L’imbarcazione delle Ferrovie era salpata da Reggio Calabria carica di pendolari. La Procura di Reggio Calabria: "E’ stata la nave portacontainer ad investire l’aliscafo"
Collisione nello stretto di Messina
Nave sperona aliscafo: 4 morti
Le vittime tra l’equipaggio. Sette passeggeri gravi dirottati negli ospedali della zona. Salvi dopo due ore dall’incidente due passeggeri rimasti incastrati tra le lamiere *
MESSINA - Quattro marinai sono morti nella collisione a circa un miglio, un miglio e mezzo dal porto di Messina, fra un aliscafo delle Ferrovie, il "Segesta jet", e una nave portacontainer battente bandiera di Antigua, la "Susan Borchard". Due delle vittime sono rimaste incastrate tra le lamiere nella cabina di pilotaggio: il comandante dell’aliscafo, Sebastiano Mafodda di 54 anni e il direttore di macchina, Marcello Sposito di 41 anni. I cadaveri di altri due membri dell’equipaggio, Lauro Palmiro di 50 anni, e Domenico Zona, 42 anni, motorista, sono stati recuperati più tardi in mare.
Ottantotto feriti, tre gravi. Ottantotto i feriti di cui 7 gravi, due in rianimazione, tra i 150 passeggeri, soprattutto pendolari messinesi. Trentacinque feriti e contusi sono stati trasportati negli ospedali di Reggio Calabria, tra cui un uomo che ha subito gravi ustioni in varie parti del corpo: immediatamente dopo l’urto con il mercantile, sull’aliscafo si è anche sprigionato un incendio che presto però è stato domato dall’equipaggio. Gli altri feriti sono stati trasferiti a Messina. Salva, ma solo dopo due ore dall’incidente, una coppia di passeggeri rimasti imprigionati nella zona dello scafo devastata dalla prua del mercantile. Hanno riportato alcune fratture ma sono fuori pericolo di vita. A bordo dell’aliscafo c’erano anche tre atlete calabresi della Rescifina basket di Messina, squadra di serie B, che si recavano all’allenamento. Si sono salvate risalendo una scala di corda gettata in loro aiuto dai marinai della portacontainer.
Uno squarcio nella fiancata. Dallo squarcio sulla fiancata di dritta dell’aliscafo, sembra chiaro che il mercantile abbia speronato l’imbarcazione delle Ferrovie. Lo conferma il sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Francesco Mollace: "Ciò che è certo, è che è stata la nave portacontainer a investire l’aliscafo. Il problema, a questo punto - ha aggiunto Mollace - è di chi sia la responsabilità dello scontro. Se cioè è stato l’aliscafo a tagliare la strada alla nave o se è stata quest’ultima a seguire la rotta di collisione. E questo potrà essere chiarito soltanto quando saranno espletati tutti gli accertamenti tecnici e peritali".
"Errore umano". L’ipotesi privilegiata dalla Capitaneria di Porto di Messina è quella dell’errore umano. La falla sull’aliscafo è larga parecchi metri e si apre proprio all’altezza della cabina di pilotaggio. Le lamiere sono accartocciate e aprono uno strappo nella lamiera che segue il disegno della prora del mercantile. L’aliscafo è inclinato su un lato perchè dallo squarcio nella fiancata dell’imbarcazione continua ad entrare acqua. Per evitare che affondi, l’aliscafo è stato imbracato da due motobarche dei vigili del fuoco e rimorchiato lentamente nel porto di Messina.
"Ho sentito un tremendo urto". Scene di disperazione sulle banchine tra i parenti in attesa di notizie. Le prime testimonianze raccontano che dopo la collisione, sull’aliscafo è scoppiato il panico: "Ho sentito un tremendo urto", ricorda una donna. "Sono stata sbalzata dal sedile e sono finita tre metri più avanti. C’era una tremenda puzza di petrolio e ho visto la fiancata sventrata dell’aliscafo". Alcuni passeggeri si sono gettati in mare terrorizzati ma sono stati recuperati dai marinai del portacontainer.
Tre indagini. La Procura della Repubblica di Messina ha aperto un’inchiesta. Il magistrato di turno ha disposto gli atti urgenti e necessari ma è possibile, si apprende da fonti giudiziarie qualificate, che la competenza dell’inchiesta sia della Procura di Reggio Calabria perchè l’impatto sarebbe avvenuto in acque calabresi. Anche il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi ha deciso l’avvio di un’inchiesta ministeriale. Domani il ministro sarà a Reggio Calabria per seguire la vicenda. Una parallela indagine è stata aperta anche dalle Ferrovie di cui l’aliscafo era proprietaria. Sia l’aliscafo che la portacontainer sono state sequestrate dalla Procura.
Una tratta molto frequentata. L’imbarcazione era impegnata sulla linea Messina-Reggio Calabria; era salpata da Reggio Calabria alle 17.35. La tratta è molto frequentata. Il traffico nello stretto di Messina negli ultimi anni è aumentato per lo sviluppo del porto di Gioia Tauro, uno dei principali scali del Mediterraneo per i portacontainer.
Il messaggio di Napolitano. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa la drammatica notizia, si è messo immediatamente in contatto con i prefetti di Messina e di Reggio Calabria per seguire gli sviluppi dei soccorsi e le indagini sulla dinamica del tragico incidente. Con profondo turbamento, il Capo dello Stato ha espresso sentimenti di partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime e di preoccupazione per le condizioni dei feriti. Messaggi di cordoglio sono giunti anche dal presidente del Consiglio Romano Prodi.
* la Repubblica, 15 gennaio 2007.
GRAFICO: LA DINAMICA DEL DISASTRO
LA MAPPA DELLO STRETTO POCO PRIMA DELL’INCIDENTE. C’ERA ANCHE UN TRAGHETTO.
