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Verso l’inverno e l’inferno ... con la "benedizione" dei "bossi" di "Mammona" e "Mammasantissima"!!!

L’ITALIA, "LA SOCIETA’ SPARENTE". MISERIA IN AUMENTO E SUD ALLA DERIVA. LA "FOTO" ISTAT DELLA "PENISOLA DEI FAMOSI". In stato d’indigenza l’11,1% della famiglie e 7 milioni e mezzo di poveri!!!

sabato 6 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nel Mezzogiorno oltre un quinto delle famiglie residenti (22,6 per cento) è sotto la linea di povertà relativa. Nel Centro la percentuale è del 6,9 per cento, al Nord il 5,2 per cento. Al Sud, rileva l’Istat, "ad una più ampia diffusione del fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie povere presentano una spesa media mensile di 752,01 euro (l’intensità è del 22,5 per cento) contro i 797,62 e 806,35 osservati per il Nord e il Centro". Di conseguenza, al Sud risiedono i tre (...)

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> L’ITALIA, "LA SOCIETA’ SPARENTE". MISERIA IN AUMENTO E SUD ALLA DERIVA. LA "FOTO" ISTAT DELLA "PENISOLA DEI FAMOSI". In stato d’indigenza l’11,1% della famiglie e 7 milioni e mezzo di poveri!!! ---- IL GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA HA SCOPERTO I SALARI.

sabato 27 ottobre 2007

Il Governatore ha scoperto i salari

di Alfredo Recanatesi *

Con una dovizia di dati che solo la Banca d’Italia è in grado di produrre, il Governatore ha posto la questione salariale al centro dell’incapacità di crescere che l’economia italiana dimostra ormai da anni.

Non siamo certo tra coloro che se ne stupiscono: da tempo andiamo sostenendo che la crescita di questi ultimi due anni è solo un riflesso della ripresa dell’economia europea; un riflesso, per altro, opaco perché innescato dalla domanda estera e da questa rimasto dipendente, senza un adeguato sostegno della domanda interna che consenta di farvi affidamento una volta che il traino delle esportazioni per qualche motivo dovesse affievolirsi. Ma l’analisi del Governatore va oltre, e ci dice che in questi ultimi anni i redditi da lavoro (in termini di potere d’acquisto, s’intende) sono rimasti stazionari, e se i consumi hanno potuto ugualmente progredire è stato per due sostanziali fattori, entrambi contingenti: l’aumento delle rendite finanziarie (soprattutto le azioni), e l’aumento di valore degli immobili. Sono questi i fattori che hanno salvato l’economia italiana da un persistente ristagno. E, se questi sono i fattori trainanti, si può capire con quale grado di equità si è registrato il pur contenuto aumento dei consumi.

Insomma, un quadro che definire desolante è poco.

Porre l’entità dei salari al centro dei problemi di crescita della nostra economia è già un punto di arrivo; ce n’è voluto, ma ora che il Governatore vi ha posto il sigillo della Banca d’Italia sarà difficile per chiunque percorrere strade analitiche diverse. Ora si apre il dibattito sul come se ne può uscire. E a questo punto anche Draghi diventa generico mostrando fatica ad uscire da tesi che saranno pure fair secondo la cultura, il modo di pensare, ed anche gli interessi, dell’establishment al quale si riferisce, ma che ciò nondimeno rimangono assai poco convincenti. Prendersela con la politica è un po’ come sparare al canarino in gabbia. La politica, del resto, non è il consiglio di amministrazione di una impresa; deve provvedere ad una infinità di esigenze che rendono arduo per tutti contenere la spesaed indirizzarla maggiormente agli investimenti; non ultima l’esigenza di destinare risorse per contenere quelle distorsioni distributive che Draghi non cita esplicitamente, ma che emergono con chiarezza dalla analisi che lui fa di questa ultima decina d’anni.

L’istruzione? Certo che va riformata, ma, se c’è un problema di fuga dei cervelli e se tanti italiani si distinguono nel progresso scientifico e tecnologico in altre parti del mondo, forse è più urgente affrontare il problema del loro utilizzo in Patria. Si va in pensione troppo presto? È vero, ma è anche vero che il sistema produttivo non sembra offrire tante opportunità a chi ha superato i cinquant’anni.

Ogni capoverso del suo intervento meriterebbe chiose ed approfondimenti, ma ora, dopo una prima lettura, è più opportuno accennare al capoverso che non c’è: un capoverso, anche uno solo, sulle imprese. Quando si parla di salari, di produttività, di prodotto c’entreranno pur qualcosa. E invece nel suo intervento non sono neppure citate, come se la loro efficienza, le loro strategie, le loro capacità di iniziativa, fossero fattori estranei al tema «Consumo e crescita» sul quale ha tenuto la sua lectio magistralis all’Università di Torino.

Forse non è fair come prendersela con la politica, o con l’età pensionabile, o con la demografia, ma i dati che ha citato dicono ugualmente che la questione sta nella capacità di produrre reddito, e che questa dipende dalla produttività dei fattori della produzione, ossia il capitale e il lavoro. Sta, dunque, nelle imprese. E non è un caso che il problema della crescita e della stagnazione dei salari sia emerso grossomodo in seguito alla stabilizzazione del cambio e l’adozione dell’euro perché quella svolta avrebbe dovuto indurre il sistema produttivo al radicale cambio di passo dalla competitività di prezzo a quella sulla innovazione e sulla qualità; dalla piccola dimensione manovriera e flessibile ad una dimensione più consistente in grado di perseguire strategie di più ampio respiro; da produzioni a scarsa intensità di capitale ad altre con maggiori contenuti di specializzazione.

Occorre sempre ricordare che una parte delle imprese questa mutazione l’ha affrontata e spesso con successo, acquisendo il merito non solo di essersi messa in condizione di generare un valore aggiunto più elevato, premessa per un innalzamento del reddito pro capite, ma anche e soprattutto di dimostrare che il successo può anche essere conseguito nell’Italia che c’è senza aspettare quella che vorremmo; di dimostrare, anzi, che l’Italia che vorremmo sarebbe più a portata di mano se quelle imprese costituissero una parte più significativa dell’intero sistema.

Riferendosi all’intera economia, invece, Draghi ricorda che in corrispondenza dell’aumento dell’occupazione la produttività è diminuita, così certificando che la flessibilità è stata usata per ridurre i costi, per resistere un altro po’ alla concorrenza dei Paesi dell’Est, non per cogliere chissà quali nuove opportunità il mondo globalizzato può offrire. Che la chiave di tutto sia nella dinamica della produttività lo sappiamo tutti, ma sappiamo anche che non può crescere fino a quando a tanti laureati non viene offerto che un call-center, fino a quando tanti ricercatori rimangono precari e sottopagati nelle università, fino a quando un giovane che vuol farsi valere (e che ha una famiglia che se lo può permettere) va a lavorare in qualche altro Paese. Per poi, magari, vincere un Nobel.

* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.47


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