Reditus in patria

Diario di un viaggio abituale

Da Bologna a San Giovanni in Fiore, appunti sulla Natura
martedì 9 gennaio 2007.
 

di Vincenzo Tiano

Gli autobus per il sud partono di fronte la stazione. Di sera. In questi periodi sono numerati. Il mio è il quarto, posto trentanove. C’è sempre qualcuno che conosci: è come se quel piccolo spazio fosse una parte del tuo paese, una specie di extraterritorialità vagante. L’autobus parte sempre con un po’ di ritardo, determinato non da disfunzionalità organizzative, come accade con Trenitalia, ma dall’esigenza di aspettare i viaggiatori e contarli, affinché nessuno di essi possa non far ritorno a casa: è tutto pianificato e organizzato. Lì ci aspettano i parenti, gli amici dell’infanzia, le strade bucate, i fumi dei caminetti, i prodotti “casaruli”. Le “focere”, le mangiate e le “caselle”. E’ sempre una gioia ritornare.

L’autobus parte. Tangenziale, autostrada, chilometri e chilometri di corsa. Quasi cullato, mi addormento grosso modo all’altezza di Firenze e mi risveglio alle cinque del mattino alla sosta nell’autogrill. Oramai è sud. Entro nel bagno: è colmo di urina e silenzio e in cima allo specchio pendono delle stelline dorate e appassite. Significano che è Natale. Dopo la breve sosta, l’autobus riparte e da li a poco il sole comincia già a farsi notare, illuminando le verdeggianti colline del cosentino. Si ferma all’autostazione di Cosenza, la penultima delle fermate. Dopodichè imbocca la strada che va su per i monti, fino a San Giovanni in Fiore, il mio paese. Subito dopo il camposanto cosentino, esso scompare in una nube di nebbia. Nessuna luce. Per quindici minuti non si vede che bianco. A poco a poco la natura comincia a manifestarsi. Spuntano i pini che conservano il verde intenso in ogni stagione. Poi l’altopiano silano. A tratti strati di umidità si levano dal terreno. Alcuni pezzi di prato hanno il colore del fieno, altri sono modellati come il velluto. Finalmente avverto forte il Natale, che non coglievo in una strada trasbordante di negozi, grassi babbonatali, luci, stelle e alberi addobbati. Questi pini sono i veri alberi di Natale e ogni rivolo è una stella cometa.

Nulla sembra cambiato in Sila tranne smottamenti di terreno nelle vicinanze del paese per la costruzione di una pompa di benzina, in un luogo poco idoneo, con tanto di muri in cemento armato che hanno preso il posto di un filare di alberi, nel nascente Parco della Sila. A San Giovanni non c’è più il "Passepartout", storico locale in Via del Corso. O meglio: è stato ristrutturato in un nuovo locale, molto carino... ma qualcuno rimpiangerà il vecchio, vissuto, col legno degli interni.

Tornando al discorso della natura, mi sono dispiaciuto molto della notizia del grosso abete bianco (abies alba) tagliato e dato in dono dalla Regione Calabria al Papa. Mi sono chiesto: perché togliere la vita ad un albero vivo e vegeto? Il Vaticano l’albero di Natale, se proprio non poteva evitarlo in luogo del più ortodosso presepio, non poteva farlo su un albero vivo o artificiale? Non è antipedagocico dal punto di vista ambientale? Per non parlare dei costi di taglio e trasporto, dell’inquinamento e del disagio autostradale creato. Perché i soldi non sono stati utilizzati per fare un regalo alle famiglie calabresi bisognose? Se il Papa ha gradito, chiunque si sentirà autorizzato ad andare a tagliare alberi per farne degli scheletri addobbati di cianfrusaglie.

Ne era passata di acqua da sotto i ponti della Cona da quando il Comune disponeva il taglio di decine di pini in periodi natalizi per legarli col ferro filato lungo le ringhiere del paese. Ora si è consolidata una nuova prassi: l’albero per il Papa. Mi sovviene alla mente un proverbio cinese: “Gli alberi sono le colonne del mondo. Quando tutti saranno tagliati il cielo cadrà su di noi”.

23-dic-06


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