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"ITALIA". AMARE L’ITALIA: RIPRENDIAMOCI LA PAROLA. VAFFA-DAY?! ONORE A BEPPE GRILLO. Contro la vergognosa confusione dell’ "antipolitica" in Parlamento e della "politica" in Piazza, l’invito ad uscire dalla "logica" del "mentitore". Una lettera (2002), con un intervento di Beppe Grillo (la Repubblica, 2004), di Federico La Sala.

domenica 16 settembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Economia allora non vuol più dire studiare, ricercare, inventare, produrre, ma ridere, ingannare e vendere. Conducendo gli affari di Stato come quelli pubblicitari e televisivi, i nostri mastrolindi sono riusciti in pochi anni a indebolire l’Italia più di quanto avessero fatto in decenni i loro protettori socialisti e democristiani. Adeguando diversi ministri e parlamentari alla volgarità e al turpiloquio delle loro televisioni, hanno ribaltato il significato della parola "volgare". (...)

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> "ITALIA". ---- PIAZZA SAN GIOVANNI, 22 FEBBRAIO 2013: PARADOSSO FINALE. Il leader della sinistra tiene il comizio conclusivo in un teatro di cabaret, e un ex cabarettista riempie piazza San Giovanni come mai si era visto dai tempi dei funerali di Togliatti (25 agosto 1964) e di Berlinguer (13 giugno 1984).

sabato 23 febbraio 2013


-  San Giovanni è grillina
-  In centomila (lui dice, “ottocentomila”) per il leader M5S
-  Giornalisti italiani tenuti lontani dal palco

-  di Paola Zanca (il Fatto, 23.02.2013)

In piazza San Giovanni sono in centomila (lui dice, “ottocentomila”). Indica i politici e ripete: “Per questa gente è finita”. Se la prende con le tv italiane: “Continuano a mentire”. Per allontanare i cronisti chiama i carabinieri, ma è una brutta scena. La folla lo acclama assieme a Casaleggio: “Cambieremo l’Italia” Eccoci qui, nella città dove li vedete girare nelle loro autoblu. Non hanno ancora capito che cosa sta arrivando. Arrendetevi. Siete circondati. È finitaaaaaaaaaaa! ”. Una signora di mezza età, con le stampelle si dispera: “Mannaggia a ’sto ginocchio... sennò stavo sotto al palco! ”. Vorrebbe stare lì, davanti a Beppe Grillo e a Gianroberto Casaleggio, che hanno appena fatto il loro ingresso in piazza San Giovanni, a Roma. Stracolma, “più del concertone”, dicono loro, che si contano in “ottocentomila”. Il vigile li guarda con l’aria di chi di piazze ne ha viste tante: “Ma che state a di’, il primo maggio questo se lo sogna”. Loro, più che alla festa dei lavoratori, pensano alla Liberazione: “È il nostro 25 aprile”. Solo che i partigiani a Cinque Stelle cominciano male: fuori i cronisti italiani, dentro solo quelli delle testate straniere e Sky.

UN TIRA E MOLLA di ore: prima il “no” deciso, compreso a chi si era regolarmente accreditato, tanto che arrivano i carabinieri per identificare un cronista troppo insistente, secondo i canoni di giudizio dello staff del movimento. Poi interviene l’Ordine dei giornalisti (“selezione della razza”) e la stampa estera (“libertà non rispettata”) e le transenne si aprono: tutti in fila, divisi per gruppi, pronti a raccontare il backstage. Niente da fare: venti metri e di nuovo il cordone dei volontari ferma tutti. Problemi di ordine pubblico, spiegano, che si risolvono magicamente appena arrivano due firme di Le Figaro. Lui, Beppe, nemmeno si volta quando arriva a bordo del camper che l’ha portato in giro per l’Italia, soltanto dieci minuti prima di cominciare lo show. “Dio mio cosa abbiamo fatto - dice - È tutta la notte che mi esercito per non commuovermi”. Piangono invece i candidati che uno alla volta sono saliti sul palco per presentarsi agli elettori.

