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DANTE E LA "MONARCHIA" DI AMORE. L’Arca dell’Alleanza, il Logos, e l’ordine di Melchisedech...

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA" di Federico La Sala (in un "quaderno" della Rivista "Il dialogo"), con prefazione di Riccardo Pozzo.

AL DI LÀ DELL’EDIPO E DEI VECCHI HEGEL HEIDEGGER HABERMAS E RATZINGER. Nel 200° anniversario della pubblicazione della "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel (1807)
martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
L’Arca dell’Alleanza del Logos e il codice di Melchisedech
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
di Federico La Sala
IL DIALOGO/Quaderni di teologia, Martedì, 24 luglio 2007

VIRGILIO A DANTE: "«[...]Dunque: che è? perché, perché restai?/perché tanta viltà nel core allette?/perché ardire e franchezza non hai?/poscia che tai tre donne benedette/curan di (...)

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> DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE --- IL PROBLEMA DELL’IMITAZIONE DIVINA. "Pasolini After Dante" (E. Patti, 2016). Rec.ne di C. Savettieri..

venerdì 8 gennaio 2021

Emanuela Patti - Pasolini after Dante. The «Divine Mimesis» and the Politics of Representation.

Scritto da Cristina Savettieri. *

[ Legenda, Oxford 2016 ]

Il libro di Emanuela Patti sul Dante di Pasolini è, sul piano del metodo, uno studio esemplare: poggia, infatti, su un’idea di ricezione che non ha niente a che vedere con modelli di relazione unidirezionali, basati sul principio dell’influenza dimostrabile attraverso indagini intertestuali, e collauda una pratica di lettura dei fenomeni culturali fatta di triangolazioni. Partendo da un assunto fondamentale di Stuart Hall, uno dei padri dei cultural studies, Patti lavora sul «circuit of culture» del campo letterario italiano tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, scegliendo come specola di osservazione l’opera di Pasolini e la sua complessa relazione con il modello linguistico, poetico e ideologico di Dante. Questo significa che quella che abbiamo davanti non soltanto è una monografia su Pasolini ma diventa anche una accuratissima ricostruzione archeologica degli usi del realismo nella cultura italiana del secondo dopoguerra e dell’impatto che la ricezione di Dante ebbe su essa. Pasolini è un attore primario di questo contesto e seguirne la traiettoria illumina alcuni elementi fondamentali di quel torno cruciale di anni tra i Cinquanta e i Sessanta: la questione della lingua e quella dell’impegno, la mediazione tra cultura alta e cultura popolare, la rappresentazione dei subalterni.

La tesi principale di Patti, argomentata con un solido sostegno di fonti, è che Pasolini modelli le proprie posizioni sul realismo a partire da un incontro “mediato” con Dante: se nei primi anni Cinquanta è il Dante di Contini - e in particolare dello storico saggio Preliminari sulla lingua del Petrarca (1951) - a modellare le riflessioni di Pasolini sulla rappresentazione dell’altro e il suo cruciale incontro con Gramsci, alla fine del decennio sarà la lettura di Mimesis e dei saggi danteschi di Auerbach a spingere Pasolini verso una pratica artistica intermediale. I concetti chiave di queste due fasi sono il plurilinguismo, che combinandosi al magistero gramsciano ispira le antologie di Poesia dialettale e di Poesia popolare e la composizione di Ragazzi di vita (1955), e il realismo figurale fondato sull’appropriazione del principio della Stilmischung, che nutrirà invece la ricerca di ibridazione intermediale della produzione cinematografica da Accattone (1961) al Vangelo secondo Matteo (1964). Patti non soltanto mostra come le auctoritates di Contini e Auerbach filtrino l’avvicinamento di Pasolini al modello dantesco, ma spiega anche in dettaglio come questi “filtri” reagiscano al paradigma gramsciano e producano esiti distinti da quelli di altri attori nel campo. Questo andamento per triangolazioni, fatto di costruzione diacronica e affondi sincronici, produce acquisizioni illuminanti.

La Divina Mimesis è infine letta da Patti come punto di massimo avvicinamento a Dante e, contemporaneamente, come gesto di radicale e consapevole allontanamento. Per certi versi, infatti, nell’opera scritta a strati tra il ’63 e il ’65 - con un ulteriore ripresa nel ’67 e poi, per un’ultima volta, nel ’74-75 - i due dantismi di Pasolini trovano un punto di sintesi: La Divina Mimesis è, infatti, una profonda riflessione sul plurilinguismo ma anche un esperimento di ibridismo intermediale condotto secondo il principio della Stilmischung. Al tempo stesso, questa è l’opera in cui proprio l’utopia del plurilinguismo come mezzo di rappresentazione dell’altro entra in crisi.

Patti individua nei primi anni Sessanta il momento in cui Pasolini si congeda dal modello intellettuale degli anni Cinquanta e dal suo ideale di realismo “inclusivo”. Il merito principale del libro è di osservare questo snodo cruciale in maniera stratigrafica, restituendo, attraverso un’analisi puntuale dei testi come parte del «circuit of culture», tutto il travaglio poetico e ideologico che segna la svolta performativa di Pasolini autore ormai scisso: quella, cioè, in cui si consuma il passaggio da una politica della rappresentazione a una «politics of self-representation», come felicemente Patti la definisce.

*Fonte: Allegoria


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