Inviare un messaggio

In risposta a:
LA TERRA VISTA DAL SOLE. La casa del genere U-ma-No .... e della "pace perpetua"(Kant) .

ALLAH, ISLAM, CORANO. PICCHIARE DONNE, UCCIDERE UOMINI, TERRORIZZARE E DISTRUGGERE TUTTO. QUESTI, PROPRIO QUESTI, SONO GLI INSEGNAMENTI DEL PROFETA MAOMETTO?! Un’intervista a Laleh Bakhtiar, autrice di una nuova traduzione del Corano, e un intervento di Mohsen Hamzehian dell’Unione per la Democrazia in Iran.

domenica 23 settembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Da alcuni giorni la stampa occidentale, ed in particolare quelle statunitense e britannica, evidenziano la preparazione militare per un attacco rapido e mirato. Continua la singolare convergenza tra le azioni dell’amministrazione Bush, che vorrebbe realizzare il suo progetto del 2002 di un grande Medio Oriente ridotto a marionetta filo-occidentale, ed il governo messianico di Mahmmud Ahmadinejad che puntella il suo apparato di potere proprio sfidando la comunità internazionale, (...)

In risposta a:

> ALLAH, ISLAM, CORANO. ---- RAFIA ZAKARIA: DISTINGUERE LA FEDE DALLA PROPAGANDA.

venerdì 5 novembre 2010

RAFIA ZAKARIA: DISTINGUERE LA FEDE DALLA PROPAGANDA *

Il nome di Sakineh Ashtiani e’ ora ben conosciuto nel mondo. La quarantaduenne, madre di due figli, e’ stata imprigionata per omicidio ed adulterio in Iran. E’ stata nel braccio della morte fin dal 2006. Quest’anno i suoi figli hanno dato inizio ad una campagna internazionale per prevenire la sua esecuzione. Alcuni rapporti assicuravano che, a causa dell’accusa di adulterio, Sakineh sarebbe stata lapidata a morte. Appelli sono stati lanciati da organizzazioni per i diritti umani in tutto il mondo e la petizione "Free Sakineh" conta celebrita’ internazionali tra i suoi firmatari.

L’8 settembre 2010, Ramin Mehmanparast, un portavoce del governo iraniano, ha confermato che la sentenza della lapidazione era stata sospesa dal governo stesso, ma ha espresso l’opinone che la pena capitale sarebbe stata eseguita con altri metodi. In un blitz mediatico che ha accompagnato la sua presenza all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha spostato l’attenzione sul caso di una donna condannata a morte negli Usa. Una sua frase recita: "Una donna sta per essere giustiziata negli Stati Uniti per omicidio, ma nessuno protesta".

La strategia di Ahmadinejad, il giustificare la condanna a morte di una donna puntando il dito su un’altra, e’ assai vecchia. I leader mondiali, di routine, usano la condanna delle ingiustizie in altri paesi come argomento per imporre sfacciatamente ed impunemente una varieta’ di abusi ai loro popoli. Soprattutto nei paesi musulmani, l’esistenza dell’ingiustizia nei paesi occidentali sembra funzionare come scusa conveniente per gli eccessi locali.

Tuttavia, sul fronte internazionale, il caso di Sakineh Ashtiani e l’uso della lapidazione hanno generato palese disapprovazione. La barbarie della lapidazione, di recente descritta nel film "Stoning of Soraya", ha indotto molte persone a concludere che l’Islam e’ univoco nel perpetrare tali tipi di castigo. Questa percezione, basata non solo sul caso di Sakineh, pone una sfida urgente e pressante alla teologia ed ai musulmani impegnati nel prevenire il furto della loro fede, che viene usata per obiettivi politici da svariati governanti. Molti musulmani hanno firmato la petizione per liberare Sakineh Ashtiani. Le loro argomentazioni sono pero’ tutte basate sui principi dei diritti umani invece che su argomenti teologici islamici.

Quest’ultimo paradigma e’ ora stato fatto proprio da un movimento emergente, guidato da donne musulmane, che cerca di sfidare la pretesa che pratiche come la lapidazione siano non discutibili ed immutabili, basate sulla legge islamica. Il movimento Musawah, iniziato nel 2007 da un’ong malese chiamata "Sister in Islam", cerca di sfidare le diseguaglianze e le istanze come la lapidazione all’interno della cornice concettuale dell’Islam. Il movimento, che include attiviste musulmane dell’Iran, della Nigeria, degli Usa, della Malesia, e di dozzine di altri paesi, ha il seguente principio guida: "Noi, come musulmane, dichiariamo che l’eguaglianza e la giustizia nella famiglia sono sia necessarie sia possibili. Crediamo fermamente che i principi dell’Islam siano una fonte di giustizia ed eguaglianza, opportunita’ e dignita’ per tutti gli esseri umani. Il momento per rendere concreti tali valori nelle nostre leggi e nelle nostre pratiche e’ ora".