OGNUNO con la sua proposta. Matteo Arena, da Latina, per esempio vuole “la vendita dei farmaci sfusi”. Da sotto qualcuno li ascolta: “Fosse vero”, dicono ogni volta che sentono qualcosa che credono potrebbe cambiare le loro vite. Altri ripetono in coro: “Tutti a casa”, “Basta casta”.

Grillo li rintuzza dal palco. Contro i professori: “Nei call center ci vadano i figli della Fornero”. Contro i politici: “Bersani dice che io sono miliardario, lui è un parassita”. Gli striscioni parlano lo stesso linguaggio. Nei gazebo, invece, si fanno scoperte interessanti. Alla nursery, per esempio, si accolgono i bambini e “si intrattengono anche le mamme, ma solo se giovani”. Il merchandising, invece, ha in bella vista le solite magliette, penne e spille, eppure vendono anche la bandana: chi non vuole sentirsi un Berlusconi in Costa Smeralda stia sereno, ci sono le cinque stelle.

Il “Sarà un piacere day” è costato circa 70 mila euro, raccolte con le donazioni, più il lavoro di 300 volontari. Una maratona di quattro ore: dopo Grillo, sale sul palco Federico Pizzarotti (“Vi siete addormentati? ”, chiede il sindaco di Parma alla piazza che si è spenta in un attimo), poi per la prima volta parla Casaleggio: “Cambieremo l’Italia”, dice, accennando a tutte le volte che lui e Beppe hanno pensato di “gettare la spugna” e si sono fatti forza l’un l’altro. E ancora Giancarlo Cancellieri, il capogruppo siciliano, “figlio” della traversata dello Stretto. Quando alle cinque del pomeriggio arriva in piazza San Giovanni, è letteralmente assalito dai fan e lui è diventato bravissimo a fare la faccia da foto mentre risponde alle domande.

COME STA ANDANDO in Sicilia? “L’attività legislativa si impara (cheese), il problema sono i giochetti di potere: nel sistema ci devi entrare (cheese) chi dice il contrario sbaglia: altrimenti tu che sei sanu sanu finisci fregato”. Cheese. Insieme a lui, a farsi immortalare negli scatti, ci sono persone di ogni tipo. Uno come Pasquale, 32 anni, già elettore di Berlusconi che lo ammira solo perché “se fosse un altro andrebbe in giro già con due Audi”. O un altro come Benedetto, 60 primavere, ex Pci, ex rifondarolo, ex Idv, ora “per la ghigliottina”: “Robespierre la democrazia l’ha fatta così: meglio morire che passare una vita da pollo”. Mentre lui esprime la sua teoria, una ragazza lo rimprovera: “Prima ci proviamo con le buone, poi, se non ci ascoltano, passiamo alle cattive”. Alle 22 il comizio è finito. Grillo chiede alla piazza di far sentire a Napolitano il “boom”. Poi, si chiude con la canzone con cui tutto è cominciato: “Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta, ognuno vale uno”. Qualche metro più in là, una giovane mamma guarda soddisfatta la bimba nel passeggino: “È riuscita ad addormentarsi con Grillo, è il massimo”.

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-  «Noi» contro «loro»
-  L’ultimo comizio-show su Nano e Gargamella

di Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 23.02.2013)

«Noi», e loro. «Noi»: esodati, cassintegrati, pignorati, indignati; minatori del Sulcis, senzacasa del terremoto emiliano e dell’alluvione delle Cinque Terre, maschere di «Anonymous» che non nascondono pirati informatici ma vecchiette arrabbiatissime; e tutti i No possibili, No Tav, No Gronda, No Autostrada Roma-Latina, No Inceneritori (tranne quello di Parma che si farà). Loro: l’Europa, le banche, l’Agenzia delle Entrate, «i Palazzi», le macchine blindate, la Rai, i giornali, i sindacati, i notai, i burocrati «tutti incompetenti», i partiti «tutti uguali», i politici «tutti ladri», da cui il grido: «Tutti a casa!».

Di là, l’establishment, la «vasca di squali» con i suoi servitori del tutto intesi al male, e una situazione «ancora peggiore di quanto pensiate» come ammonisce Gianroberto Casaleggio all’esordio in piazza. Di qua, un «futuro nuovo, solidale, felice» in cui la democrazia è diretta, ci si informa l’un l’altro in rete, si lavorano 30 ore alla settimana anzi 20, i preti potranno sposarsi a qualsiasi età e tutti ricevono mille euro al mese dividendosi i soldi delle missioni di pace, perché tanto «non esistono missioni di pace», e quindi riprendano pure a scannarsi kosovari e serbi, Israele ed Hezbollah. Così è nato un fenomeno senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali (l’Uomo Qualunque prese il 5% e durò pochi mesi).

E’ questa la rappresentazione che Beppe Grillo ha messo in scena nel lungo tour per l’Italia, aperto cinque mesi fa con la nuotata nello Stretto - «dicevano che mi veniva l’infarto dopo 500 metri, ci ho messo venti minuti in meno del traghetto» -, proseguita con 76 comizi (lui dice «spettacoli») e conclusa con il clamoroso successo di questa notte a San Giovanni. E il fatto che sia una rappresentazione falsa e consolatoria non significa che non sia affascinante, anzi. Gli ingredienti per sedurre, trascinare, conquistare voti in ogni ceto e schieramento ci sono tutti, a cominciare da quelli offerti da partiti che hanno fallito ogni chance possibile, a cominciare dal taglio di prebende e privilegi.

Lo slogan con cui si apre la manifestazione - «Nessuno sarà lasciato indietro» - è lo stesso di George W. Bush; ma il nume tutelare è il sempiterno Dario Fo. Alcune delle venti proposte accolte dagli olé del pubblico romano tipo formazione della Maggica sono identiche a quelle di Berlusconi, dall’abolizione di Equitalia all’impignorabilità della prima casa; ma se Grillo deve citare un prete buono cita un prete rosso, da padre Zanotelli a don Gallo, e Casaleggio cita il Sessantotto. Grillo scorrazza liberamente da sinistra - dov’è nato con il V-Day di Bologna e i successi di Genova e Torino - a destra, dov’è cresciuto con gli attacchi all’Imu, all’euro, al rigore finanziario, alla Merkel cui è dedicato il buu finale.

Così stasera si assiste al paradosso finale: il leader della sinistra tiene il comizio conclusivo in un teatro di cabaret, e un ex cabarettista riempie piazza San Giovanni come mai si era visto dai tempi dei funerali di Togliatti (25 agosto 1964) e di Berlinguer (13 giugno 1984). Ci era andato vicino un altro uomo di spettacolo, Nanni Moretti, nel frattempo tornato all’ovile dell’Ambra Jovinelli con Bersani.

Qui intanto si alternano candidati sconosciuti a gridare alla piazza frasi apocalittiche tipo «vogliono la morte dei miei figli e io non lo permetterò mai!», «noi agricoltori non abbiamo più nulla!», «siamo tutti con le pezze al culo!». Poi qualcuno si commuove e piange, tra gli applausi della piazza. Neanche lui, «il ministro dei sogni», si sottrae: «È tutta la notte che mi esercito per non commuovermi...».

Grillo prende la parola alle 9 meno un quarto di sera e spara subito al bersaglio grosso: il Pd e Bersani, che lui chiama Gargamella, «parassita che deve finire sotto processo insieme con tutti i capi della sinistra dal ’95 a oggi per lo scandalo Montepaschi, il più grave della storia della Repubblica: ventun miliardi di buco!». Ecco perché il Pd non ha bloccato lo scudo fiscale, «per far rientrare le tangenti pagando solo il 5%».

Peggio di Berlusconi, che lui chiama il Nano, «perché quello si vede che mente, mentre la sinistra finge di opporsi e invece hanno governato insieme, si sono passati la borraccia come Coppi e Bartali». Segue il consueto canovaccio - il «politometro», il Parlamento da aprire «come una scatola di tonno», gli 87 procedimenti penali subìti - e un’invettiva contro tutti, De Benedetti, Tronchetti, Caltagirone, Profumo, Draghi, Monti, Napolitano, la Fornero con figlia.

La parte più efficace è quella in cui Grillo racconta il suo lungo viaggio nell’Italia della crisi, «le pugnalate nel cuore», le «macerie invisibili», la gente «che soffre, perde il lavoro, si ammazza», un dolore che «non riesco a tenere da solo»; e dall’altra parte i segretari di partiti «che vanno in tv a farsi intervistare dai loro dipendenti», che «tolgono i soldi alla scuola pubblica e ai malati di Sla», che «si chiudono nei loro teatrini e non capiscono la rivoluzione della rete». Come i giornalisti, ammessi solo grazie all’intervento della polizia, cui dice con voce suadente cose terribili tipo «i vostri giornali chiuderanno, il vostro mestiere è finito, non servite più a nulla».

Sul palco viene fatta salire trionfalmente solo l’inviata della tv danese, e nella sua telecamera dopo un’ora e più di un discorso Grillo urla: «Siamo 800 mila, più quelli collegati con 120 piazze in tutta Italia; è il più grande evento mediatico di tutti i tempi! Li mortacci vostra quanti eravate!».

La reazione della folla è impressionante, la rabbia prevale sullo scoramento, si sventolano tricolori al grido «Italia-Italia», ragazzi che si erano persi ritrovano i genitori dietro la statua di San Francesco, l’intero quartiere è invaso da gente che non è certo qui per uno spettacolo gratuito ma è rimasta per ore in coda a tratti sotto la pioggia, e ora si scambia previsioni clamorose ma non troppo distanti dalla realtà: «Siamo sopra il 20%», «in Sicilia il premio di maggioranza lo prendiamo noi», «siamo il secondo partito forse il primo»... Poi prendono ramazze e sacchi e cominciano a pulire la piazza.


E in piazza la rockstar del populismo seduce la folla di delusi e arrabbiati

di Curzio Maltese (la Repubblica, 23.02.2013)

ROMA A MENO che non abbia preso anche lui un master a Chicago a nostra insaputa, Grillo apprezza soltanto la stampa che non è in grado di leggere. Un vantaggio nel suo caso, perché i giornali stranieri, da Le Monde a Figaro, da Guardian alla Faz, ne hanno scritto come di un guitto populista, l’ennesimo fenomeno da baraccone della politica all’italiana. Al confronto la stampa nazionale è stata molto più prudente e gentile, soprattutto da quando i sondaggi sono in crescita. Ma che importa? Lo spettacolo non è il palco, il guru che abbraccia e benedice i discepoli e poi sale a fare l’ultimo tonitruante show del genere solo contro tutti. Lo spettacolo è la piazza.

Le piazze sono di solito migliori o peggiori dei partiti, movimenti o sindacati che le convocano. In questo caso, ha invece l’aria di essere perfettamente uguale. Uno specchio fedele, una fotografia mossa dell’Italia che voterà 5 Stelle. Molto maschile, abbastanza giovane, ma non troppo. Tutti questi ragazzi non si sono visti. Una larga prevalenza di trenta e quarantenni, con molti anziani, i più entusiasti. Slogan di destra e di estrema sinistra. Se c’è una novità nel popolo di Grillo, addirittura l’annuncio di una rivoluzione politica italiana e forse mondiale, io non l’ho trovata.

Sembra a prima vista la solita Italia in buona fede, che ama le semplificazioni, le teorie del complotto e i venditori di sogni, ingovernabile e contenta di esserlo, tenuta insieme dal risentimento. Se chiedi a cinquanta persone perché voteranno Grillo, quarantotto rispondono perché gli altri fanno schifo, rubano e sono tutti uguali, destra e sinistra. Uno parla di inceneritori e un altro di precariato giovanile e salario garantito. E’ chiaro che il programma non se l’è letto nessuno. Com’è del resto per tutti gli altri partiti.

Grillo si fa attendere come una rock star e quando è il suo turno non delude. Un animale da spettacolo come pochi. La campagna elettorale è stata la tournèe capolavoro di una vita. Ha usato la piazza e Internet, ma soprattutto la televisione, dov’è nato. Meglio di chiunque altro nella storia, da far impallidire d’invidia Silvio Berlusconi che per quanto padrone qualche volta ha dovuto rispondere, accettare regole e domande. Grillo mai. Compare soltanto in comizio, senza contraddittorio, come e quando vuole. Tanto fa audience. Non deve mai rispondere di quello che ha detto, ma neppure affannarsi a smentire, come il povero Berlusca: è colpa dei giornalisti. Però a vederlo in mezzo a quest’avventura, unico punto di riferimento di una folla così indistinta, individualista, Grillo fa un po’ tenerezza.

Che ne sarà di lui dopo questo travolgente successo? Fra sei mesi, un anno? E’ già incredibile, «pazzesco» direbbe lui, che sia arrivato qui. Ho visto Grillo la prima volta a metà anni Ottanta, sul set di un film di Dino Risi. Cercava di imitare Coluche, un vero genio comico che aveva progettato di candidarsi alle presidenziali francesi dell’81, mandando in tilt i sondaggi. La carnevalata era durata pochi mesi, con in mezzo la tragedia dell’assassinio del collaboratore Renè Gorlin.

E’ curioso come le forme influenzali della democrazia francese sbarchino a distanza di anni in Italia, diventando epidemie ventennali. Dopo il comico in politica, i francesi hanno avuto il partito azienda di Bernard Tapie, ultra miliardario, proprietario di tv e squadre di calcio, ma anche quell’esperimento era durato in tutto un anno e il capo era finito in galera. Considerato che l’ultimo fenomeno transalpino è la figlia di Le Pen e il suo movimento xenofobo, c’è da toccare ferro. Grillo poi l’ho seguito in tutte le sue mille vite, da protagonista della dolce vita anni Ottanta, con Ferrari fiammante, a profeta anti tecnologico e sfascia computer nei Novanta, quindi guru della Rete e ora capo del secondo o terzo partito d’Italia.

Ma lo spettacolo continua a non essere lui. Lo spettacolo è la folla di San Giovanni e il paese alle spalle, che ascolta in religioso silenzio, interrotto da scoppi di idolatria, lo sgangherato comizio di un bravo comico con diploma da ragioniere che discetta di fine del lavoro e modelli energetici futuribili, come fosse la sintesi di Marx ed Einstein, mescolando accenni sull’universo e i destini del capitalismo con considerazioni sulle spese di rappresentanza del Quirinale e l’infame Equitalia. Bisogna soltanto sperare che la stampa estera, così ben accolta, sia clemente col nostro povero Paese e la sua inesausta, per quanto a oggi non fortunatissima, vocazione a fare il laboratorio politico della minchiata.

Si tratta anche di sperare nel buon senso e nell’onestà dei cento grillini destinati a entrare in Parlamento, alla fine di tutta ‘sta rivoluzione. Finora è andata abbastanza bene. A Parma la giunta 5 Stelle non ha realizzato una singola promessa elettorale, dal no all’inceneritore al taglio dell’Imu agli aiuti alle famiglie povere, ma almeno non ha fatto i danni dei precedessori. Alla Regione Sicilia, dov’è primo partito, il movimento sostiene la giunta Crocetta, una volta compreso che non è proprio uguale a Cuffaro e Lombardo. Se i cento grillini servissero poi da pungolo per far approvare quei due o tre provvedimenti di decenza e riforma della politica, dal dimezzamento dei parlamentari al taglio dei vitalizi, allora che siano i benvenuti.


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