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Pianeta TERRA e UmaNITA’. Per il dialogo, quello vero.....

MYANMAR, EX BIRMANIA. YANGON. I MILITARI ATTACCANO. MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE A FIANCO DEI MONACI BUDDISTI IN TESTA AL MOVIMENTO DI DEMOCRATIZZAZIONE E DELLA VOLONTA’ DI PACE E DI DIALOGO DI AUNG SAN SUU KYI. Si prepara condanna ONU - a cura di pfls

sabato 6 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
MYANMAR: ATTIVISTI PER DEMOCRAZIA AL TIMES, COMBATTEREMO FINO ALLA MORTE
Londra, 6 ott. - (Adnkronos) - "Combatteremo fino alla nostra o alla loro morte". E’ questo il grido, disperato e determinato, lanciato da due attivisti birmani per la democrazia, che hanno contattato il Times di Londra dal loro nascondiglio nello stato meridionale birmano di Mon. "Abbiamo bisogno di un grande aiuto da parte della comunita’ internazionale, ma non ci arrenderemo" - affermano Myint Htoo Aung e la signora (...)

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> MYANMAR, EX BIRMANIA. YANGON. MONACI E MONACHE BUDDISTE IN TESTA AL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE E IL SALUTO DI PACE E DI LIBERTA’ DI AUNG SAN SUU KYI - .... Schierati i militari contro i manifestanti.

martedì 25 settembre 2007

Myanmar, schierati militari contro manifestanti *

Undici camion militari, ciascuno con a bordo una ventina di soldati sono stati schierati in assetto antisommossa vicino al municipio di Yangon dove si sta svolgendo una sempre più imponente manifestazione contro la giunta militare al potere. Le forze di sicurezza sono rimaste all’interno dei veicoli mentre circa 500 persone osservavano la scena con preoccupazione. In molti infatti temono che si verifichi una repressione simile a quella avvenuta nel 1988, quando le manifestazioni furono represse nel sangue con la morte di 3mila persone. Preoccupazioni fondate se è vero come ha riferito una fonte diplomatica da Yangon che la giunta militare ha tenuto una riunione d’emergenza nel cosiddetto «Ufficio di guerra» istituito nella nuova capitale Naypyidaw per preparare lo schieramento contro la manifestazione. Non sono filtrati particolari sulle decisioni prese nella riunione, ma un leader del movimento guerrigliero Knu (Unione Nazionale Karen) ha riferito che unità della ventiduesima Divisione (la stessa impiegata nella sanguinosa repressione del 1988) hanno ricevuto l’ordine di lasciare la regione Karen e di trasfersi a Yangon. «Siamo convinti che i militari saranno usati come nel 1988», ha detto la fonte. Già in mattinata, alcuni funzionari dell’amministrazione, a bordo di camion nel centro di Yangon avevano minacciato con i megafoni la popolazione di ritirarsi dalla manifestazione altrimenti avrebbero preso provvedimenti contro quella che hanno definito una protesta illegale. Anche la televisione di stato martedì ha lanciato un appello ai monaci che da oltre una settimana guidano le manifestazioni, affinché mettano fine al loro movimento di protesta e non si intromettano nella vita politica. Nonostante l’assetto di guerra e le minacce per il secondo giorno consecutivo 100mila oppositori birmani, stando alle testimonianze oculari è sceso ancora in piazza per la democrazia. A quella di Yangon, ex capitale della Birmania, si sono associate altre manifestazioni in tutto il Paese. In 40mila tra monaci e civili sfilano per le strade di Taungok, città costiera a quattrocento chilometri da Yangon. È la più grande manifestazione mai vista nella città. Al grido di «democrazia, democrazia», le proteste si sono svolte nella calma nonostante il clima di tensione.