In una conferenza tenuta nel febbraio dello scorso anno, la fondatrice di Musawah, Zainah Anwar, ha spiegato: "Molto spesso, le donne musulmane che chiedono giustizia e vogliono cambiare leggi discriminatorie si sentono rispondere: Questa e’ la legge di Dio, e come tale non soggetta a negoziazione o cambiamento". Ha aggiunto che la giustizia e’ un principio centrale ed intriseco all’Islam, e che le donne musulmane non si faranno ridurre al silenzio dalle aggressioni nella loro ricerca per ottenere giustizia ed eguaglianza.

Riguardo l’uso della lapidazione come castigo per l’adulterio, una prominente studiosa islamica femminista, Ziba Mir-Hosseini, socia di Musawah, ha pubblicato di recente una critica delle leggi che la permettono basata sulla teologia islamica. Nel suo documento, pubblicato sul sito web di Musawah ed intitolato "La criminalizzazione della sessualita’: le leggi sulla zina come violenza contro le donne nei contesti musulmani", Mir-Hosseini colloca i reati sessuali (zina) all’intersezione tra "religione, cultura e legge". Ne deduce che pratiche come la lapidazione vanno contrastate su piu’ livelli, in cui include la teologia, la diffusa percezione delle donne come oggetti di proprieta’, e la relazione con altre leggi e meccanismi legali che mettono le donne in condizioni di dipendenza da un "guardiano di sesso maschile". Un importante strumento per fare questo e’ il riconoscere che la maggioranza di tali precetti sono derivati dai fiqh, "pronunciamenti giuridici", resi legali dagli studiosi, ma assolutamente non presentabili come divini ed insuscettibili di cambiamento.

Un’argomentazione teologica contro la lapidazione e’ stata anche fornita dalla professoressa Asifa Quraishi, nel suo recente testo "Chi ha detto che la sharia chiede la lapidazione delle donne?". La professoressa Quraishi presenta una dettagliata discussione della pluralita’ interna alla legge islamica, dimostrando che i sostenitori della lapidazione come necessario elemento della sharia si stanno basando sulla scorretta presunzione che tutto quel che compone la sharia stessa provenga da ordini divini. Nel presentare le fonti plurali dei "pronunciamenti giuridici", Quraishi sottolinea che la differenza di opinioni e la diversita’ sono una parte essenziale della giurisprudenza islamica. Percio’, e’ una grossolana mistificazione dire che sostenere castighi come la lapidazione sia parte dell’essere un musulmano credente, e del credere nella sharia; cosi’ come, di conseguenza, dire che l’opporsi alla sharia sia essenziale per i diritti delle donne.

Le argomentazioni del movimento Musawah e di queste studiose sono sfaccettate: la prima distinzione dev’essere fatta fra la sharia come "via rivelata" e i fiqh, ovvero la scienza della giurisprudenza islamica. In secondo luogo, come disse Qasim bin Jawziyya, un giurista islamico del VII secolo: "I fondamenti della sharia hanno le loro radici nella saggezza e nella promozione del benessere degli esseri umani in questa vita ed oltre essa. La sharia abbraccia la giustizia, la gentilezza, il bene comune e la conoscenza". Con questi strumenti e’ certamente possibile formulare ragioni basate sui fiqh che si oppongano alla lapidazione e ad ogni altra forma di punizione barbarica, sia all’interno della cornice dell’Islam, sia all’interno di quella dei diritti umani.

La presenza della lapidazione, inflitta come castigo per crimini sessuali, nei codici penali dei paesi musulmani e la mancanza di opposizione ad essa dall’interno dell’Islam devono essere causa di pressante preoccupazione per tutti i musulmani. Non si stanno propagandando mistificazioni sulla legge religiosa solo per ingannare gli ignoranti, ma anche per usare la legge religiosa nell’arena politica, invece che come un attrezzo per la giustizia. Movimenti come Musawah ed il lavoro di studiosi emergenti possono provvedere ai musulmani i modi per distinguere la fede dalla propaganda.

*

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Rafia Zakaria per Awid - Associazione donne per lo sviluppo, dal titolo "Sakineh’s case & beyond" del 29 settembre 2010.

Rafia Zakaria, giurista, docente, saggista, e’ direttrice di Amnesty International Usa, direttrice del Muslim Women’s Legal Defense Fund for the Muslim Alliance of Indiana / The Julian Center Shelter; e’ editorialista del "Daily Times" in Pakistan e negli Stati Uniti scrive sul "New York Times", su "Arts and Letters Daily", su "The Nation" e sull’"American Prospect"]

-  COI PIEDI PER TERRA Numero 405 del 4 novembre 2010
-  Supplemento de "La nonviolenza e’ in cammino"
-  Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo,
-  tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: