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EU-ANGELO, EU-ROPA .... "SCRITTURA ED EU-CARESTIA"?!

LA CHIESA DI COSTANTINO, L’AMORE ("CHARITAS") E LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA DEI MODERNI. LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA FALSA "CARTA" DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006). Una nota di Filippo Di Giacomo - a cura di Federico La Sala

martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella storia dei Comuni il sistema maggioritario apparve solo nel 1143, nella Chiesa era in uso da otto secoli. Ai Domenicani si deve il bicameralismo, il voto di fiducia, la libera elezione dei rappresentanti alle assemblee elettive e legislative e l’espressione dei tre principi strutturali della democrazia parlamentare: corpo elettivo, collettività deliberante, autorità esecutiva. Ai Predicatori e al loro Definitorio dobbiamo la struttura dei consigli dei ministri; furono loro a (...)

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> LA CHIESA DI COSTANTINO, L’AMORE ("CHARITAS") E LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA DEI MODERNI. --- ITALIA, UN PAESE FONDATO SULL’ INQUISIZIONE. Tribunali della coscienza (Rec. di Carlo Ginzburg).

giovedì 10 ottobre 2019

ITALIA, UN PAESE FONDATO SULL’ INQUISIZIONE

di Carlo Ginzburg *

Sulla soglia di quest’opera imponente, dedicata alla storia religiosa e civile dell’ Italia del ’500 (Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, pagg. 708, lire 60.000) incontriamo eventi molto più vicini a noi: "l’appello alle Brigate rosse di Paolo VI e la cupa solenne cerimonia funebre sul corpo di Aldo Moro con gli uomini di Stato italiani inginocchiati ai piedi del pontefice romano" (pag. X). Prosperi vede in essi "i momenti simbolici di una rifondazione dello Stato italiano" (io parlerei piuttosto di inizio simbolico della fine della prima repubblica) "che ancora una volta - dopo gli anni della guerra nazifascista - ha dovuto far leva sulle ragioni ultime della sua unità". L’ ironia amara di questa battuta diventa esplicita nel corso del libro, là dove Prosperi osserva che "una forma di alta sovranità del papa sull’ Italia è ancora visibile" (pag. 74). La legittimazione profonda dello Stato italiano si trova, ancora oggi, al di fuori di esso. Tribunali della coscienza rintraccia le premesse di questo persistente dato di fatto nei modi in cui la Chiesa cattolica affrontò e superò la crisi gravissima provocata dalla Riforma protestante. Ci troviamo dunque di fronte a un’ ennesima variazione sul tema della Riforma protestante mancata, che sarebbe all’ origine delle debolezze morali e politiche italiane? Neanche per sogno.

Anziché da quest’idea, cara a Edgar Quinet, a Francesco De Sanctis, a Piero Gobetti (degli odierni ripetitori è meglio tacere), Prosperi parte da ciò che è stato, non da ciò che sarebbe potuto essere. In un libro di originalità non comune (Il sovrano pontefice, Il Mulino, 1988) Paolo Prodi ha sostenuto che nel corso del ’400 lo Stato della Chiesa emerse come prototipo degli Stati nazionali europei: sia dal punto di vista della legittimazione, sia da quello dell’ organizzazione burocratica, imperniata sul sistema delle congregazioni cardinalizie, quasi una prefigurazione dei ministeri moderni. Una di queste congregazioni, la più potente, era quella del Sant’ Uffizio, istituito da Paolo III nel 1542 per rendere più efficace l’ attività antiereticale svolta dall’ Inquisizione fin dal Medioevo.
-  Prodi invitava a studiare quest’Inquisizione moderna dal punto di vista dello Stato pontificio e della politica italiana.

