Un ricordo di Ramon Panikkar
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 26.09.2010)
A pochi giorni dalla sua scomparsa è giusto ricordare Ramon Panikkar, certamente uno dei maggiori teologi del nostro tempo. In grado di unire fede e ragione, oriente e occidente, il cristianesimo con le altre religioni. Prezioso, fra gli altri testi, il volumetto «L’esperienza di Dio» (Queriniana), esperienza che Panikkar riassume in nove tesi, molto significative. Le possiamo elencare, una dopo l’altra.
Non si può parlare di Dio senza un previo silenzio interiore.
Il discorso su Dio è un discorso
«sui generis».
È un discorso di tutto il nostro essere. Non è un discorso su nessuna chiesa, religione
o credenza.
È un discorso sempre mediato da qualche credenza.
È un discorso relativo ad un
simbolo e non a un concetto.
È un discorso polisemico, che non può essere nemmeno analogico. Dio non è l’unico simbolo del divino.
È un discorso che sfocia necessariamente in un nuovo
silenzio. Il silenzio è il crocevia fra il tempo e l’eternità.
L’esperienza di Dio specificamente cristiana Panikkar la riassume in tre testi biblici fondamentali: «In lui viviamo, ci muoviamo e siamo; Dio nessuno lo ha mai visto; perché Dio sia tutto in tutti». Nonché nell’esperienza di Gesù: «Io e il Padre siamo una cosa sola» e «Chi ha visto me ha visto il Padre».
Panikkar aggiunge alla sua riflessione alcuni luoghi «privilegiati» dell’esperienza di Dio. Sono: il male, la trasgressione, il silenzio, il tu. E si affida volentieri ai poeti.
Per tutti Giovanni della Croce: «Questo sapere non sapendo / è talmente potente / che i sapienti argomentando / non riescono mai a sconfiggerlo / perché il loro sapere non arriva / a non capire sapendo / ogni conoscenza trascendendo».