MESSINA, COLLISIONE ALISCAFO-NAVE: 4 MORTI. ’SI POTEVA EVITARE’
MESSINA - E’ ormai consolidato il triste bilancio della tragedia nello Stretto di Messina dove ieri sera l’aliscafo Segesta Jet delle Ferrovie dello Stato si e’ scontrato con la nave portacontainer Susan Borchard battente bandiera di Antigua e Barbuda: vi sono 4 morti, tutti componenti dell’equipaggio: il comandante dell’aliscafo, Sebastiano Mafodda, 54 anni, il direttore delle macchine, Marcello Sposito, di 41, Lauro Palmiro, di 50, e Domenico Zona, di 42. Uno dei cadaveri aveva la testa mozzata.
Sono circa 90 i feriti, di cui una settantina transitati negli ospedali messinesi e una ventina in quelli reggini. A Messina vi sono i tre pazienti piu’ gravi le cui condizioni pero’ vengono definite stabili. A Reggio sono due i feriti piu’ gravi, ma non desterebbero preoccupazioni.
Il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, che e’ stato a Reggio Calabria e a Messina ha detto: ’’Ho visto i quattro corpi delle vittime all’ obitorio ed e’ stata una scena impressionante. D’altronde, avendo visto poco prima gli effetti della collisione sull’ aliscafo, si capisce cosa e’ avvenuto ieri sera. In questo momento non c’e’ che da esprimere cordoglio e solidarieta’ ma anche apprezzamento per il lavoro dei soccorritori che ha evitato che il bilancio diventasse piu’ pesante’’. ’’In giornata - ha aggiunto - faremo una riunione tecnica per capire cosa e’ successo e soprattutto che cosa ha impedito a queste due navi di vedersi a distanza’’.
E le inchieste delle procure di Reggio Calabria e Messina che per ora lavorano insieme, del ministero e delle Fs devono accertare anche qual e’ la terza nave coinvolta che potrebbe avere avuto un ruolo nell’ incidente. L’ ammiraglio Luciano Dassatti, comandante generale delle Capitanerie di Porto, ha detto: ’’Nella zona dello Stretto di Messina teatro della collisione c’era una terza nave. Comunque e’ una tragedia che si poteva evitare’’. Attraverso il Vessel traffic service (Vts), un sistema di controllo satellitare in grado di monitorare la navigazione nello Stretto di Messina, che si trova sulla collina sopra il porto di Messina, i tecnici cercheranno di stabilire le cause e le eventuali responsabilita’ dell’incidente.
Il comandante della Capitaneria di Porto di Messina, Antonino Samiani, dice: ’’La nave portacontainer navigava sulla rotta Nord-Sud, diretta verso Israele, ed aveva l’obbligo di mantenere la destra, mentre l’aliscafo, partito da Reggio Calabria, doveva tenersi sulla sinistra. In queste condizioni il diritto di precedenza spetta alla nave, anche se al momento dell’impatto nella zona incrociava un altro traghetto delle Ferrovie, proveniente dall’approdo messinese di Tremestieri. Solo l’analisi combinata delle rotte delle tre imbarcazioni potra’ dare una risposta certa sulle responsabilita’’’.
BANDIERE AMMAINATE A COMUNE MESSINA
Il Comune di Messina ha ammainato le bandiere del municipio in segno di lutto per le quattro vittime della collisione. Lo ha deciso il sindaco Francantonio Genovese, che ha convocato la giunta per deliberare il lutto cittadino per il giorno dei funerali, che non sono stati ancora fissati.
DASSATTI: NESSUN ERRORE DELLA TERZA NAVE
In relazione alla presenza di una terza nave nella zona dell’ impatto tra la Borchard e l’aliscafo Segesta, l’ ammiraglio Dassatti ha riferito oggi pomeriggio a Reggio Calabria che e’ stata identificata nella nave traghetto ’’Zancle’’, di proprieta’ di una delle societa’ private di navigazione sullo stretto di Messina che in quel momento disimpegnava la tratta Tremestieri (Messina)-Villa San Giovanni. ’’Possiamo per ora solo dire - ha chiarito l’ ammiraglio - che la nave Zancle, secondo un primo esame superficiale dei tracciati radar non e’ coinvolta nel terribile impatto. Avrebbe fatto da velo tra il Segesta la Borchard? Ha interferito? Per ora - ha concluso Dassatti - possiamo escludere che questa nave possa avere commesso errori ma tra qualche giorno naturalmente ne sapremo definitivamente di piu’’’.
BIANCHI, POTEVA ESSERE UN’ECATOMBE
’’Se solo il punto di impatto tra la ’’Borchard’’ e la Segesta fosse stato qualche metro piu’ a poppa ci saremmo trovati dinanzi ad una vera e propria ecatombe’’. E’ quanto ha tra l’ altro affermato il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi durante una conferenza stampa conclusasi qualche minuto fa negli uffici della Prefettura di Reggio Calabria. Bianchi, che era accompagnato dal prefetto Luigi De Sena, dall’ assessore regionale ai Trasporti della Calabria, Vincenzo Spaziante, e dai responsabili delle tre Armi della provincia di Reggio Calabria -questore e comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza - aveva visitato precedentemente i feriti ricoverati a Messina e a Reggio Calabria. In particolare, Bianchi parlando dei ricoverati ai ’’Riuniti’’ di Reggio Calabria ha detto di ’’averci parlato e di avere comunque trovato una buona situazione da punto di vista delle persone che hanno riportato gravi ferite, come la ragazza Daniela Schifilliti, che mi e’ sembrata - ha detto il Ministro - abbastanza tonica’’. Bianchi, ha anche affermato che ’’le strutture sanitarie delle due sponde dello stretto e i soccorsi partiti dai due porti, di Reggio e di Messina, si sono dimostrati assolutamente efficaci e pronti all’ emergenza, altrimenti tutto sarebbe stato piu’ tragico. Tenete conto - ha sottolineato Bianchi - che buona parte dell’ equipaggio del Segesta e’ deceduto sul colpo e le circa 150 persone a bordo sono state salvate proprio grazie all’ ottimo funzionamento dei soccorsi’’.