Tribunali della coscienza raccoglie l’esortazione ma la inserisce in una prospettiva di ricerca molto diversa. L’Inquisizione non fu soltanto "il principal nervo del pontificato", secondo le celebri parole di Paolo IV riferite da Paolo Sarpi: fu anche, osserva Prosperi, "l’unica forma di potere centralizzato che funzionò in Italia durante l’epoca moderna" (pag. 74) attraverso il fittissimo scambio di lettere tra la congregazione romana e i tribunali periferici. In qualche caso, come a Venezia, gli Stati italiani cercarono di difendersi dall’ intrusione del potere ecclesiastico: ma finirono col cedere di fronte alla minaccia di sovversione politica, oltre che religiosa, che aleggiava attorno alla Riforma protestante.
-  Si arrivò così a quella che Prosperi definisce "unità inquisitoriale dell’ Italia" (pag. 114), basata sulla repressione poliziesca, sul sospetto, sulla delazione, sulla tortura e sui roghi. Sono elementi su cui gli storici cattolici degli ultimi cinquant’anni hanno preferito sorvolare. Essi si sono soffermati piuttosto sui vescovi, sui parroci, sulle visite pastorali: una scelta comprensibile, osserva Prosperi, in un momento in cui la Chiesa, attraverso le sue strutture diocesane, si era posta alla "guida politica delle masse cattoliche".

Tribunali della coscienza segue un’ altra strada. La prima parte è dedicata all’ attività dell’Inquisizione romana nella penisola italiana; la Sicilia e la Sardegna, soggette a un’ altra istituzione - l’Inquisizione spagnola - restano fuori dal quadro. Ma in questo libro la storia istituzionale, che pure funziona da filo conduttore, non ha nulla di astratto: parte dal vertice e dal centro e si dirama verso il basso e la periferia, fino a cogliere il modo in cui le istituzioni della Chiesa cattolica romana hanno modellato i comportamenti e gli atteggiamenti, dai più esteriori ai più intimi, di innumerevoli uomini e donne. (Le loro strategie di resistenza rimangono necessariamente un po’ in ombra: ma ogni prospettiva di ricerca comporta qualche sacrificio conoscitivo).
-  Il perdurante divieto, al tempo stesso scandaloso e ridicolo, che impedisce agli studiosi di accedere all’ archivio romano del Sant’ Uffizio, ha imposto un limite all’ indagine. Esistono però gli archivi dei tribunali periferici, talvolta ricchissimi: Venezia, Modena, Pisa, eccetera. Prosperi li ha esplorati minuziosamente per più di vent’ anni, senza trascurare le carte inquisitoriali finite dopo varie vicissitudini a Dublino e a Bruxelles. Eresie, stregoneria e incantesimi, bestemmie, lettura di libri proibiti, seduzione in confessionale: il Sant’ Uffizio si occupava di questo e d’ altro.

Nel corso della sua lunghissima ricerca Prosperi deve aver temuto più di una volta di perdersi in una simile foresta. Il rischio c’era, ma è stato superato splendidamente. Tribunali della coscienza non è una storia dell’ Inquisizione. Analizza tutti questi temi sulla base di una documentazione ricchissima, spesso inedita, ma inserendoli in una struttura argomentativa elegante e rigorosa, scandita dai termini enunciati nel sottotitolo del libro: inquisitori, confessori, missionari. I primi due emergono fin dal prologo ("L’esperimento calabrese").
-  In Calabria, dopo la guerra condotta contro le comunità valdesi dal governatore Martino Caracciolo, si scontrarono tra il 1561 e il 1563 la strategia dura degli inquisitori e quella morbida, imperniata sulla confessione, dei padri gesuiti. Ma si trattava di tensioni episodiche: il rapporto tra inquisitori e confessori era di regola strettissimo. A questa conclusione erano arrivati quasi contemporaneamente alcuni anni fa due valenti studiosi, Giovanni Romeo e Ottavia Niccoli. Studiando l’atteggiamento dell’Inquisizione verso, rispettivamente, streghe e false sante, essi avevano scoperto che in molti casi il confessore impartiva l’assoluzione a patto che il penitente o la penitente si presentassero "spontaneamente" al Sant’Uffizio a denunciare se stessi e gli eventuali complici.
-  Con un balzo d’immaginazione storiografica Prosperi ha posto il rapporto tra inquisitori e confessori al centro della sua indagine sulle lontane premesse dell’ Italia moderna. Ciò gli ha consentito di liberarsi in due righe delle annose diatribe sul rapporto tra Riforma cattolica e Controriforma, e soprattutto di affrontare il tema delicatissimo della Inquisizione superando vecchi e nuovi luoghi comuni.

