In stato d’indigenza l’11,1% della famiglie. Di solito si tratta di nuclei con tre o più figli nei quali il capofamiglia presenta un basso livello d’istruzione o è disoccupato
Istat, in Italia 7 milioni e mezzo di poveri
I 2/3 vivono al Sud, sempre peggio gli anziani
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Due milioni e 623.000 famiglie in stato di povertà, corrispondenti a 7.537.000 persone, il 12,9 per cento della popolazione. La povertà nel 2006 è rimasta "sostanzialmente stabile", secondo l’Istat: interessa l’11,1 per cento delle famiglie residenti. In forte peggiomento però le condizioni degli anziani: solo tra loro, infatti, l’incidenza della povertà è aumentata da 5,8 a 8,2 per cento. E rimane più che mai marcato l’abisso tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno vive il 65 per cento delle famiglie povere.
Ma i poveri del Sud vivono anche in condizioni peggiori: le famiglie in stato d’indigenza infatti presentano una spesa mensile inferiore del 22,5 per cento rispetto alla "soglia di povertà". L’incidenza della povertà è maggiore tra le famiglie numerose, con tre o più figli. Di contro, risulta meno diffusa tra i single e tra le coppie senza figli di giovani e adulti.
La soglia di povertà. Per il 2006 la "soglia di povertà", cioè la spesa mensile per consumi della famiglia al di sotto della quale un nucleo viene definito povero, è stata fissata dall’Istat in base all’indagine sui consumi a 970,34 euro per una famiglia di due persone (di tratta della cifra equivalente alla spesa media procapite). Per una persona sola la soglia di povertà si attesta a 582,20 euro di spesa mensile; per una famiglia di quattro a 1581,65 euro.
Caratteristiche delle famiglie povere. Risiedono al Sud, il capofamiglia presenta un basso livello d’istruzione o un basso livello professionale o è disoccupato, hanno molti figli o almeno un componente anziano: è l’identikit delle famiglie povere italiane, così come è delineato dall’Istat. "Si mantengono tutte le caratteristiche strutturali degli anni precedenti - spiega la responsabile dell’indagine sulle condizioni delle famiglie dell’Istat, Linda Laura Sabbadini - in condizioni peggiori le famiglie con tre o più figli".
Le differenze territoriali. Nel Mezzogiorno oltre un quinto delle famiglie residenti (22,6 per cento) è sotto la linea di povertà relativa. Nel Centro la percentuale è del 6,9 per cento, al Nord il 5,2 per cento. Al Sud, rileva l’Istat, "ad una più ampia diffusione del fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie povere presentano una spesa media mensile di 752,01 euro (l’intensità è del 22,5 per cento) contro i 797,62 e 806,35 osservati per il Nord e il Centro". Di conseguenza, al Sud risiedono i tre quarti delle famiglie "sicuramente povere", la cui spesa media mensile è cioè inferiore di oltre il 20 per cento alla soglia minima. Mentre al contrario i tre quarti delle famiglie "sicuramente non povere" (cioè oltre il 20 per cento sopra la linea standard) risiedono al Nord. Al Sud, rileva Sabbadini, incide anche lo "scoraggiamento" delle donne: "Negli anni sta crescendo il livello di inattività femminile, e quindi ci sono sempre più famiglie monoreddito. Questo incide pesantemente sulla diffusione della povertà".
Single, anziani, disoccupati e working-poor. Solo il 3,3 per cento dei single è povero, e il 4,9 per cento delle coppie senza figli. La povertà in Italia sembra essere sempre più una condizione che si accompagna alle famiglie numerose: sono povere quasi un quarto dei nuclei con cinque o più componenti. L’incidenza sale al 30,2 per cento per le coppie con almeno tre figli minori. L’incidenza della povertà sale poi di almeno due punti sopra la media nazionale tra le famiglie di anziani (13,8 per cento, ma al Mezzogiorno una famiglia su quattro).