ANSA » 2007-01-15 18:28
ROMA - Due persone sono morte in uno scontro avvenuto al largo del porto di Messina tra un aliscafo Segesta jet , in servizio tra Reggio Calabria e Messina e la nave portacontainer ’’Susan Borchard’’ battente bandiera di Antigua e Barbuda.
La notizia e’ stata confermata dalla Prefettura di Messina. I due morti nella collisione nello Stretto di Messina sarebbero componenti dell’ equipaggio dell’aliscafo. Secondo le prime informazioni sarebbero una sessantina i feriti: 35 sarebbero stati trasportati a Reggio Calabria; altri 25 negli ospedali di Messina. Tre di loro sarebbero in gravi condizioni.
A bordo dell’imbarcazione veloce c’erano 150 passeggeri
Messina, scontro tra aliscafo e nave: 20 feriti, 2 sono gravi.
Nelle acque al largo del porto, un mezzo impiegato sulla linea che collega la città siciliana con Reggio Calabria si è scontrato con la ’Susan Borcard’ *
Messina, 15 gen. (Adnkronos/Ign) - Incidente nelle acque al largo del porto di Messina. Intorno alle 18.30, un aliscafo che percorreva la tratta Reggio Calabria-Messina è entrato in collisione con una nave straniera, la ’Susan Borcard’. Una ventina i feriti, almeno un paio di passeggeri dell’aliscafo sono in gravi condizioni a causa del violento impatto.
Sul luogo dell’incidente sono intervenute le motovedette delle capitanerie di porto di Messina e Reggio Calabria, della Guardia di Finanza, dei carabinieri, oltre ai Vigili del fuoco. Gli interventi sono coordinati da Messina dove è stata allestita una sala operativa.
In queste fasi si sta perlustrando il tratto di mare dove è avvenuta la collisione per verificare se ci siano passeggeri finiti in acqua.
A bordo dell’aliscafo viaggiavano circa 150 persone. Non è ancora chiaro se dopo l’urto con la motonave, un cargo commerciale battente bandiera di Antigua, si sia sviluppato un incendio o se invece i bagliori notati da terra, sottolineano fonti dei vigili del fuoco, siano da attribuire ai razzi di segnalazione lanciati in seguito alla collisione.
A Messina è scattato l’allarme. Gli ospedali della città sono stati allertati per accogliere dei feriti.
L’INCHIESTA
"Il Comandante tutto il tempo al telefono"
l’ultima ipotesi: rotta suicida per una sfida
Scavalcato dai secondi: "Via all’evacuazione, decidiamo noi". L’ufficiale sceso in sala macchine: "Continuavo a urlare nell’interfono che giù era tutto allagato ma nessuno mi rispondeva". Il precedente di Marsiglia, il 7 dicembre, quando già mise a repentaglio una nave carica con una manovra spericolata
dai nostri inviati CARLO BONINI e MARCO MENSURATI
GROSSETO - Il naufragio della "Concordia" restituisce altri segreti. E le parole del procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, lo confermano. "Al di là della posizione del comandante, stiamo valutando le eventuali responsabilità dell’intera catena decisionale", dice.
È un’affermazione volutamente anodina, ma sufficientemente chiara. Che annuncia nuovi avvisi di garanzia, almeno tre, e dissimula le domande intorno a cui ruota l’inchiesta. Chi ha assunto davvero le sciagurate decisioni della notte di venerdì 13? Il solo Francesco Schettino? Cosa è accaduto in plancia tra le 21.42 (il momento dell’impatto con il granito degli scogli del Giglio) e le 22.58, momento in cui viene registrato l’ordine di evacuazione della nave? Cosa ha saputo in quei frangenti l’armatore, la "Costa Crociere"? E che ruolo ha avuto? Perché tanto ritardo per impartire il più ovvio e ragionevole degli ordini? Perché è stato deciso un "inchino" all’isola con modalità di manovra così azzardate?
Nelle ultime ventiquattro ore, tra Grosseto, Orbetello, Porto Santo Stefano e Livorno, sono stati ascoltati dagli inquirenti una decina di testimoni chiave. L’intero quadro ufficiali della Concordia. Tra loro, Salvatore Orsini e Silvia Coronica (secondo e terzo ufficiale), gli ufficiali di coperta Martino Pellegrini, Andrea Bongiovanni, Giovanni Iaccarino e Alessandro Di Lena. E nei loro ricordi, è un nuova messe di dettagli che, messi insieme, accreditano una nuova incredibile ipotesi. Che venerdì 13, Francesco Schettino stesse in realtà conducendo una sfida. Dimostrare "ancora una volta" di che cosa era capace in mare. Del resto, lo vedremo, lo aveva già fatto. Sulla stessa nave, il 17 dicembre.
AL TELEFONO CON LA COSTA
Torniamo dunque alla notte di venerdì. E ai 60 minuti in cui si gioca il destino della "Concordia", del suo equipaggio e dei suoi 4.200 passeggeri. Cosa accade in plancia, dopo l’impatto? Racconta l’ufficiale Alessandro Di Lena: "Il comandante si è attaccato al suo telefono cellulare. Ha fatto numerose chiamate. Noi gli facevamo domande. "Comandante, che si fa?". Ma lui, niente, era sempre al telefono". Al telefono con chi? Almeno tre diversi ufficiali in plancia riferiscono un dettaglio cruciale. "Schettino chiama almeno tre volte, forse quattro, Ferrarini, con cui parla a lungo". Roberto Ferrarini è il "Marine operation director", il responsabile dell’unità di crisi e controllo della flotta "Costa".
