giovani inquisiti perché «sono tutti minorenni», perché «non sono in grado di provvedere da soli» e perché sono «presunti innocenti» fino alla condanna definitiva. Le avrebbe se il branco avesse “presumibilmente” rapinato una banca. Se avesse scazzottato o fatto casino. Perfino se avesse, sempre con la garanzia del dubbio, ammazzato qualcuno. Ma il branco è accusato di aver violentato ripetutamente e col vantaggio del numero una ragazzina, sola, nel folto di una pineta, alla fine di una festa.
È la ragazzina che li ha accusati. È lei che li ha riconosciuti, smascherati, inchiodati alle loro responsabilità. A questo punto l’esercizio del dubbio più che di una garanzia democratica a favore dei presunti colpevoli ha il sapore di una mancanza di fiducia nella parola della sicura innocente. Così, Salvatore Carai, sindaco di Montalto di Castro, risulta non avere, ahimè, alcuna buona ragione. Viene da chiedersi se abbia delle figlie. Se abbia una moglie, una fidanzata. Gli uomini, per capire che cos’è uno stupro, devono fare uno sforzo di fantasia. Se amano una donna, una bambina, una ragazza, forse, ci riescono meglio, a immaginare l’orrore. Difficile? Li aiuto io: tu hai 15 anni, hai ballato, ti sei divertita, magari qualcuno ti ha anche fatto un po’ la corte, ti senti grande. Poi è tardi, devi tornare a casa, vuoi riviverti tutta la festa, domani la racconterai alle tue amiche. Ti incammini, ma qualcuno ti segue, non è un ragazzo da solo, sono quattro, sei, otto. Improvvisamente hai paura, non dai corda, allunghi il passo. Ma quelli ti sono addosso. Sono più forti di te, sono tanti e tu sei sola, ti rovesciano per terra con la facilità con cui si schiaccia col piede una formica. Gridi, ma le tue grida li eccitano ancora di più. Ce ne hai uno sopra, senti un gran male. Qualcosa si lacera. Non pensavi che fosse così brutto. Tutti dicono che è meraviglioso. Il dolore cresce, con il dolore la paura. I ragazzi si danno il cambio sul tuo corpo, come se tu fossi una latrina e loro, a turno, facessero i loro bisogni dentro di te. Pensi che non lo dimenticherai mai. E sarà così. Passerai la vita ad avere paura, a sentire disgusto per quella cosa bellissima che è fare l’amore. Quando si stancano di seviziarti ti lasciano per terra, spossata, sporca, vergognosa e dolorante, col terrore di essere rimasta incinta (a 15 anni, 17, 20 è facilissimo), col terrore di essere una cosa, un utensile, un pupazzo, un pezzo di carne che i maschi si divertono a penetrare. Ha idea, adesso, il garantista signor sindaco, di come ci si sente dopo essere servite ad un branco di mascalzoni per celebrare il loro selvaggio rituale di affermazione e di potenza? Mi crede se gli dico che non si dimentica mai, per tutta la vita? Oppure deve sentire altre opinioni, pagare un principe del foro e provare a ridurre la pena? Lo stupro, caro sindaco, è un reato contro la persona. Nell’area del partito in cui Lei milita, quello dei democratici di sinistra, da trent’anni, le donne conducono una battaglia perché la violenza carnale non sia più considerata come una faccenda da “offesa al pudore”, perché non sia giustificata mai, in nessun caso, nemmeno se chi subisce violenza è una provocante fanciulla in minigonna, a tette nude, senza mutande, nemmeno se è la moglie dello stupratore, nemmeno se è una prostituta. Mai, in nessun caso, gli uomini possono prendersi quello che una donna non ha voglia di dargli. Mai, a nessuna età. Chiaro, signor sindaco democratico di sinistra? Speriamo di sì, speriamo che abbia imparato qualcosa. Ma nel frattempo, la prego, proprio in virtù della sua collocazione politica, dia le dimissioni dal suo incarico. Lo faccia per noi, noi che i democratici di sinistra li votiamo, sotto varie etichette, da quando abbiamo incominciato a votare. Noi che ci illudiamo (ne abbiamo bisogno, non sappiamo farne a meno) che essere parte della sinistra voglia dire essere diversi. Più dalla parte dei deboli, più attenti alle specifiche croci della condizione femminile, più decisi nel perseguire la violenza di gruppo (fatua, disgustosa). Noi che abbiamo bisogno di illuderci (ancora? Sì, ancora) che essere di sinistra voglia dire qualcosa.
www.lidiaravera.it
* l’Unità, Pubblicato il: 21.07.07, Modificato il: 21.07.07 alle ore 9.29