Sono povere il 49,4 per cento, praticamente la metà, delle famiglie "senza occupati nè ritirati dal lavoro": prive pertanto di un reddito, da lavoro o da pensione. In condizioni gravi anche le famiglie con un percettore di pensione e un componente alla ricerca di un lavoro: l’incidenza della povertà è il 28,3 per cento. Si tratta di famiglie con capofamiglia anziano, ritirato dal lavoro, e figli adulti conviventi disoccupati, diffuse soprattutto al Sud. "La presenza di occupati (e quindi di redditi da lavoro) - spiega Sabbadini - non è sufficiente a eliminare il forte disagio dovuto alla presenza di numerosi componenti a carico, soprattutto quando si tratta di working poor, cioè di persone che percepiscono un reddito basso".
Il peso dell’istruzione. Al basso titolo di studio si associa una forte incidenza della povertà, pari al 17,9 per cento, di quattro volte superiore rispetto a quella osservata tra le famiglie con a capo una persona che ha conseguito almeno la licenza superiore (5 per cento). Tra i tipi di attività lavorativa, quella più remunerativa sembra quella autonoma: infatti l’incidenza della povertà è minima se la persona di riferimento c’è un lavoratore autonomo (7,5 per cento), in particolare se si tratta di un libero professionista (3,8 per cento). Per i lavoratori dipendenti la percentuale di poveri sale al 9,3 per cento, e per gli operai o assimilati al 13,8 per cento. Se però la famiglia con a capo un operaio vive al Sud, la percentuale raddoppia (27,5 per cento).
* la Repubblica, 4 ottobre 2007.
Il Governatore ha scoperto i salari
di Alfredo Recanatesi *
Con una dovizia di dati che solo la Banca d’Italia è in grado di produrre, il Governatore ha posto la questione salariale al centro dell’incapacità di crescere che l’economia italiana dimostra ormai da anni.
Non siamo certo tra coloro che se ne stupiscono: da tempo andiamo sostenendo che la crescita di questi ultimi due anni è solo un riflesso della ripresa dell’economia europea; un riflesso, per altro, opaco perché innescato dalla domanda estera e da questa rimasto dipendente, senza un adeguato sostegno della domanda interna che consenta di farvi affidamento una volta che il traino delle esportazioni per qualche motivo dovesse affievolirsi. Ma l’analisi del Governatore va oltre, e ci dice che in questi ultimi anni i redditi da lavoro (in termini di potere d’acquisto, s’intende) sono rimasti stazionari, e se i consumi hanno potuto ugualmente progredire è stato per due sostanziali fattori, entrambi contingenti: l’aumento delle rendite finanziarie (soprattutto le azioni), e l’aumento di valore degli immobili. Sono questi i fattori che hanno salvato l’economia italiana da un persistente ristagno. E, se questi sono i fattori trainanti, si può capire con quale grado di equità si è registrato il pur contenuto aumento dei consumi.
Insomma, un quadro che definire desolante è poco.
Porre l’entità dei salari al centro dei problemi di crescita della nostra economia è già un punto di arrivo; ce n’è voluto, ma ora che il Governatore vi ha posto il sigillo della Banca d’Italia sarà difficile per chiunque percorrere strade analitiche diverse. Ora si apre il dibattito sul come se ne può uscire. E a questo punto anche Draghi diventa generico mostrando fatica ad uscire da tesi che saranno pure fair secondo la cultura, il modo di pensare, ed anche gli interessi, dell’establishment al quale si riferisce, ma che ciò nondimeno rimangono assai poco convincenti. Prendersela con la politica è un po’ come sparare al canarino in gabbia. La politica, del resto, non è il consiglio di amministrazione di una impresa; deve provvedere ad una infinità di esigenze che rendono arduo per tutti contenere la spesaed indirizzarla maggiormente agli investimenti; non ultima l’esigenza di destinare risorse per contenere quelle distorsioni distributive che Draghi non cita esplicitamente, ma che emergono con chiarezza dalla analisi che lui fa di questa ultima decina d’anni.