I due parlano per prendere quali decisioni? Interpellate da Repubblica, fonti della società armatrice, spiegano: "È vero, Schettino ha contattato Ferrarini una prima volta alle 22.05 e a seguito di quella comunicazione sono state attivate le procedure di emergenza". Bene. Ferrarini ordina forse al comandante di evacuare la nave? O di allertare la Guardia Costiera? Se lo fa, perché Schettino ignora la disposizione (l’evacuazione sarà ordinata solo alle 22.58 dopo un’ulteriore insistenza della Guardia Costiera)? E se effettivamente Schettino fa di testa sua, perché, la mattina del 14, la società armatrice difende la correttezza del comportamento del suo comandante?
La "Costa" sostiene ufficialmente di "non poter violare in questa fase il segreto di indagine" e dunque di non poter dare risposte sul contenuto di quelle tre telefonate. Ma, ufficiosamente, fonti interne alla compagnia riferiscono che, effettivamente, le comunicazioni di quella notte con Schettino sono movimentate. Il comandante ammetterebbe infatti di avere "un problema grave a bordo", ma, a quanto riferiscono ancora le fonti, lo minimizzerebbe, sostenendo di potercela fare. È un fatto - e questa volta a riferirlo sono due ufficiali in plancia - che la terza e ultima delle telefonate con Ferrarini, prima di evacuare la nave, si chiude con le parole del comandante. Affranto. "La mia carriera finisce qui. Mi licenziano".
CON PALOMBO AL CELLULARE
Ferrarini non è il solo con cui Schettino passa quell’ora cruciale al telefono. C’è anche il commodoro in quiescenza Mario Terenzio Palombo, l’ufficiale che, per quattro anni, è stato il suo comandante sulla "Serena", la nave gemella della "Concordia". Il destinatario dell’inchino. Interrogato in procura, Palombo, conferma di aver parlato quella notte con Schettino. Di averlo chiamato lui, dopo essere stato avvertito dal sindaco del Giglio, che la Concordia aveva dei problemi. È così? Altre fonti investigative, spiegano che, in realtà, "si sta verificando se Schettino fosse al telefono con Palombo già al momento dell’impatto con gli scogli". In una sorta di "diretta telefonica" del suo azzardo (la procura ha chiesto di acquisire i tabulati del cellulare del comandante). È un fatto che Palombo, dopo aver parlato con Schettino contatta la Costa Crociere, come conferma la compagnia: "Effettivamente, Palombo, che è uno stimatissimo comandante, con una lunga carriera in Costa, risulta aver contattato Gianni Onorato, il direttore generale. Ma quando la società era ormai già al corrente dell’emergenza".
NEL VENTRE DELLA NAVE ALLAGATA
Dobbiamo immaginare la scena, tra le 21.42 e le 22.58. Schettino attonito in plancia e al telefono. I passeggeri con i salvagenti indossati, in attesa di ordini. Il quadro diventa drammatico nelle parole di Giovanni Iaccarino, primo ufficiale. "Alle 21.42, dopo l’impatto - riferisce a verbale - il comandante mi ordina di scendere in sala macchine. Mi precipito e lo spettacolo è terrificante. Tutto allagato. Avevo letteralmente l’acqua alla gola. Allagato il comparto motori. Allagati i generatori. Allagato i quadri di trasmissione elettrica". Iaccarino si attacca all’interfono e grida in plancia quello che vede. "Allagato comparto motori", "allagato generatore". In plancia, lo "copiano" ripetendo ad alta voce quello che ascoltano. Sono fuori uso le pompe, fermi i motori. Tutti aspettano una risposta scontata: l’evacuazione. Anche perché, sulla nave, funziona ormai una sola fonte di energia. Un piccolo "Isotta Franschini" diesel. Il "Paperino", come chiamano in gergo il generatore di emergenza sul ponte più alto della "Concordia", in grado di alimentare soltanto le luci di emergenza a bordo. Iaccarino, torna a gridare all’interfono quello che vede ogni dieci minuti. Ma non c’è risposta. Schettino è al telefono.
L’ORDINE DI SALIRE SULLE SCIALUPPE
Intorno alle 22.30, in plancia, è chiaro che attendere una risposta dal comandante è inutile. Accanto a Schettino è rimasto di fatto il solo Dimitri Christidis, ufficiale superiore greco (sarà con lui "appennellato" nella scialuppa che li porta in salvo nella notte). Altri ufficiali decidono di investire di fatto del comando della nave Roberto Bosio, il comandante in seconda, un ligure che con Schettino ha sempre avuto rapporti di profonda diffidenza e rivalità marinara. Bosio è per l’immediata evacuazione e, infatti, comincia le operazioni anche senza l’ordine ufficiale. Bosio non deve avere tutti i torti se è vero quello che riferisce ancora Di Lena: "Per i primi quaranta minuti dall’impatto, la nave è rimasta in assetto. Avremmo potuto agevolmente calare le scialuppe con i passeggeri su entrambe le murate. Saremmo arrivati tutti a terra senza neanche bagnarci i piedi".
LA FOLLIA DI MARSIGLIA
La Concordia sta affondando e per la prima volta i suoi ufficiali hanno la forza di ribellarsi al loro comandante. Non l’avevano avuta il 17 dicembre scorso quando - è l’altra sconvolgente verità che emerge dai verbali - Schettino mette a repentaglio una prima volta la nave, carica di passeggeri. Quel giorno, la Concordia è all’ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra i 50 e i 60 nodi. Una tempesta. Racconta l’ufficiale di coperta Martino Pellegrino: "Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque, nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avemmo la forza di parlare. Poi, ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina, per assicurarci che tenessero". Quel giorno, infatti, la manovra è spericolata. La "Concordia" lascia la banchina con le "macchine avanti tutta" facendo leva proprio su quei respingenti, come fossero una molla.
