Diritto e mercato

Intervista a Natalino Irti

"Il mercato tra nichilismo e dono: attualità di una profezia nietzschiana" (di Gianluca Sacco e Francesco Gambino)
sabato 8 aprile 2006.
 

Dal sito www.rivista.ssef.it

Alla fine degli anni ’90, Natalino Irti[1] ha ravvivato con una tesi chiara e all’epoca controcorrente il dibattito sul mercato: le sue regole non sono intrinseche e naturali, come sostenevano i liberisti della cattedra, ma eteronome e artificiali e, soprattutto, irriducibilmente politico-giuridiche. L’introduzione all’edizione del 2003 del Suo celebre saggio, L’ordine giuridico del mercato, si concludeva con parole critiche quanto costruttive che marcano a nostro avviso il passaggio genealogico dell’autore da indizi e soglie, per così dire, schmittiane a sospetti e abissi nietzschiani: “il pensiero unico - l’ideologia liberistica, in cui paiono trovarsi concordi destra e sinistra - occulta l’intrinseca politicità di ogni assetto economico, e contrabbanda per legge ‘naturale’, neutra, oggettiva, imparziale, ciò che propriamente è risultato di una decisione. Soltanto questo smascheramento può restituire alla politica la passione delle idee e le responsabilità delle scelte”. Smascherare gli idoli del mercato per guardare in faccia il ‘nulla’ del suo ‘produrre e scambiare’ sembra essere, infatti, la nuova ‘linea’ sulla quale Irti vuole condurre i giuristi con il suo recente scritto Nichilismo giuridico; una soglia sulla quale già da tempo, per altro, li attende Nietzsche. E proprio sul terreno in cui il filosofo tedesco fa interagire nichilismo e mercato (un segmento dell’aforisma di La Gaia Scienza che si commenta come ‘frase’ in questo numero), noi abbiamo voluto incontrare il professor Irti, per capire se in questo luogo nuovamente illuminato è possibile identificare nuovi spazi di senso, nuove dimensioni dello scambio che la sociologia e l’antropologia intravedono, per esempio, nel fenomeno del dono. Ma le nostre domande si sono spinte anche "oltre la linea" per sapere se dalla soglia del nichilismo il diritto deve o può incamminarsi verso le forme e le logiche del dono, diventandone retto interprete e garante. Lo stile asciutto e tagliente delle risposte non sembra lasciare inizialmente speranze; ma ad una lettura più attenta e meditata delle sue parole si può cogliere, a nostro avviso, il segno di un incoraggiamento a percorrere quella strada, a patto, però, che ci si armi della tremenda e responsabile consapevolezza che è sempre e solo la volontà degli uomini a decidere il futuro e a determinare la storia.

La parte finale dell’intervista vuole approfittare dell’eccezionalità dell’incontro per avere lumi sul dialogo tra diritto e tecnica, che da tempo l’autore intrattiene con uno dei più importanti filosofi italiani, e per comprendere meglio il problema del metodo, oggetto del capitolo iniziale del suo ultimo libro e tema fondamentale per la nostra sezione di ricerca ‘storia e concetti’[G.S.].

-  i falsi idoli del mercato -

-  Domanda di Gianluca Sacco (G.S.)

Professore, di recente ha pubblicato un saggio dal titolo perentorio e provocante: Nichilismo giuridico. Perentorio, perché prende atto e invita a prendere atto della definitiva assenza per il diritto di punti di riferimento in un “ordine sovra- o extra- storico (divino o naturale che sia)”; provocante, da intendersi soprattutto nel senso etimologico di invitare ad una discussione, perché “il libro sul nichilismo giuridico è ancora da scrivere” ma potrà nascere dall’intensità dell’incontro e del “dialogo con il mondo dei filosofi”. Il nichilismo d’altra parte è un tema che è stato lanciato nel dibattito filosofico in modo da essere indiscutibile già dalla seconda metà dell’ottocento ad opera di Nietzsche, e il suo annuncio, presente in più parti dell’opera del filosofo tedesco, appare in modo per noi significativo anche ne La Gaia Scienza. Mi riferisco all’aforisma 125: “avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio”? Dio è morto". La circostanza che questo annuncio si ambienti nel mercato offre innanzitutto lo spunto per tracciare una linea ideale tra un tema a Lei caro, L’ordine giuridico del mercato, e il suo ultimo libro.

A questo punto le prime domande non possono non essere incentrate su questa singolare coincidenza: si potrebbe parlare di un nichilismo "nel" mercato, e allora chi ve lo introduce: il diritto, la tecnica o la razionalità stessa di una cultura e di un epoca, e quindi la stessa filosofia?

