Lasciata la patria

Diario di un viaggio abituale: il ritorno

sabato 27 gennaio 2007.
 

di Vincenzo Tiano

Gli autobus per il nord partono dal piazzale del “Pedagogico” (ormai questo inizio è un mio topos). Vicino casa mia. Gli ultimi saluti dei genitori e l’autobus parte come un serpentone lungo la via Panoramica. Passando per la strettoia del “Mangia e scappa”, sembra quasi entrare in casa mia, rivolgere l’ultimo saluto, prima di assecondare i venti del nord. Forse siamo ancora in Calabria quando fa la fermata ad una sosta un po’ strana: un gruppo di case e un pub desolato: mai vista gente entrare o uscire. Poi riparte. Non starei qui a tediavi se solo avessi cose più importanti da dirvi. Almeno i racconti di un viaggiatore viaggiante, un emigrante di nuova generazione. Sì, un emigrante, anche se studente, con una valigia piena di libri e soppressate. Emigrato in una città del nord, quella città definita da Pasolini consumista e comunista, in un tugurio di casa ad un prezzo quattro volte maggiore rispetto a una confortevole villa a Marinella. Logiche di mercato. Logiche un po’ strane. Le stesse per cui il pane che mangio (e che pane!) proviene da Pavia, cioè da un’altra regione, o le pesche sciroppate sono prodotte in Grecia, con le scritte in tedesco e distribuite in Italia dai supermercati “In’s”. Comunque, ritornando ai racconti di viaggio, negli autobus si incontra sempre gente sui generis. L’ultima volta un ragazzo della mia età, spigliato e di bella presenza per tutto il tempo non ha fatto altro che parlare. Parlava e parlava e parlava con due signore anziane sedute dietro di lui. A dire il vero era solo lui che parlava, con ottima gesticolazione, mentre le due ascoltavano quasi estasiate. Avrei voluto conoscerlo, almeno per assumerlo come redattore alla Voce di Fiore. Sarebbe stato più prolifico di Federico La Sala. Di fianco a me c’era un uomo sulla sessantina. Fino alle due di notte, mentre io sulle spine aspettavo che il ragazzo finalmente tacesse, lui imperturbabile leggeva una rivista senza copertina (per cui non so dirvi che rivista fosse). Dagli articoli sembrava fosse una rivista di scandali e misteri d’Italia. Leggeva con attenzione. Senza distrarsi un attimo, l’avrà imparata a memoria. Alle cinque del mattino, io entravo in autogrill per un caffé e lui, avendo divorato la rivista, comprava una settimana enigmistica, tanto per cambiare. La cosa strana è che, risalito sull’autobus, non la compilava con la penna, ma la leggeva come se fosse un libro. Gente particolare come vi dicevo. Anche loro emigranti, per lavoro o studio. Forse solo le due signore anziane erano turisti per caso, dal momento che non si curavano minimamente di prender sonno. Ecco il viaggio. Uno dei tanti di un andirivieni che per me continua da tre anni e non so quando finirà.

Diario di un viaggio abituale: l’andata


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