LA SFIDA DEL GIGLIO
Marsiglia il 17, il Giglio il 13. Sembra una cabala scaramantica. Ma forse - è l’ipotesi degli inquirenti - è una terribile "sfida marinara". Schettino vuole dimostrare a se stesso e agli altri ufficiali della Costa quello di cui è capace. La notte del 13 - come hanno ora accertato i nuovi rilievi cartografici - ordina all’ufficiale di rotta di definire la traiettoria per accostare il Giglio. Nel sistema elettronico di comando integrato - racconta ancora Pellegrino - viene immessa la rotta "278° nord-ovest" per arrivare a 0,5 miglia da terra (900 metri). Ma quando la "Concordia" vede le luci del Giglio, Schettino prende il timone. "Passiamo in manuale", ordina. "Comando io". E quell’accosto per l’inchino, diventa una roulette russa.
* la Repubblica, 17 gennaio 2012
Costa Concordia. I calabresi raccontano la tragedia
Franco Zungri, di Briatico, è stato tra i primi a intervenire sul luogo del disastro: «Di fronte avevamo un inferno». Parla anche il pianista calabrese della Concordia, Alex Polimeni *
17/01/2012 Il comandante di una unità di anti-inquinamento del ministero dell’Ambiente, Franco Zungri (a sinistra), è originario di Briatico (Vv), ed è stato tra i primi ad arrivare sul luogo del disastro dove, le operazioni per scongiurare un disastro ecologico di proporzioni gigantesche proseguono ininterrottamente da giorni: «Siamo giunti sulle coste dell’isola - ha dichiarato il comandante - a poche ore dal disastro. Io e il mio equipaggio ci siamo trovati davanti un vero e proprio inferno. In 34 anni di navigazione non avevo visto mai una cosa del genere». E’ con queste parole che Franco Zungri descrive l’odissea a cui ha assistito.
La tragedia, consumatasi pochi giorni fa presso l’Isola del Giglio ha cambiato e stravolto la vita di migliaia di persone. Il riferimento non è solo a chi, purtroppo, un caro l’ha perso, e neanche al comandante della nave Concordia che, anche se è ancora da accertare, sarebbe il principale responsabile del disastro. Lo sguardo va anche a chi, questa tragedia, pur uscendone indenne fisicamente, se la porterà nella memoria.
«Le condizioni climatiche in questo momento - ha continuato Zungri - sembrano essere peggiorate. Sull’Isola del Giglio le onde scuotono lo scafo facendo rilevare alle strumentazioni sensibili variazioni dell’orientamento della Concordia. Il rischio è che la nave possa scivolare verso il fondale di oltre 70 metri che dista dalla stessa una trentina di metri compromettendo tutte le azioni poste in essere fino ad ora per il recupero dei passeggeri e dell’equipaggio dati ancora per dispersi». Secondo Zungri il «dramma poteva essere evitato tranquillamente se solo ci fosse attuata una severa vigilanza per garantire il rispetto delle norme volte ad impedire l’avvicinamento di navi così grandi alla costa. Adesso, oltre all’inestimabile perdita di vite umane, si aggiunge il concreto rischio di un disastro ambientale». Il comandante Franco Zungri, in conclusione, ha voluto puntare il dito verso il comandante della Concordia che «è stato un irresponsabile. Se fossi in lui mi metterei una maschera a vita».
IL PIANISTA CALABRESE DELLA NAVE: «L’INCHINO E’ UN REGALO TIPICO»
Alex Polimeni, pianista da tanti anni sulla “Costa” parla di quell’inchino, nel settembre del 2010, quando la Costa Pacifica attraversava lo Stretto, per onorare tre suoi uomini dell’equipaggio, tre calabresi che da tempo lavorano sulla Costa crociere. Polimeni (a destra) era lì, sul pontile principale, e con gli occhi bagnati dalla commozione, guardava la sua terra. Davanti a lui Villa San Giovanni e, subito dopo, Bagnara Calabra. «E’ un regalo che ci fanno i comandanti ogni volta che passiamo da qui e questo ci commuove perché è un tangibile segno di affetto. Su quel lembo di terra c’è la mia famiglia e aspettano il passaggio della nave per ascoltare il suono del saluto di questa grande balena della tecnologia». Dopo due anni, nel gennaio 2012, la storia si ripete ma quell’inchino fatto troppo vicino alla costa, fa naufragare quel gigante del mare. Anche su questa nave c’è Alex Polimeni, calabrese di Villa San Giovanni, un pianista molto apprezzato, riconfermato anno dopo anno dalla compagnia Costa per le sue grandi doti tecniche e per i suoi repertori densi di swing e di melodie suadenti. Il 13 gennaio, alle 21.30, stava suonando il pianoforte nella hall principale della nave e intonava “When I fall in love” di Nat King Cole: «Non ho capito quello che stava succedendo, pensavo a un improvviso maltempo, e ho continuato a suonare - afferma Alex - sino a quando poco dopo non ho visto la gente che urlava e correva, i spintonava in una ressa incredibile senza controllo, quasi a soffocarsi. Solo dopo i sette fischi di allarme, ho capito che la situazione era grave e insieme ad altri musicisti abbiamo cercato di metterci in salvo».
Poi telefona a suo figlio Giovanni, quasi come se fosse un estremo saluto, mentre un suo collega musicista si gettava nelle acque gelide del Tirreno. Nell’alveo di ricordi drammatici intrisi a terrore e ansia, Alex evidenzia la professionalità dei membri dell’equipaggio e del comandante Schettino. E poi ricorda: «E’ una consuetudine per tutte le navi Costa effettuare il cerimoniale di “inchino” solcando le acque vicine ai territori di origine di alcuni membri dell’equipaggio. Lo fanno sempre anche con me, quando in una delle rotte del Mediterraneo si attraversa lo Stretto di Messina e si avvicina alla costa calabra. Insieme a me ci sono altri due calabresi con cui ho lavorato sulle navi Costa: due grandi cuochi, gli chef Massimo Molinaro e Salvatore Luppino, entrambi di Bagnara Calabra. Anche i calabresi aspettano questo momento - ricorda Alex - e in molti, con i motoscafi, si avvicinano per accompagnare il cammino lento e maestoso delle grandi navi da crociera, mentre tanti sulla terra ferma agitano le bandierine della Costa, come segno di gratitudine. Siamo come una grande famiglia e ora ho un grande dolore per la scomparsa di alcuni miei colleghi musicisti di cui non si sa più niente. Ho perso tutto su quella nave, spartiti, pc, tastiere, insomma tutta la mia musica che però porto nel cuore; ma sarei pronto a ripartire domani».
* IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, 17.01.2012
LA TRAGEDIA DELLA CONCORDIA
"Inchini troppo spesso tollerati"
l’indagine ora punta sulla Costa
Al vaglio degli inquirenti tre telefonate tra il comandante e il quartier generale. Il giallo della donna in plancia. Il governo: vietare le rotte pericolose.
Le battaglie di De Falco nel 2005 contro gli "accosti"
dai nostri inviati CARLO BONINI e MARCO MENSURATI
GROSSETO - Con un’ordinanza di otto pagine, il gip Valeria Montesarchio mette un primo punto nelle responsabilità del naufragio della Concordia (quelle del suo comandante Francesco Schettino). E, in due sole ma decisive righe di testo, torna a illuminare il convitato di pietra di questa storia: la Costa Crociere, la compagnia armatrice.
Scrive il gip nel motivare le ragioni per cui il comandante non può tornare in libertà (perché a rischio di reiterazione del reato), ma deve restare agli arresti domiciliari: "Lo Schettino svolge attività professionale di comandante e non risulta che gli sia inibito, nell’immediato futuro, di continuare nella sua attività". È una notizia.
La "Costa Crociere", per quanto risulta agli uffici giudiziari che indagano Schettino, non ha sospeso il suo comandante. Non lo ha fatto nell’immediatezza del naufragio (ed è comprensibile). Non lo ha fatto il giorno in cui ha preso atto, "purtroppo", del suo "errore umano" (16 gennaio). Non lo ha fatto a ridosso dell’interrogatorio di garanzia (17 gennaio), anche a costo di lasciare all’accusa un argomento decisivo che ne avrebbe impedito il ritorno in libertà.
Perché? Quale interesse ha la Costa a non prendere con decisione le distanze dal suo comandante, fino al punto, lunedì scorso, giorno in cui riconosce l’errore di Schettino, da far dire all’ad Pierluigi Foschi che "l’azienda darà tutto il suo sostegno legale al comandante"? Schettino rappresenta forse una "minaccia" per la Costa? E se è così, perché?
I tabulati del comandante
Sappiamo ormai che, nell’ora e un quarto cruciale del dramma (21.42-22.58 di venerdì 13 gennaio), Francesco Schettino comunica "almeno tre volte" con Roberto Ferrarini, Marine operator director di Costa. Cosa si dicono i due? Nell’interrogatorio di garanzia, il comandante, a quanto pare, non è stato d’aiuto. Né, ad oggi, è disponibile ad esserlo Ferrarini. Rintracciato telefonicamente da "Repubblica", il manager, al quinto tentativo e per interposta persona, fa sapere di essere "molto impegnato con gli ufficiali della Capitaneria di Porto" e dunque di non aver tempo per fornire qualche risposta.
Le stesse che cercano anche gli inquirenti in queste ore, con la richiesta dei tabulati del cellulare di Schettino. Quelli da cui sarà possibile ricostruire, tanto per cominciare, chi, quella notte, chiamò chi. Sciogliendo qualche interrogativo: fu Schettino ad avvisare Ferrarini dopo l’impatto? E Ferrarini lo richiamò?
La richiesta di rimorchiatori alle 22.26
È un fatto che, quella notte, come risulta dal brogliaccio della Guardia Costiera di Livorno (pubblicato online da Repubblica. it), alle 22.26, Schettino chiede alla Capitaneria se è possibile un "invio di rimorchiatori". A quell’ora, il comandante è già consapevole, come scrive il gip nell’ordinanza, "dell’apertura della falla", "del flusso d’acqua in cinque locali della sala macchine", "che la nave si sposta senza motori e in conseguenza del solo abbrivio". La richiesta dei rimorchiatori, rispetto alla gravità della situazione, appare insensata. Ma, a ben vedere, ha una logica.
"La regola d’oro: mai il mayday"
La spiegano bene due qualificate e diverse fonti del settore della navigazione interpellate da "Repubblica". Spiega la prima: "La regola non scritta, ma che conoscono anche i sassi è una: quando si è in difficoltà, fino a quando la situazione non precipita, l’ultima cosa da fare è chiedere aiuto alla Capitaneria. E se proprio si deve, farlo minimizzando l’allarme".
Aggiunge la seconda: "La richiesta di soccorso, anche per una sciocchezza, come una chiglia che struscia un innocuo banco di sabbia, ha due conseguenze: dover spiegare come si è finiti nei guai, sottoporsi a ispezioni e controlli. Che, comunque vadano, per un armatore, sono sempre un costo. Un’ispezione media va dalle 5 alle 8 ore. Sono centinaia di migliaia di euro".
Gli armatori, dunque, scoraggiano di comporre il "113" del mare. Lo sanno i comandanti, lo sanno le capitanerie (non a caso, il sottocapo Tosi, la notte di venerdì 13, dice a De Falco dopo le prime comunicazioni con la Concordia: "Qui ci stanno prendendo per il culo").
Le "certezze" di Costa
L’informazione non deve essere troppo lontana dal vero. Se infatti si rileggono le prime dichiarazioni di Costa Crociere dopo il naufragio, si rintracciano alcune informazioni sorprendenti. Dice il 14 gennaio, Gianni Onorato, direttore generale della compagnia: "Le procedure di sicurezza ed evacuazione sono state eseguite nei tempi corretti. Le norme sono state rispettate dal comandante e corretta è stata anche la decisione del comandante di evacuare la Concordia quando ha ritenuto che ci fossero le condizioni di sicurezza".
Non una di queste informazioni resisterà alla prova dei fatti. Perché tanta fretta nel pronunciare quelle parole? Forse perché Ferrarini ha avuto parte nelle decisioni di Schettino in quell’ora cruciale?