-  Risposta di Natalino Irti

La Sua domanda richiama acutamente l’aforisma 125 di La Gaia Scienza. Le parole dell’uomo folle “Cerco Dio! Cerco Dio!”, gridate senza posa nel mercato, vengono accolte dal riso “poiché proprio lì si trovavano radunati molti di quelli che non credevano in Dio”. Il nichilismo non è "introdotto" nel mercato né da singoli uomini né da potenze oggettive: il mercato è nichilistico come tale, poiché il produrre e lo scambiare, frantumando il mondo nella molteplicità di "merci" e assumendo l’uomo a portatore di funzioni, non offrono alcun senso complessivo. Il produrre e lo scambiare non si fermano dinanzi a nulla. Il diritto esprime un’altra forma di volontà, di cui il mercato non può fare a meno, e perciò capace di imporre ad esso un ‘ordine’: non un ordine assoluto e immutevole, ma l’ordine stabilito dalle volontà più forti.

-  D (G.S.)

Siamo di fronte, quindi, ad un ilare e miscredente mercato nichilistico. Ma se nulla può fermarlo, perché è esso stesso nulla, dobbiamo immaginare che solo il "qualcosa" deciso dalla politica e ordinato dal diritto possa diventare "forza frenante" del mercato. E’ all’interno di questa prospettiva "katechonica" e nichilistica che invita a pensare la relazione tra diritto e mercato, e quindi, da ultimo il fenomeno della globalizzazione? In questa direzione non andrebbe forse il Suo precedente lavoro Norma e luoghi, che analizza in una prospettiva di geo-diritto il senso dei nuovi spazi generati e conquistati dal mercato ai danni della impostazione schmittiana dell’autorità e delle istituzioni giuridiche fondate sul ‘nomos della terra’?

-  IRTI

Norma e luoghi descrive il conflitto tra forme della volontà: il mercato, espandendosi globale e planetario, si scioglie, o s’industria di sciogliersi, dai diritti territoriali. E tuttavia né il mercato può fare a meno di diritto (la vincolatività degli accordi rinvia sempre ad un potere giudicante e coercitivo), né il diritto si lascia facilmente esautorare, e piuttosto si arma della stessa artificialità propria alla tecno-economia.

-  D (G.S.)

Se il suo testo Nichilismo giuridico vuole essere solo un "preannuncio" di una discussione con la filosofia, di fatto oggi irrompe sulla scena del dibattito tra "diritto e mercato", da Lei ravvivato qualche anno fa, con una tesi che si può cogliere sinteticamente soprattutto, direi, alla fine del Suo saggio: “Il nichilismo ci salva e protegge; smaschera falsi idoli, da cui pensavamo di trarre il nostro "valore". E tutto risolve nelle differenze della volontà, nel loro conflitto, nel loro vincere e soccombere. Esso non è rinuncia, ma accettazione; non è inerte angoscia, ma serena fraternità col divenire”.

Queste parole si riflettono forse anche nel mercato, se lo si interpreta come il luogo ideale in cui smascherare gli idoli, nel momento in cui i suoi scambi fossero esperiti in un orizzonte correttamente informato? Non è forse questo il suo suggerimento, quando riconosce al mercato la dignità del luogo in cui la persona può realizzare e ampliare le sue libertà?

-  IRTI

No, non è questo il senso della mia riflessione. Falso idolo è lo stesso mercato, quando sia inteso come luogo di ‘libertà’, e non come una tra le forme della volontà di potenza.

-  il dono e la lampada -

-  D (G.S.)

Professore, il concetto di questo numero della rivista, il mercato, ha per sottotitolo la coppia ‘dono-scambio’, una indicazione di ricerca che vorrebbe percorrere in lungo e in largo il campo semantico aperto dalla relazione tra questi due termini. In pratica, si vorrebbe far convergere sulle tematiche del mercato le prospettive del dono introdotte sia dal sociologo francese Marcel Mauss, sia da un linguista come Emile Benveniste, sia da uno dei fondatori della antropologia economica come Karl Polanyi, prospettive che partono, potremmo dire sinteticamente, da uno stesso punto: il mercato non si riduce al solo scambio, ma implica sempre un’eccedenza di senso. Questi orientamenti sono ripresi tra l’altro da studiosi contemporanei, come Giacomo Marramao[2] e Maria Rosaria Ferrarrese[3], che insistono sul non ridurre l’analisi del mercato alle regole economiche, e su questo vedo una convergenza con le sue tesi, ma anche di andare oltre l’equazione mercato e “statuto di norme”.

Venendo alla domanda, se Lei ci ha condotto sino alle soglie e le alture del nichilismo giuridico, l’orizzonte che abbiamo a questo punto di fronte, quello che dobbiamo cominciare ad attraversare e conquistare, non è forse proprio il mercato da ‘vedere’ però nell’insieme delle sue dimensioni e potenzialità, nel suo non essere mero spazio di scambio ma anche luogo di incontro di alterità e differenze (culturali, valoriali, razionali)?

