ROMA. «Le promesse non nutrono», ha commentato caustico il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, presentando i dati del rapporto 2006 sulla fame nel mondo. Le promesse sono quelle dei 185 capi di stato firmatari, nel 1996, della Dichiarazione di Roma. Obiettivo: dimezzare il numero di affamati nel mondo entro il 2015, agire contro una situazione definita «inaccettabile e intollerabile».
I dati Fao indicano impietosamente il fallimento di quel solenne impegno: nei Paesi in via di sviluppo, nell’anno dell’ambizioso World Food Summit, erano senza cibo 800 milioni di persone, oggi sono 823. Ma ce ne sono anche 25 milioni nei Paesi cosiddetti «in transizione» e 9 nei Paesi industrializzati, per un totale di 854. Un numero che non è mai calato dall’inizio degli Anni ‘90 e che appare meno spaventoso solo considerando il contemporaneo aumento, quasi un miliardo in più, della popolazione mondiale. È questa proporzione ad alimentare la speranza di risultati migliori nel lungo periodo. Rispetto al 1992 la percentuale dei denutriti è scesa a una media mondiale del 17% e potrebbe calare ancora, fino al 10%, nei prossimi nove anni. Così nel 2015 si potrebbe arrivare a un risultato parziale: la riduzione a 582 milioni di affamati. Il problema è che per onorare l’impegno del dimezzamento ogni anno il popolo degli affamati dovrebbe scendere di 31 milioni, invece aumenta di quattro. Nel 1971, alla Conferenza mondiale sulla nutrizione, Henry Kissinger, in vena di ottimismo, aveva assicurato che «Entro dieci anni nessun uomo, donna o bambino andrà a dormire affamato». Oggi, per quell’obiettivo potrebbe non bastare un secolo. Fallire sarebbe «vergognoso», ha sottolineato Diouf; ma forse è un’onta sopportabile, perché nessuno sembra aver preso troppo sul serio l’accordo. A cominciare dall’Italia che con un misero 0,15 è ben lontana dal destinare, come da programma, lo 0,70 del prodotto interno lordo alla lotta alla fame. In cambio, nel 2025, il numero di diabetici da iperalimentazione nei Paesi ricchi raddoppierà, raggiungendo i 300 milioni di persone.
Nel nostro mondo senza giustizia, dove un bambino americano consuma come 422 coetanei etiopi, è l’Africa sub-sahariana a pagare il prezzo più alto: era previsto un calo a 85 milioni di persone sottoalimentate nel 2015, la Fao ipotizza che saranno ancora 179 milioni. Oggi sono 206 milioni e hanno sempre meno risorse per via della desertificazione che inaridisce i campi. Il 75% degli affamati del mondo appartiene infatti al mondo dei piccoli coltivatori, in gran parte donne, e i mutamenti climatici incrudeliscono la loro lotta per la sopravvivenza. Legambiente ha calcolato che la desertificazione faccia sparire ogni anno il 3,5% delle terre fertili. Per contro i finanziamenti diminuiscono. Secondo un rapporto di ActionAid i livelli globali di aiuto pubblico allo sviluppo destinati all’agricoltura sono crollati da 6,7 miliardi di dollari nel 1984 a 2,7 miliardi di dollari nel 2002.
Ma che vuol dire esattamente «fare la fame»? Per stare bene un essere umano ha bisogno di assumere fra le 2.400 e le 2.700 calorie al giorno. Non disporne significa, ad esempio, che ogni giorno 11 mila bambini (uno ogni 8 secondi) muoiono per malnutrizione. Cinque milioni ogni anno. O anche, che solamente un terzo della produzione complessiva di cereali viene consumata direttamente dagli uomini, mentre i due terzi restanti vengono destinati al nutrimento del bestiame. Ma la carne è un lusso da Paesi ricchi, agli altri restano solo i cereali in meno: in sei degli ultimi sette anni la domanda mondiale ha superato l’offerta e le scorte sono ai livelli più bassi dell’ultimo trentennio. Significa, poi, spese maggiori e minori guadagni, perché i bambini denutriti o malnutriti diventeranno adulti fragili e improduttivi. E, spinti dal bisogno e dalla disperazione, migreranno sempre più numerosi verso i Paesi occidentali, che già si sentono sotto assedio.
Ogni anno - si legge nel rapporto Fao 2004 - oltre venti milioni di bambini sono sottopeso alla nascita e questo fa di loro adulti con ridotte capacità lavorative e di sostentamento. Su scala planetaria, ogni anno in cui non si faranno progressi sul fronte della fame, provocherà nuovi decessi e invalidi. Questi, a loro volta, costeranno ai paesi sottosviluppati 500 miliardi di dollari». Fame e povertà diventano così interdipendenti, in un malefico circolo vizioso.
La Fao indica chiaramente come il problema non sia la disponibilità delle risorse. Da oltre quindici anni anni l’ente internazionale diffonde elaborazioni confortanti secondo le quali il mondo, in base all’attuale stato della capacità produttiva agricola, potrebbe nutrire senza alcun problema più di dodici miliardi di esseri umani. Secondo Diouf manca semplicemente «la volontà politica di mobilitare queste risorse in favore degli affamati».