L’istruzione? Certo che va riformata, ma, se c’è un problema di fuga dei cervelli e se tanti italiani si distinguono nel progresso scientifico e tecnologico in altre parti del mondo, forse è più urgente affrontare il problema del loro utilizzo in Patria. Si va in pensione troppo presto? È vero, ma è anche vero che il sistema produttivo non sembra offrire tante opportunità a chi ha superato i cinquant’anni.
Ogni capoverso del suo intervento meriterebbe chiose ed approfondimenti, ma ora, dopo una prima lettura, è più opportuno accennare al capoverso che non c’è: un capoverso, anche uno solo, sulle imprese. Quando si parla di salari, di produttività, di prodotto c’entreranno pur qualcosa. E invece nel suo intervento non sono neppure citate, come se la loro efficienza, le loro strategie, le loro capacità di iniziativa, fossero fattori estranei al tema «Consumo e crescita» sul quale ha tenuto la sua lectio magistralis all’Università di Torino.
Forse non è fair come prendersela con la politica, o con l’età pensionabile, o con la demografia, ma i dati che ha citato dicono ugualmente che la questione sta nella capacità di produrre reddito, e che questa dipende dalla produttività dei fattori della produzione, ossia il capitale e il lavoro. Sta, dunque, nelle imprese. E non è un caso che il problema della crescita e della stagnazione dei salari sia emerso grossomodo in seguito alla stabilizzazione del cambio e l’adozione dell’euro perché quella svolta avrebbe dovuto indurre il sistema produttivo al radicale cambio di passo dalla competitività di prezzo a quella sulla innovazione e sulla qualità; dalla piccola dimensione manovriera e flessibile ad una dimensione più consistente in grado di perseguire strategie di più ampio respiro; da produzioni a scarsa intensità di capitale ad altre con maggiori contenuti di specializzazione.
Occorre sempre ricordare che una parte delle imprese questa mutazione l’ha affrontata e spesso con successo, acquisendo il merito non solo di essersi messa in condizione di generare un valore aggiunto più elevato, premessa per un innalzamento del reddito pro capite, ma anche e soprattutto di dimostrare che il successo può anche essere conseguito nell’Italia che c’è senza aspettare quella che vorremmo; di dimostrare, anzi, che l’Italia che vorremmo sarebbe più a portata di mano se quelle imprese costituissero una parte più significativa dell’intero sistema.
Riferendosi all’intera economia, invece, Draghi ricorda che in corrispondenza dell’aumento dell’occupazione la produttività è diminuita, così certificando che la flessibilità è stata usata per ridurre i costi, per resistere un altro po’ alla concorrenza dei Paesi dell’Est, non per cogliere chissà quali nuove opportunità il mondo globalizzato può offrire. Che la chiave di tutto sia nella dinamica della produttività lo sappiamo tutti, ma sappiamo anche che non può crescere fino a quando a tanti laureati non viene offerto che un call-center, fino a quando tanti ricercatori rimangono precari e sottopagati nelle università, fino a quando un giovane che vuol farsi valere (e che ha una famiglia che se lo può permettere) va a lavorare in qualche altro Paese. Per poi, magari, vincere un Nobel.
* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 9.47
L’onorevole Caruso condannato per estorsione di pasta e pane *
NAPOLI - L’onorevole Francesco Caruso è stato condannato in primo grado a tre anni e quattro mesi con l’accusa di estorsione aggravata. L’oggetto estorto sono pomodori, pasta e altre cibarie, il frutto di una spesa sociale all’Ipercoop di Afragola.
I fatti risalgono al 2004. Con Caruso sono stati condannati altri otto attivisti della Rete per i comitati della Quarta settimana, cioè gruppi che pongono il problema delle persone che non ce la fanno ad arrivare in fondo al mese con lo stipendio. In quel periodo, in diversi supermercati a Roma e in altre città, vennero organizzate diverse "spese sociali" dai gruppi "no global". Caruso è stato eleto deputato nel 2006 come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista.
* la Repubblica, 03-10-2007.
