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EU-ANGELO, EU-ROPA .... "SCRITTURA ED EU-CARESTIA"?!

LA CHIESA DI COSTANTINO, L’AMORE ("CHARITAS") E LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA DEI MODERNI. LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA FALSA "CARTA" DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006). Una nota di Filippo Di Giacomo - a cura di Federico La Sala

martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella storia dei Comuni il sistema maggioritario apparve solo nel 1143, nella Chiesa era in uso da otto secoli. Ai Domenicani si deve il bicameralismo, il voto di fiducia, la libera elezione dei rappresentanti alle assemblee elettive e legislative e l’espressione dei tre principi strutturali della democrazia parlamentare: corpo elettivo, collettività deliberante, autorità esecutiva. Ai Predicatori e al loro Definitorio dobbiamo la struttura dei consigli dei ministri; furono loro a (...)

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> L’AMORE ("CHARITAS") E LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA DEI MODERNI. LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA "CARTA" FALSA DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006). .... I conservatori della "carta"!!! Ci si risparmi almeno la retorica.

martedì 23 ottobre 2007


-  Costituzione, le riforme e l’antipolitica
-  I conservatori della carta

di Angelo Panebianco

Uno dei paradossi che caratterizzano la nostra democrazia può essere così sintetizzato: da un lato, la consapevolezza della radicale inadeguatezza della nostra carta costituzionale, del fondamentale contributo che essa ha dato e dà alle tante inefficienze della democrazia italiana è universalmente diffusa. Al punto che da circa trent’anni si tenta, senza mai riuscirci, di modificarla in profondità. Dall’ altro lato, schizofrenicamente, si continua a circondare la Costituzione del ’48 dell’aura del mito, spargendo retorica sugli «istituti di libertà e democrazia » che essa egregiamente difenderebbe. Come si spiega la singolare coesistenza (talvolta nelle stesse persone) della consapevolezza dei gravi difetti del testo costituzionale e di cotanta vis retorica? In linea di principio non è sbagliato tentare di difendere una costituzione mitizzandola a volte anche al di là dei suoi autentici meriti. Però, ne deve valere davvero la pena. La varrebbe se la nostra fosse simile a quella britannica (che non è un unico testo scritto ma un insieme di convenzioni e di statuti accumulatisi nei secoli), a quella americana o a quella francese della Quinta Repubblica, poiché quelle costituzioni hanno reso buoni servigi alle rispettive democrazie. Ma come si può credibilmente diffondere tanta retorica intorno a una carta costituzionale che ci ha regalato una democrazia acefala, ossia priva di un capo di governo dai forti poteri, e assembleare (l’assemblearismo è una degenerazione del parlamentarismo), un mostruoso bicameralismo simmetrico, e ben 56 governi in meno di sessant’anni, dal ’48 ad oggi? E sto parlando, sia chiaro, solo della seconda parte della Costituzione, relativa ai poteri dello Stato e ai rapporti costituzionali. Non mi dilungo, invece, sulla prima parte, quella attinente ai cosiddetti «valori costituzionali ». Mi limito solo a osservare che una Repubblica democratica fondata sul «lavoro» anziché sui diritti di libertà, e nella quale il diritto di proprietà e la libertà economica sono stati rigidamente separati dai diritti fondamentali, ha sempre creato notevoli problemi alle libertà: ad esempio, ci ha lasciato senza anticorpi e difese contro gli eccessi di statalismo e di dirigismo, vizi nazionali dai quali non riusciamo tuttora a sbarazzarci. Non è chiaro perché di questa schizofrenia non riescano a liberarsi nemmeno uomini di qualità e di spessore come, ad esempio, l’ex ministro per la Funzione pubblica, Franco Bassanini.

Da un lato, Bassanini apprezza a tal punto le democrazie governanti (quelle vere) da accettare di entrare in una commissione di studio voluta dal f r a n c e s e N i c o l a s Sarkozy, un presidente i cui (enormi) poteri dipendono dalla Costituzione della Quinta Repubblica. Dall’altro lato, Bassanini contribuisce a promuovere un documento, firmato da numerose personalità, teso a ottenere dal costituendo Partito democratico l’impegno a immolarsi sull’altare del più ortodosso conservatorismo costituzionale, a difesa di una Costituzione in virtù della quale abbiamo, e continueremo ad avere fin quando resterà in vigore, una democrazia assembleare e non governante. Poiché chiedere, come fa quel documento, un impegno a blindare l’articolo 138 (quello che riguarda le revisioni costituzionali), equivale a pretendere che mai una vera riforma della Costituzione possa essere realizzata.

La Francia, nel 1958, spazzò via, grazie a de Gaulle (all’epoca, stupidamente, considerato un fascista da tanti anche in Italia), una pessima Costituzione molto simile alla nostra e ben pochi colà la rimpiangono. Da noi non è possibile. Troppi sono affezionati ai poteri di veto diffusi, alle capacità di interdizione che la democrazia acefala e assembleare assicura anche alla più piccola delle corporazioni: a scapito, ovviamente, del potere decisionale dei governi. Come ha confermato anche il referendum che ha respinto la riforma costituzionale voluta dal Polo.

Riforma che non era, come per eccesso di faziosità si dice nel documento sopra citato, una «controriforma » (lo ha ricordato Piero Ostellino sul Corriere): era piuttosto un riforma con chiari e scuri, che conteneva alcune cose buone (il rafforzamento del potere del premier, la riduzione dei parlamentari, qualche correttivo alla folle riforma del Titolo Quinto voluta dal centrosinistra) e alcune cose cattive (soprattutto, un pasticcio in materia di poteri del Senato). Si dice: la Costituzione ha garantito la democrazia e la libertà anche quando il Paese era diviso fra comunisti e anticomunisti.

Ma no.A garantire democrazia e libertà, all’epoca, fu la nostra appartenenza al blocco occidentale e a un’Europa in costruzione. Ciò che quella Costituzione «garantì » fu il fatto che la nostra democrazia fosse una delle più inefficienti all’interno di quel blocco. Peraltro, abbiamo potuto constatare, fin dagli anni 90, che le riforme del sistema elettorale, pur necessarie, non sono sufficienti per ottenere stabili democrazie governanti. E’ un punto, quest’ultimo, sul quale concordo con Andrea Manzella (la Repubblica di ieri) dal quale però mi divide la mia minore deferenza per lo «spirito costituente» del ’47 e, tenuto conto dei gravi errori (riconosciuti dallo stesso Manzella) allora commessi, per la «maggioranza costituzionale » dell’epoca. Siamo costretti a tenerci, antipolitica permettendo, la carta costituzionale che abbiamo e, con essa, la democrazia acefala e assembleare, con la sua paralisi e le sue mille inefficienze. Ci si risparmi almeno la retorica.

* Corriere della Sera, 11 ottobre 2007(modificato il: 16 ottobre 2007)


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