L’inchino sparisce dal blog
Sicuramente, Costa, nelle 24 ore successive al naufragio, oscura sul suo blog ufficiale l’orgoglio con cui esibiva altri storici "inchini" alle isole, come quello del 30 agosto 2010 a Procida, quando al timone, guarda caso, è Schettino. La compagnia, insomma, non ha interesse a che si apra un capitolo complicato. Quello delle rotte sotto costa. È un business importante.
Un colosso come la Concordia che sfila a un passo da terra, magari nel canale della Giudecca, con il suo gran pavese illuminato, non ha prezzo, come strumento di auto-promozione. Molto più efficace di uno spot. Lo sanno gli armatori, lo sanno le capitanerie. L’importante, fino a venerdì 13, per dirla con le parole di ieri dell’ammiraglio Domenico Picone, comandante della Capitaneria di porto di Napoli, è che "le cose vengano fatte con buon senso". Insomma, navi non troppo vicine, capitanerie non troppo "fiscali".
Le rotte e il grande occhio che sorveglia Dice ora il governo che si rivedranno le norme sulle rotte. E tuttavia il business degli inchini si svela oggi come un segreto di Pulcinella. Il Pd (Ermete Realacci e Michele Meta, capogruppo in commissione trasporti alla Camera), pone una questione: per dotare la Guardia Costiera del sistema Vessel Traffic Services (Vts), un equivalente del sistema integrato con trasponder del traffico aereo, "sono stati spesi 11 anni fa l’equivalente di 6 milioni e mezzo di euro odierni. A che punto è la sicurezza dei nostri mari? Chi controlla davvero?". Detta altrimenti, quante volte, guardando il "Vts" le capitanerie hanno tollerato rotte "aggiustate" con "il buon senso"?
Schettino ha avuto la sfortuna di agganciare prima lo scoglio del Giglio e poi di incrociare il capitano di fregata Gregorio De Falco (sentito ieri a lungo in Procura forse anche sulla questione controllo delle rotte), di cui per altro a santa Margherita Ligure, dove fu comandante della Capitaneria fino al 2005, si ricordano ancora le solitarie battaglie contro gli "accosti" vietati nel parco marino.
E certo fanno pensare anche le dimissioni, due giorni fa, di Gianni Scerni, presidente del Rina (il registro navale, il Pra del mare), colpevole di aver candidamente spiegato al "Secolo XIX", che gli risultava "difficile pensare che la Costa non fosse a conoscenza della pratica dell’inchino" e che "esistono mezzi per la tracciabilità delle rotte".
Una donna nel salottino
Non è un azzardo prevedere che l’inchiesta sulla Concordia diventerà un’indagine anche su questo gioco grande. La cronaca dice che, intanto, però si continua anche a rovistare nei segreti di Schettino. L’ultimo, è la presenza a bordo, venerdì 13, di una cittadina moldava (non ancora identificata e rintracciata) che, testimoni, ricordano nel "salottino del comandante" e ben nota all’equipaggio. Pare non fosse stata regolarmente registrata tra i passeggeri.
* la Repubblica, 19 gennaio 2012
SCONTRO ALISCAFO-NAVE: SIRENE DELLE NAVI SALUTANO BARE
MESSINA - Il suono delle sirene delle navi ormeggiate nel porto di Messina e in servizio nello Stretto ha accolto l’uscita dalla cattedrale delle bare delle 4 vittime della collisione tra l’aliscafo della Segesta Jet e la portacontainer avvenuta lunedì scorso: il comandante Sebastiano Mafodda, il marinaio Palmiro Lauro, il direttore di macchine Marcello Sposito e il motorista Domenico Zona. Ci sono stati momenti di forte commozione tra le migliaia di cittadini, oltre 4 mila, che hanno partecipato alle esequie celebrate da monsignor La Piana. Due familiari delle vittime si sono sentite male durante i funerali in corso in cattedrale. Un’ambulanza li ha portati in ospedale e lì si sono ripresi. "Invochiamo con forza maggiore sicurezza nella navigazione dello Stretto e speriamo che vengano realizzate le strumentazioni necessarie affinché simili tragedie non si verifichino più", ha detto l’arcivescovo di Messina Calogero La Piana celebrando le esequie. "Messina - ha aggiunto - piange quattro suoi figli e noi ci stringiamo in un caloroso abbraccio attorno ai familiari". "Esprimiamo - ha proseguito - sincera riconoscenza per il tempestivo intervento delle autorità, delle forze dell’ordine e degli stessi feriti che hanno evitato che le vittime fossero molte di più". Il presidente della Regione Salvatore Cuffaro in una nota ha detto: "In questo giorno in cui si celebrano i funerali avrei voluto essere presente per esprimere loro tutto il mio cordoglio e il mio affetto ma, purtroppo, i delicatissimi impegni d’aula di queste ore hanno impedito, a me come ad ogni altro componente della giunta, che ciò fosse possibile".
CONCLUSO L’INTERROGATORIO DEL COMANDANTE DELLA PORTACONTAINER
La procura di Messina ha concluso l’interrogatorio di Maksim Poludnjev, comandante della nave portacontainer Susan Brochard entrata in collisione, lunedì scorso, con l’aliscafo della Segesta Jet e sta iniziando quello di Francesco Donato, comandante della nave ’Zancle’ della Tourist-Caronte che si trovava nel luogo del disastro. L’interrogatorio di Poludnjev, condotto dai sostituti procuratori Angelo Cavallo, Vito di Giorgio e Francesca Ciranna alla presenza di tre ufficiali della guardia costiera, è durato quattro ore. E’ stato necessario un interprete per tradurre le risposte del comandante che è ucraino.