Da Santoro attacchi a Mastella. Il pm: "Pressioni e intimidazioni da ambienti istituzionali"
Polemiche per i tabulati raccolti dal magistrato, il caso potrebbe finire davanti al Csm
La Forleo con De Magistris
"Basta don Rodrigo al sud"
di LIANA MILELLA *
ROMA - "Luigi è un collega che sta subendo intimidazioni e pressioni per aver scoperchiato delle pentole che non andavano scoperchiate, e soprattutto per aver indagato sulle toghe lucane". A difendere con calore il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, per cui il Guardasigilli Clemente Mastella ha chiesto al Csm il trasferimento cautelare, arriva a sorpresa, ad Annozero di Michele Santoro, il gip di Milano Clementina Forleo. Da donna del sud per un uomo del sud. Lei pugliese, lui napoletano.
La Forleo esordisce così: "Vengo dalla Puglia, una terra che amo, e dove vedo cose che puntualmente denuncio, anche se comincio a vedere dei passi avanti. Conosco gli sforzi e i sacrifici perché vinca il senso dello Stato e perché la legge sia uguale per tutti. Per me era un dovere essere qui e intervenire come magistrato a favore di De Magistris e di tanti altri colleghi che operano in territori difficili. Luigi ha avuto la sventura di imbattersi più di una volta nei cosiddetti poteri forti o meglio negli interessi collegati ai poteri forti. Ha pagato e sta pagando, ma è il coraggio quello che conta".
Poi l’affondo durissimo contro i politici e la politica fatta nel Mezzogiorno: "È ora che il Sud si liberi dei don Rodrigo e dei suoi bravi". E le conseguenze per un giudice che non si tira indietro davanti ai "poteri forti": "Si finisce per essere lasciati soli da tanti colleghi. Dopo aver fatto scelte scomode via via si perdono gli inviti a cena e a teatro". E quello che è successo ancora ieri quando si è sparsa la notizia che la Forleo sarebbe andata in tv: "Ho ricevuto molte telefonate in cui mi raccomandavano prudenza. Allora mi sono ricordata dei santini appesi nelle auto degli anni Cinquanta "attenta a non sbattere"".
Su De Magistris la sezione disciplinare del Csm avrebbe dovuto decidere lunedì prossimo, ma ieri il vicepresidente Nicola Mancino non ha escluso che ci potrebbe essere uno slittamento per la mole di pagine del dossier a cui, su richiesta del ministro, si aggiungeranno i rapporti della prima commissione che ha lavorato sulle toghe lucane. Ma De Magistris è tranquillo, rompe il silenzio, e a Sandro Ruotolo di Annozero dichiara: "Sono sotto ispezione, senza soluzione di continuità, da circa tre anni. E ciò conferma la bontà del lavoro investigativo che sto facendo. Peccato che da due anni trascorra due giorni alla settimana, il sabato e la domenica, a difendermi".
Anche se gli ispettori glielo contestano, De Magistris insiste sulle minacce ricevute: "Ho subito pressioni e intimidazioni da ambienti istituzionali". È pesante la denuncia di un’incredibile condizioni logistica: "Sono sotto tutela, ma ho una vettura blindata senza benzina. Devo metterla di tasca mia. Quando propongo di usaree la mia auto, mi vietano di posteggiarla sotto il palazzo di giustizia e se chiedo come devo fare mi rispondono " dovrebbe stare a casa"". Anche De Magistris si sente solo: "Una dose di solitudine fa parte del mestiere. Ma qui ne avverto una profonda e inquietante. È la solitudine istituzionale. Ma la gente mi è vicina".
De Magistris nega di aver utilizzato i tabulati telefonici di Prodi, di molti ministri (tra cui Mastella e Amato), di Mancino, dei vertici delle polizie. Mentre monta la protesta politica bipartisan (lo difende Di Pietro, lo attaccano l’Udeur di Mastella, il forzista Cicchitto, il centrista Vietti), il magistrato smentisce e replica seccamente: "La sequela di nomi citati non forma oggetto alcuno, né diretto, né indiretto, delle indagini preliminari del mio ufficio. Non sono l’autore di un grande fratello giudiziario".