Condanne alla giunta al potere in Myanmar si sono alzate da tutti i Paesi occidentali. L’Italia, dopo la fiaccolata di lunedì sera a Roma cui hanno partecipato anche decine di monaci birmani che vivono in Italia ha invitato la giunta militare ad aprire un dialogo con i monaci e gli oppositori. Il sottosegretario agli Esteri italiano Gianni Vernetti nell’incontro di martedì alla Farnesina con l’incaricato d’Affari dell’Ambasciata dell’Unione di Myamar, Hkaing Myint, ha espresso a nome del governo italiano «la più viva preoccupazione per quanto sta accadendo in queste ore nella capitale Yangon e in tutto il paese». Il sottosegretario ha poi chiesto al diplomatico birmano di trasmettere alla giunta militare al potere in Myanmar la «richiesta del governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National League for Democracy e con tutta l’opposizione birmana e di non far ricorso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e nonviolente di questi giorni» come riferisce il ministero degli Esteri in una nota. Vernetti ha inoltre «protestato per i recenti episodi di repressione che hanno portato all’arresto di decine di manifestanti e alle condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime, reiterando la richiesta di libertà immediata del Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, segregata agli arresti domiciliari dal 2003, insieme al rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario». Il sottosegretario italiano ha ricordato anche che «l’Italia intende seguire con la massima attenzione l’evolversi della situazione in Myanmar e che promuoverà in tutti gli ambiti multilaterali, dal Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tutte le iniziative necessarie per sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e per favorire il dialogo fra il regime di Yangon e l’opposizione democratica». Mercoledì, infatti Vernetti incontrerà a New York, a margine della sessantaduesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Consigliere Speciale su Myanmar del Segretario Generale, Ibrahim Gambari e il primo ministro del governo birmano in esilio, Sein Win. La stessa Commissione europea si è detta «molto preoccupata per la situazione» della dittatura militare di Myanmar e in particolare per l’«aumento della presenza militare» dopo le manifestazioni pacifiche di martedì e di lunedì. «Invitiamo tutte le parti in causa, e in particolare il governo, ad esercitare la massima moderazione», ha dichiarato in sala stampa a Bruxelles il portavoce comunitario Amadeu Altafaj-Tardio, sottolineando il carattere «pacifico» delle manifestazioni e invitando le autorità a rispettare «il diritto legittimo alla libertà di espressione e assemblea». Per quanto riguarda l’ipotesi di inasprire le sanzioni contro il regime di Myanmar, Tardio ha rinviato la questione agli Stati membri, precisando che le decisioni a riguardo spettano al Consiglio dell’Ue. Il portavoce ha comunque ricordato il Paese è soggetto a sanzioni al Paese fin dal 1996, tra cui il divieto di ingresso nell’Ue e il congelamento dei beni per i leader della giunta militare, l’embargo sulle armi e la cooperazione militare e il divieto per le imprese Ue di investire in aziende di Stato dell’ex Birmania. Anche George W. Bush martedì all’assemblea generale dell’Onu chiederà altre sanzioni contro il regime birmano. Mentre il primo ministro britannico Gordon Brown ha proposto oggi che l’Unione europea mandi ai militari al potere in Myanmar un duro avvertimento: «Stiamo osservando che cosa state facendo e imporremo più aspre sanzioni se farete le scelte sbagliate». Brown sollecita quest’energica presa di posizione in una lettera inviata agli altri leader dei Paesi Ue nella speranza che un monito europeo contribuisca ad evitare una sanguinosa repressione della massiccia protesta guidata dai monaci birmani. Brown ha anche affermato che la più nota dissidente birmana, Aung San Suu Kiy, premio nobel dovrebbe prendere la leadership del suo Paese.

Nessun appoggio invece dai potenti vicini asiatici. Molto imbarazzo e nessun impegno ad intervenire da parte della Cina che si è limitata a chiedere al governo e alla popolazione birmana di «gestire correttamente» la crisi. Il portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu in una conferenza stampa ha più volte ripetuto che la Cina - che a tutt’oggi ha nell’ ex Birmania investimenti stimati in circa 1,2 miliardi di dollari - ritiene essenziali «la stabilità e lo sviluppo» del Pese. Stabilità e sviluppo, ha aggiunto il portavoce cinese sono «nell’interesse del Myanmar e della comunità internazionale». Jang si è guardato bene però dal rispondere alla domanda precisa sulla posizione di Pechino di fronte all’eventuale proposta di nuove sanzioni delle Nazioni Unite contro il governo di Yangon. Ufficialmente i cittadini cinesi del Myamar sono 200mila, ma gli osservatori ritengono che la vera cifra si aggiri intorno al milione di persone. Anche l’altra potenza asiatica, l’India, non ha finora commentato la manifestazione di protesta guidata dai monaci buddisti. Tuttavia in una chiara dimostrazione di appoggio lunedì il ministro di New Delhi per il petrolio, Murli Deora ha preso parte nella capitale birmana, alla firma di un accordo tra le compagnie petrolifere dei due paesi. Con questo accordo, l’ India si impegna ad investire 150 milioni di dollari nella ricerca di gas naturale, del quale il Myanmar è ricco. La visita in Myanmar del ministro Deora è stata contestata a New Delhi da un gruppo di esiliati birmani. L’apertura di New Delhi nei confronti dell’ex Birmania e il rafforzamento delle relazioni con il Paese confinante negli ultimi anni oltre ad essere in aperta concorrenza con la Cina ha portato l’India ad aumentare i propri investimenti nel Myanmar a circa un terzo di quelli cinesi. L’appoggio alla rivolta, comunque è stato spiegato da New Delhi come un modo per arginare eventuali rivolte dei gruppi secessionisti che operano nelle province nordorientali dell’India che confinano appunto con l’ex Birmania. L’Asean, l’associazione per la cooperazione economica dell’Asia del sudest, della quale il Myamar è membro ha mantenuto finora il silenzio assoluto. Solo il governo delle Filippine ha chiesto in passato alla giunta militare dell’ex Birmania di aprirsi alla democrazia.

* l’Unità, Pubblicato il: 25.09.07, Modificato il: 25.09.07 alle ore 16.54


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