Negli ultimi decenni una serie di ricerche di prim’ordine (a cominciare da quelle di John Tedeschi, parzialmente raccolte in un volume di cui è annunciata la traduzione italiana) hanno gettato molta luce sulle strutture e sul funzionamento dell’ Inquisizione romana. Un’ immagine più realistica si è sostituita all’ antico stereotipo, affermatosi nel ’700, dell’ Inquisizione come sinonimo di tribunale feroce e arbitrario. Ma sta emergendo uno stereotipo di segno opposto, secondo cui l’Inquisizione sarebbe stato un tribunale equo e addirittura mite.
-  Prosperi, partendo dal legame tra inquisitori e confessori, mostra l’inadeguatezza di queste formule. In una prima fase l’Inquisizione fu soprattutto, com’ è ormai accertato, lo strumento di una feroce lotta ai vertici della Curia. Il cardinale Giovanni Morone fu messo sotto processo; un altro cardinale, l’inglese Reginald Pole, accusato di eresia in pieno conclave, vide dileguare le proprie aspirazioni al pontificato; due personaggi di umile estrazione sociale come Michele Ghislieri e Felice Peretti riuscirono, grazie alla carriera fatta come inquisitori, a diventare papi sotto il nome, rispettivamente, di Pio V (poi santo) e Sisto V.
-  Attraverso la rete dei suoi vicari l’ Inquisizione romana, ormai centro di potere quasi incontrastato, penetrò nella società italiana scalzando le prerogative degli ordini religiosi e sovrapponendosi alle stesse istituzioni diocesane. Il confessore, che il Concilio di Trento aveva già trasformato in un funzionario di stato civile, divenne un "braccio spirituale dell’ Inquisizione" e "un agente della specie più insidiosa di polizia" (pagg. 244, 541).
-  Soltanto quando il pericolo protestante si attenuò le parti si rovesciarono: gli inquisitori assunsero una fisionomia prossima a quella dei confessori, impartendo con frequenza sempre maggiore perdoni generali e penitenze salutari. Un analogo mutamento di rotta si verificò nei casi di stregoneria. Il Sant’ Uffizio riuscì a imporre la propria cautela perfino a Carlo Borromeo: ossia a colui che, saputo del rogo delle streghe della valle Mesolcina, esortò il gesuita che l’ aveva informato "a far abondante ricolta spirituale da questi semi" (pag. 376).

Negli scorsi decenni vari studiosi hanno insistito sul parallelismo tra i fenomeni di disciplinamento che si sarebbero verificati nei paesi protestanti e in quelli cattolici. Un contributo decisivo in questa direzione venne dato dai missionari, ai quali è dedicata la terza parte, forse la più nuova, di questo libro ricchissimo.
-  Con grande efficacia Prosperi ricostruisce l’entusiasmo di una generazione scossa e affascinata dalle lettere che descrivevano l’ attività svolta dai missionari, soprattutto gesuiti, in Asia e nelle Americhe. Gli stessi metodi di catechizzazione, lo stesso sguardo distaccato, quasi etnografico s’ incontrano nelle relazioni dedicate a quelle che vennero allora definite "nostre Indie" o "Indie di quaggiù": la Corsica, la Lunigiana, la Campagna romana o i dintorni di Eboli.