Il suo consulente Gioacchino Genchi, che si è occupato di tutte le intercettazioni, parla di "bufala mediatica" e di "ulteriore tentativo di delegittimazione", ma al Csm vogliono vederci chiaro. L’ex pm Felice Casson, ora senatore dell’Ulivo, fa un’interrogazione e chiede che Mastella chiarisca al più presto in Parlamento.
* la Repubblica, 5 ottobre 2007.
La Cassazione conferma la condanna a tre imprenditori per comportamenti prevaricatori
verso quattro lavoratrici "in nero" non tutelate, sottopagate e tenute sotto ricatto
E’ estorsione sfruttare i dipendenti
il datore di lavoro rischia il carcere *
ROMA - Tenere i dipendenti "in nero" (senza contratto di lavoro, con salari bassissimi e nessun diritto) e sfruttarli con la costante minaccia di sbatterli fuori e di rimpiazzarli col primo disoccupato che passa se non acconsentono alle condizioni imposte è estorsione. E sono previste pene severissime, incluso il carcere, per gli imprenditori che, sfruttando "la situazione di mercato in cui la domanda di lavoro è di gran lunga superiore all’offerta", assumono "comportamenti prevaricatori" nei confronti dei dipendenti. Lo sancisce la Cassazione confermando la condanna per estorsione aggravata e continuata (tre anni, sei mesi di reclusione e 800 euro di multa ciascuno) nei confronti di tre datori di lavoro di due aziende, Gaetano e Maurizio L. e Andreina L., colpevoli di avere appunto tenuto "comportamenti prevaricatori in costante spregio dei diritti" di quattro lavoratrici.
In particolare, ricostruisce la sentenza 36642 della Seconda sezione penale, nelle due società dei tre imprenditori, le dipendenti - tutte donne - erano costrette ad "accettare trattamenti retributivi deteriori non corrispondenti alle prestazioni effettuate", subivano "condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti", non godevano di ferie, lo straordinario non veniva pagato, niente assistenza assicurativa.
Nel migliore dei casi alle lavoratrici veniva corrisposta la paga prevista dai contratti di formazione lavoro, sebbene lavorassero per molte più ore. Il tutto in un clima nel quale i datori "ponevano le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto per via di una situazione in cui la domanda di lavoro superava di gran lunga l’offerta".
In particolare, le lavoratrici dipendenti non avevano usufruito di ferie o non erano state pagate per gli straordinari e inoltre firmavano prospetti-paga indicanti importi superiori a quelli percepiti. Una dipendente, inoltre, era stata indotta a sottoscrivere un contratto di associazione in partecipazione, senza che la sua qualità fosse mutata, nonché costretta a mentire sulla propria posizione agli ispettori del lavoro, oltre che a firmare una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilità, con il fidanzato, di un furto di capi di abbigliamento subiti dall’azienda.
Nonostante tutte queste prevaricazioni, il tribunale di Nuoro, nel novembre 2000, aveva assolto con formula piena i tre datori di lavoro, poi condannati nel gennaio 2003 dalla Corte d’appello di Sassari che aveva accertato che le dipendenti erano state assunte senza libretto di lavoro, non avendo ricevuto copertura assicurativa, tranne una e per breve periodo. Il tutto era emerso in seguito alle ispezioni dell’Ispettorato del lavoro di Nuoro e proprio in questa circostanza, ricostruisce la sentenza della Cassazione, una dipendente era stata costretta ad allontanarsi dal posto di lavoro dietro la minaccia di perdere il posto.
Inutilmente i tre datori di lavoro hanno tentato di attenuare le loro responsabilità, cercando di evitare il carcere e chiedendo di ricevere solo le sanzioni previste per chi tiene dipendenti non in regola. Quello che abbiamo fatto, hanno detto a piazza Cavour, "costituisce espressione del non eccezionale fenomeno del lavoro nero, ma non integrerebbe gli estremi dell’estorsione perché le lavoratrici avevano accettato quelle condizioni senza ricorso ad alcuna violenza". Ma per la Cassazione "l’accettazione di quelle condizioni non fu libera perché condizionata dall’assenza di altre possibilità di lavoro".
* la Repubblica, 5 ottobre 2007.