ANSA » 2007-01-20 10:56
Il racconto dei passeggeri del Segesta Jet proveniente da Reggio Calabria. "Dopo l’impatto si è diffuso il panico, molti di noi si sono gettati in acqua"
Naufragio di Messina, i testimoni "Ci siamo tuffati, temevamo di morire" *
MESSINA - "Dopo l’impatto molti di noi si sono gettati in acqua. Il panico si è diffuso presto. Temavamo di morire". Sono le prime testimonianze raccolte dai soccorritori all’opera sul luogo dello scontro tra l’aliscafo Segesta Jet, partito da Reggio Calabria alle 17.35, e la nave portacontainer "Susan Borchard", iscritta nel compartimento navale di Antigua. La collisione, in seguito alla quale hanno perso la vita due persone, è avvenuta intorno alle 18.30, a un miglio, un miglio e mezzo dal Faro di San Raineri, a Messina.
Drammatica la telefonata fatta da una giovane passeggera: "Mamma, aiuto, l’aliscafo ha avuto una collisione, c’è un incendio a bordo...". Così Loredana Rigano, 19 anni, studentessa della facoltà di Architettura a Reggio Calabria, ferita nella collisione, ha gridato dal suo cellulare, dopo aver chiamato i familiari. Loredana, che ogni giorno fa la pendolare tra Messina e Reggio, è ricoverata con un trauma facciale e il setto nasale rotto nel Policlinico del capoluogo siciliano. Sono stati il padre e un cugino a raccontare della telefonata ricevuta subito dopo l’impatto con la "Susan Borchard".
Intanto decine di persone si sono radunate nell’area del porto di Reggio Calabria, in attesa di notizie: si tratta - oltre che di curiosi - di parenti delle persone che quotidianamente si servono della linea marittima Reggio-Messina, preoccupate per le sorti dei congiunti. Sulle banchine sono stati fatti convergere uomini e mezzi delle forze dell’ordine e ambulanze, coordinate da una unità di crisi istituita nella capitaneria di Porto.
* la Repubblica, 15 gennaio 2007.
Allo stato è solo un’ipotesi, ma tra le cause del disastro potrebbe esserci un natante della "Caronte" che fa la spola tra le due sponde
Tragedia nello Stretto, forse un traghetto la "terza nave" dell’incidente dell’aliscafo
Il "ferry" non avrebbe dato la precedenza al "Segesta" costringendolo a una brusca virata. Si attende il tracciamento delle rotte
di GIUSEPPE BALDESSARRO *
MESSINA - C’era forse una terza nave nello specchio di mare dello stretto di Messina, a circa un miglio e mezzo da San Raineri, dove si è verificata la collisione tra un traghetto veloce delle Fs, il "Segesta Jet" e un Portacontainer "Susan Borchard", battente bandiera di Antigua. La Capitaneria di Porto di Messina sta lavorando sulla base di un’ipotesi precisa, anche se ancora tutta da verificare. Il terzo natante coinvolto sarebbe il traghetto "Zancle" della compagnia privata Caronte&Tourist, in servizio tra il porto di Reggio e quello siciliano. Una di quelle navi che fanno la spola tra Calabria e Sicilia, cariche di automobili e tir. Un mezzo che, involontariamente ha avuto un ruolo nella tragedia. Che, forse, non ha dato la precedenza alla "Segesta", costringendola ad una brusca virata. Manovra che l’ha portata ad incrociare la rotta del cargo straniero.
Del traghetto ha parlato Antonio Samiani, comandante della Capitaneria di Porto di Messina, che sta conducendo alcuni accertamenti sulla dinamica dell’impatto costato la vita a 4 componenti dell’equipaggio delle Fs e 62 feriti.
La presenza dello "Zancle" è confermata in una nota dalla stessa compagnia, che ha avviato un’indagine conoscitiva interna "per determinare la posizione della propria flotta in servizio al momento dell’impatto, composta da 7 unità". Ma secondo la "Caronte&Tourist" il traghetto "aveva visto sfilare normalmente alla propria poppa la Segesta prima del momento dell’incidente". Dai dati del sistema satellitare AIS, sempre secondo le informazioni diffuse dalla Caronte& Tourist, "emerge chiaramente che Segesta non ha modificato la propria rotta e velocità, rimasta praticamente costante dall’uscita dal Porto di Reggio Calabria, per poter sfilare in sicurezza di poppa alla Zancle".
Il comandante Samiani dopo un sopralluogo sul relitto ha tuttavia spiegato che "è ancora presto per riuscire a ricostruire dettagliatamente quanto accaduto". Il Pm Francesco Mollace della Procura di Reggio Calabria, incaricato di condurre l’inchiesta, ha negato di essere a conoscenza della presenza della terza nave. "Ieri sera - ha detto - abbiamo lavorato fino a notte fonda assieme alle forze dell’ordine ed ai responsabili della navigazione sullo Stretto. Nessuno ha fornito informazioni sulla presenza di una terza imbarcazione nei pressi dello specchio di mare teatro dell’incidente".
Anche per il magistrato reggino "è troppo presto per ricostruire la dinamica dei fatto", tanto più che "gli uomini dell’equipaggio che erano alla guida dell’aliscafo con compiti di comando e di decisione sono tutti morti". Il riferimento è al comandante delle "Segesta" Sebastiano Mafodda e al direttore di macchina Marcello Sposito. Entrambi restati schiacciati dalle lamiere mentre si trovavano in plancia di comando.
Di certo al momento c’è che le "leggi" che regolano i movimenti dei natanti nello Stretto di Messina sono "ferree". Esiste infatti un codice di navigazione preciso. Tra l’altro, proprio per la sua stazza, la Susan aveva pochissimi margini di manovra, mentre la "veloce" delle Fs è considerata molto più agile.
La verità molto probabilmente emergerà nelle prossime ore quando gli inquirenti potranno accedere alle registrazioni del radar che controlla lo specchio di mare tra Reggio e Messina. Un sistema che registra tutti i movimenti, compresa, quindi, la presenza della terza nave di cui ha parlato Samiani.
* la Repubblica, 16 gennaio 2007