-  IRTI

Il mercato è ciò che è. Una forma-storica, mutevole, effimera - dei rapporti economici, un regime della produzione e dello scambio. Esso vive fino a che ci sono volontà capaci di farlo vivere. Ma nulla vieta di pensare che altre volontà possano in futuro rovesciarlo, e sostituirlo con un diverso regime. Quanto all’ ‘alterità’, il mercato non conosce che ‘parti’, cioè titolari di funzioni e produttori di prestazioni. Le "differenze" sono un attrito soggettivistico, che il mercato ha cura di eliminare.

-  D (G.S.)

Lei pensa il diritto come la "forma più lucida e consapevole di accettazione delle differenza" e, allo stesso tempo, come ciò che guarda "con sospetto l’affacciarsi di nuovi monismi e false unità;. Se il diritto si presenta non come creatore di senso e valori, ma come condizione delle loro possibilità, non si potrebbe forse arrivare a sostenere, spingendosi in questa direzione, che il diritto viva nelle forme e nelle dinamiche del dono, se, come quest’ultimo, pretende la volontà libera dell’altro nel momento in cui lo sottopone alle sue regole? Un diritto che si ri-orienta a partire dal nichilismo giuridico non è forse lo strumento che si deve fare retto interprete di questa logica? In questa prospettiva, per riprendere l’aforisma iniziale, il diritto non potrebbe essere paragonato alla fioca lampada accesa dal folle nella chiara luce del mattino che tenta di illuminare i nuovi valori che si scambiano nel mercato, valori che non dovranno più vestirsi di "nuovo monismo e falsa unità"?

-  IRTI

Questa domanda si spinge fino alla soglia di ciò che credo o di ciò che spero. Mi limiterò a rispondere che il nichilismo attivo apre il cammino ad ogni forma di volontà, e dunque non pretende di spegnere tutte le lampade.

-  tecnica e volontà -

-  Domanda di Francesco Gambino (F.G.)

Dal Suo terzo dialogo con Emanuele Severino (L’essenza tecnica del diritto) emerge che se la tecnica dominasse il diritto non avrebbe bisogno di richiedere norme regolatrici. Tale richiesta “ha il senso di un appello normativo, condizionante e obbligante, e allora la tecnica si sottomette al principio regolatore e subordina i proprî scopi agli scopi del diritto” (in Nichilismo giuridico, cit, p. 38). Poco prima, nello stesso saggio, Lei sottolineava l’essenza tecnica del diritto - artificialità, macchinalità, proceduralità -, risolvendosi questo nel volere un modo d’essere della volontà altrui; quest’ultima è considerata dal diritto come “semplice natura, governabile e manipolabile dall’uomo” (ivi, p. 36).

Le porrei sul punto una domanda dal carattere pragmatico, volta a trasporre - Lei noterebbe - il discorso dal “piano dei concetti” al “piano storico-sociologico” (ivi, p. 41).

Come spiegare il fenomeno di sottomissione della tecnica al diritto ove gruppi di potere economico, costumi della società civile, titolari della produzione tecnologica condizionino - in modo penetrante - il legislatore, piegando alle proprie ragioni l’azione di quest’ultimo?

Potrebbe, in tali ipotesi, parlarsi ancora di diritto come principio regolatore o invece esso appare svuotato del senso originario della decisione per porre un problema, sul piano formale, di competenza a porre norme giuridiche? In altre parole, qui il diritto sembrerebbe - di fatto - degradare a volere un modo d’essere dell’altrui volontà, voluto da altri o, se si vuole, governato e manipolato dall’esterno. Non si tratta insomma di casi in cui se, per un verso, la volontà di altri trova necessaria mediazione nell’elemento procedurale del diritto, per un altro, essa costituisce presupposto stesso dell’iniziativa legislativa?

-  IRTI

Il diritto, proprio per la sua ‘essenza tecnica’, ha sempre dietro di sé e dentro di sé forme della volontà. Anzi, è volontà che s’im-pone ad altre volontà. Il problema - come Lei ben vede - riguarda la formazione di codesta volontà impositiva. Ma la risposta può giungere soltanto dalla ricostruzione genetica e storica di singole norme.

-  relativismo metodologico -

-  D (F.G.)

Nel Suo ultimo libro Nichilismo giuridico, si pone in primo piano il problema del metodo giuridico. Questo “non ci appare più come un utensile, qualcosa con cui operiamo su qualcosa, ma la nostra stessa auto-comprensione. Non uno strumento, che venga ad uso del giurista, e risponda a canoni immobili ed a-storici, ma intima consapevolezza della situazione”. Ad una “visione ausiliaria” del metodo giuridico “va contrapposta una visione, per così dire, temporale ed esistenziale, tutta immersa e calata nella storicità delle forze, da cui il mondo è agitato e diviso” (ivi, p. 15). Viene in rilievo l’immagine di un’adesione all’oggetto sino a penetrare nel suo movimento interno, di uno “sguardo più (...) pieghevole”, di una “totale disponibilità nei confronti del testo normativo” (ivi, p. 14).