Prosperi collega suggestivamente questa straordinaria spregiudicatezza intellettuale all’ apertura dei gesuiti verso i "nuovi cristiani", ossia gli ebrei convertiti o i discendenti di ebrei convertiti. Tra loro troviamo uomini come Diego Lainez, uno dei fondatori della Compagnia; Juan de Polanco, segretario di Ignazio di Loyola; il celebre missionario Antonio Possevino. E del resto, l’adattamento teorizzato dai gesuiti - fino all’ estrema disponibilità verso i riti cinesi - non riecheggiava forse la strategia praticata in Spagna dai marrani?
-  Le missioni ebbero un successo enorme, ma il prezzo pagato fu alto. "La catechizzazione delle masse avvenne" scrive Prosperi "per via di meccanismi di indottrinamento collettivo che prescindevano dalla lettura diretta e dalla riflessione individuale" (pagg. 634-635). Per il protestantesimo liberale ottocentesco questi fenomeni contrassegnavano l’esclusione del cattolicesimo dal mondo moderno (condannato anche dal Sillabo). Oggi, giunti alla fine del ventesimo secolo, riconosciamo senza sforzo la modernità dei gesuiti.
-  "Modernità" e "mondo moderno" significano ormai tutto e il contrario di tutto: forse è venuto il momento di congedare questi termini, insieme alla loro vacua appendice postmoderna, come mera chiacchiera.
-  I gesuiti sono un tema più interessante. Speriamo che Prosperi ci dia un giorno il libro sui gesuiti che egli solo è in grado di scrivere.

Intanto festeggiamo questo Tribunali della coscienza: un’opera che, per la nitidezza della costruzione, la vastità del materiale utilizzato, la calma autorevolezza della prosa è destinata a diventare un classico. Classico è anche l’ ideale, alto e austero, di equanimità storiografica che il suo autore persegue. Esso presuppone il controllo, non l’assenza, delle passioni: prima fra tutte, l’ indignazione (si legga il bellissimo capitolo "Confessori e donne").
-  La storia che Prosperi racconta è grandiosa e terribile. Dolcezza e minaccia, misericordia e tormenti: l’azione congiunta, segreta e pubblica, di inquisitori, confessori e missionari modellò coscienze e comportamenti individuali e collettivi; insomma, l’ Italia cattolica.
-  Ma questa, dice Prosperi, è una storia conclusa: la scomparsa di una società prevalentemente contadina, in cui "i ritmi lenti e ripetitivi della vita sociale" erano "regolati dai riti di passaggio coincidenti con i sacramenti della Chiesa" ha "lasciato il posto ad un orizzonte sociale del tutto secolarizzato" (pag. XXI).
-  E’ una conclusione che lascia interdetti. Come conciliarla con la presenza attiva della Chiesa cattolica nei settori più diversi della società italiana - le banche, le parrocchie, le organizzazioni del volontariato, e così via? - e come conciliarla con quella sorta di "alta sovranità" del papa sull’ Italia di cui ci parla lo stesso Prosperi? Nell’ accenno all’ "orizzonte sociale del tutto secolarizzato" sembra risuonare inaspettatamente, anche se con un timbro completamente diverso, la voce di papa Wojtyla - come se Prosperi si fosse identificato per un attimo, senza volerlo, con l’ estrema propaggine delle sue fonti.

Certo, confrontata con l’ Italia di quattro secoli fa, o con l’ Iran e l’ Afghanistan odierni, l’ Italia appare come un paese secolarizzato. Ma "secolarizzazione" è un termine relativo. Il potere, qualunque potere, trova necessariamente la propria legittimazione in ambiti non secolari come il rituale e il mito. Lo ricorda Angelo Torre, al termine di una ricerca ardua e importante (Il consumo di devozioni, Marsilio, 1995) condotta in una prospettiva che Prosperi, nella prefazione a Tribunali della coscienza, presenta rapidamente, e respinge, in termini che non condivido.

Torniamo alla debole legittimazione dello Stato italiano: il tema attualissimo da cui parte il libro di Prosperi. Questa debolezza ha radici lontane e vicine. L’idea di Italia nasce all’ombra di due poteri universali, il papato e l’Impero (di cui l’ Italia, disse Dante, era il giardino). Nel 1870 la classe dirigente italiana si trovò di fronte al dilemma, analizzato da Federico Chabod in pagine famose, sull’opportunità o no di trasportare a Roma, centro del papato, la capitale del nuovo Stato. La scelta fatta allora ci appare oggi forse inevitabile, ma sicuramente perdente. Ricordiamocene nel momento in cui si annuncia il sinistro baraccone del Giubileo. Le realtà sgradevoli vanno guardate in faccia.

Carlo Ginzburg - Archivio "La Repubblica", 14 gennaio 1997.


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