Le ong da tempo puntano, invano, sulla riduzione o meglio sulla cancellazione del debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo. Secondo Ricerca e Cooperazione il suo peso costa al Sud del mondo circa 21 milioni di vite l’anno e vanifica ogni possibile sviluppo. La sola Africa, ad esempio, deve pagare 35 milioni di dollari al giorno, che la dissanguano. In realtà, basterebbe forse meno: arrivare a quel piccolo 0,70 del Pil e destinare investimenti seri,una piccola percentuale delle somme usate per le armi e la difesa, allo sviluppo agricolo. Che spesso, secondo il rapporto, «è il motore dello sviluppo per le economie rurali e può aumentare le derrate alimentari, ridurre il loro prezzo ma anche mobilitare l’economia locale generando la richiesta di beni e servizi».
E’ veramente una ipocrisia. I governi contnuano a riunirsi, anno dopo anno, riunione dopo riunione, ma la verota’ e’ una sola: tutto un bla bla bla; sono solo parole e i fatti lo dimostrano.
Chavez, presidente della repubblica bolivarina del venezuela, in tutti i discorsi fatti all’ONU contnua a ripeterlo. E’ assolutamente necessaria una riforma dell’ONU e di tutti gli organismi internazionali, anche se a mio avviso il vero problema non si risolve con le riforme, ma con il passaggio ad un nuovo sistema economico, basato non sulla produzione di beni destinati al mercato, ma sulla produzione di beni destinati al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo. E’ necessario il superamento del capitalismo.
La Patria Grande www.lapatriagrande.net
Livi Bacci: «È l’Africa la vera emergenza»
di Umberto De Giovannangeli*
Il grido d’allarme della Fao analizzato da Massimo Livi Bacci, ordinario di Demografia all’Università di Firenze, già presidente dell’International Union for Scientific Study of Population, oggi senatore dell’Ulivo. «L’emergenza delle emergenze - avverte Livi Bacci - si chiama Africa, il continente dove tutti gli indicatori sociali indicano il disastro».
Professor Livi Bacci, qual è il tratto di fondo del grido d’allarme lanciato dalla Fao nel suo rapporto annuale sullo stato dell’insicurezza alimentare?
«Ritengo che questo disastro vada circoscritto soprattutto all’Africa subsahariana: tre quarti dei denutriti si trovano lì. Quello che non trovi in Asia e in America Latina lo trovi tutto in Africa subsahariana, laddove l’ancora velocissima crescita demografica ha una sua parte».
Quali sono le ragioni strutturali del fallimento denunciato dalla Fao?
«Per quanto riguarda l’Africa, questo si inserisce in un problema molto più grande che riguarda tutte le dimensioni dello sviluppo. e di converso tutte le dimensioni della povertà. Anche per altri indicatori l’Africa subsahariana sta andando molto piano, ammesso che si muova. Se noi guardiamo all’andamento della mortalità infantile, all’andamento della natalità, a quello della speranza di vita, alla diffusione dell’aids, a tutte le dimensioni di carattere sociale, troviamo che l’arretramento dell’Africa è abissale. La sottoalimentazione, come la malnutrizione fanno parte integrante di questo quadro di ritardo che non ha una dimensione sola ma ne ha tantissime. In Africa poi sono ancora più aggravati i problemi di disuguaglianza nella distribuzione delle risorse, disuguaglianze dei redditi, disuguaglianze economiche ancora più che in altri continenti. Questo contribuisce a far crescere la proporzione di quelli che sono esclusi.Uno dei problemi non è tanto che non cresca adeguatamente la produzione di risorse ma la loro inefficiente o addirittura iniqua distribuzione. Questi sono i fatti fondamentali».
Al di là dell’aspetto valoriale, che chiama in causa principi come quello della solidarietà, perchè l’Occidente dovrebbe guardare con preoccupazione all’allarme lanciato dalla Fao?
«Noi non possiamo da un lato sostenere e trarre vantaggio dai processi di globalizzazione, e dall’altro, non avere le più grandi preoccupazioni per quelle parti del mondo dove lo sviluppo è assente. Credo che questa sia una contraddizione teorica: se i processi di mondializzazione dell’economia e della finanza hanno dei lati positivi, ebbene, dobbiamo farci carico per quanto sia possibile e preoccuparci di quelle parti del mondo dove i processi di sviluppo restano fortemente indietro. Non ci si può beare solo del lato positivo. Se fossimo ancora a compartimenti stagni, potremmo dirci beh, insomma, quello è un altro mondo, non mi interesso di Marte e neanche dell’Africa...., però i compartimenti stagni non esistono più, i popoli girano, le merci girano, così come le informazioni e le idee, e quindi dobbiamo allarmarci di fronte al gap sempre più crescenti tra chi ha e chi non ha...».
Dall’Occidente all’Italia. Quale misura potrebbe segnalare in concreto l’assunzione di responsabilità?
«Un indicatore macro è l’impegno nella cooperazione allo sviluppo che è anche l’indicatore più facile a migliorare se ci sono risorse. Io dò più soldi e quindi in qualche modo posso indirettamente contribuire allo sviluppo. Questo è un aspetto nel quale tutto il mondo occidentale è in grave ritardo. Pensiamo inoltre alle politiche agricole; politiche che ancora proteggono fortemente l’agricoltura europea, come quelle di Usa e Giappone, implicano indirettamente un freno allo sviluppo dei redditi agricoli degli altri Paesi. Una assunzione di responsabilità potrebbe essere quella di partecipare attivamente al graduale e veloce smantellamento di queste situazioni di favore dell’Occidente».
* www.unita.it, Pubblicato il: 31.10.06 Modificato il: 31.10.06 alle ore 8.44