In tale ottica, sembrerebbe che le ragioni della libertà dai rigidi schemi di un unico metodo riposino dentro il fenomeno, nella sua natura mobile e composita, nel proprio disperdersi in più oggetti. Non dunque un’unica regola - una sola procedura - desunta da una struttura meta-temporale, da una logica trascendentale capace di governare ed ordinare il fluire caotico della realtà; né l’adesione al rifiuto incondizionato del metodo, sostenuto con vigore dalle epistemologie di ispirazione postpositivistica del secolo scorso; ma una pluralità di metodi e prospettive, donde il raffronto, la divisione, il congiungersi di criteri procedurali nella comprensione di un medesimo oggetto.

Ciò significa che ai criteri metodologici tradizionali - che volgevano lo sguardo ora alla struttura ora alla funzione di istituti e figure - succede la costruzione di nuovi meta-linguaggi, ove l’oggetto subisce lacerazioni derivanti dal suo svolgersi lungo diversi itinerari e finisce per assumere tanti nuclei di senso quante sono le prospettive in cui esso viene considerato, descritto, valutato? Vi è lo spazio, in tale visione, per recuperare quei caratteri - che sembrano perduti - di unitarietà ed organicità? Potrebbe la questione dell’unità del discorso in relazione ad uno specifico concetto giuridico rifluire - seguendo la linea di Foucault - nella formulazione di “una legge di ripartizione”, che descriva la dispersione del concetto nei diversi ambiti della realtà in cui si manifesta e si sviluppa, che colga “tutti gli interstizi che li separano” e infine misuri “le distanze che regnano tra di loro”[4]?

-  IRTI

I caratteri di ‘unitarietà ed organicità’ non dipendono da noi, dico da noi interpreti di testi normativi. Se essi non sono nella cosa, è inutile o illusorio chiederli metodo. Non conosco abbastanza l’opera di Foucault per tentare una risposta all’ultima parte della Sua domanda.

-  D (F.G.)

Il ‘problema del metodo’ parrebbe schiudere una sorta di anomia rivelatrice di una libertà dal metodo. Può dirsi che tale forma di compenetrazione del soggetto nell’oggetto lasci emergere, nell’ambito di una teoria generale dell’ermeneutica, profili di una concezione ontologica dell’intendere? In tale prospettiva, in cui la dissoluzione del metodo nell’“intima consapevolezza” del suo stesso oggetto sembra congiungersi con l’ombra di un anarchismo metodologico, non è destinata forse a riproporsi - se pur in diverse modalità - la complessa questione di definire una tecnica di controllo delle anticipazioni di senso nell’attività interpretativa, di determinare cioè le condizioni di una coscienza ermeneutica adeguata?

-  IRTI

La Sua domanda coglie nel cuore del problema. Non parlerei di anarchismo, ma certo di relativismo metodologico. Noi ci avviciniamo ai testi legislativi con il peso della tradizione, con gli occhiali di concetti secolari (tabulae plenae, e non tabulae rasae): e questo è ineliminabile. Il nostro tempo - che è tempo del ‘nichilismo giuridico’ - ci impone di misurare la ‘tenuta’ di questi concetti e di quella tradizione, e dunque di immergerli nella cosa stessa, nel più intimo ed enigmatico fondo di ogni norma.


* Francesco Gambino è idoneo associato di Diritto Privato e attualmente insegna all’Università “G. d’Annunzio” di Pescara.

[1] Natalino Irti, ordinario di Diritto Civile all’Università di Roma “La Sapienza”, accademico dei Lincei, ha di recente pubblicato Nichilismo Giuridico (Roma-Bari, 2004) ed è autore, fra l’altro, di La cultura del diritto civile (Torino 1990), Testo e contesto (Padova 1996), Studi sul formalismo negoziale (Padova 1996), L’età della decodificazione (Milano1999), Dialogo su diritto e tecnica (con Emanule Severino, Roma-Bari, 2001), L’ordine giuridico del mercato (Roma-Bari, II ed. 2004), Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto (Roma-Bari, III ed. 2004), Codice civile e società politica (Roma-Bari, V ed. 2004).

[2] G. Marramao, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Torino, 2003, pp. 142-171

[3] Si veda in questo numero l’articolo di M.R. Ferrarese “Le eccedenze del mercato globale”, p. 39.

[4] M. Foucault L’archeologia del sapere, Una metodologia per la storia della cultura (1969), tr. it. di G. Bogliolo, Milano, 1999, pp. 45-46.


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