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Giustizia

Why not non è più nelle mani di De Magistris, che dice: "Ci avviamo al crollo dello stato di diritto"

mercoledì 24 ottobre 2007 di Emiliano Morrone
PM CATANZARO: AVOCATA INCHIESTA ’WHY NOT’
CATANZARO - Ansa - La Procura generale di Catanzaro ha avocato l’inchiesta Why Not sul presunto uso illecito di
finanziamenti pubblici di cui era titolare il pm Luigi De Magistris. Lo si è appreso stamani in ambienti giudiziari.
L’avocazione è stata disposta dal procuratore generale facente funzioni, Dolcino Favi, e sarebbe stata motivata da una presunta incompatibilità di De Magistris nel procedimento legata alla richiesta di trasferimento (...)

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lunedì 22 ottobre 2007

Tutto quel «fuoco» contro un solo pm

di Enrico Fierro *

Nella remota procura della Repubblica di Catanzaro non è scoppiato un nuovo conflitto tra politica e magistratura, ma una impari lotta tra il potere e un solo pubblico ministero. La città calabrese non è Milano e siamo nel 2007 e non agli albori degli anni Novanta, quando Tangentopoli e Mani pulite indussero nel Paese sentimenti di speranza (sempre quella, sempre la stessa: la giustizia), e timori in una parte della classe dirigente. Non c’è un Raphael e non ci sono monetine. In tv non si vedono magistrati di un pool unito sostenuto dall’opinione pubblica. Nelle Camere non ci sono due fronti opposti come allora, quegli scontri epici tra chi attaccava i pm milanesi e chi li difendeva. No, Catanzaro non è Milano perché sull’attacco al pm Luigi de Magistris la politica sembra miracolosamente aver ritrovato una sua sostanziale unità. La sola eccezione di Di Pietro non basta. Mani pulite è lontana assai, e nella coscienza degli italiani Tonino è da tempo «l’ex pubblico ministero». Le sue scaramucce con il ministro Mastella, poi, sanno troppo di teatrino della peggiore politica. Su tutto prevale una incredibile consonanza tra politici, partiti e ambienti diversi. E così il forzista Cicchitto può dirsi d’accordo con Fabbri dell’Udeur, in un dico, aggiungo e «adesso lo sistemo io», che naviga in un mare di imbarazzati silenzi di quegli esponenti del Pd che nei decenni passati avevano detto parole importanti sul ruolo dei magistrati in questo Paese e sulla necessità civile della loro libertà e indipendenza. Catanzaro non è Milano perché il pubblico ministero Luigi de Magistris è un uomo solo. Un solo magistrato da mesi al centro di un poderoso fuoco di fila da parte di personaggi importanti del sistema politico e di potere italiano. Primo fra tutti il ministro della Giustizia Clemente Mastella. Ai tempi di Mani pulite, insieme a chi chiedeva avocazioni di inchieste (raramente ottenute) e trasferimenti di pm fastidiosi, c’erano politici (il riferimento è ai vertici del Pci-Pds, alle inchieste di Milano ma anche a quelle del giudice Nordio che li videro coinvolti) che accettavano il complicato corso delle inchieste giudiziarie, si facevano interrogare, si difendevano nel processo, rispondevano. E aspettavano. Altro stile, evidentemente. E invece, ancora ieri, il ministro Mastella si è lanciato in una serie di pesantissimi attacchi al magistrato solo. «Non invocherò cavilli», ha promesso, conscio che la madre di tutti i cavilli, l’avocazione, ha già risolto la questione dell’inchiesta «Why Not». L’inchiesta certo continuerà, e non potrebbe essere diversamente, ma nelle mani di un altro magistrato, che dovrà rileggersi migliaia di carte, riascoltare intercettazioni telefoniche, ricostruire centinaia e centinaia di flussi monetari, interpretare delicati e opachi passaggi societari. I tempi della ricerca della verità (l’unica che garantisce insieme a Mastella tutti gli italiani) saranno lunghissimi. «De Magistris - continua il Guardasigilli - mi ha iscritto scientemente nel registro degli indagati perché sapeva che iscrivendomi gli veniva tolta l’inchiesta e diventava un eroe nazionale». Parole gravissime perché dette da un ministro che ha nelle mani parte dell’azione disciplinare che riguarda quel magistrato. E che brutalmente puntano ad insinuare un dubbio nell’opinione pubblica: de Magistris ha agito perché afflitto da mania di protagonismo. Vuole diventare popolare, forse fare politica, candidarsi alle elezioni. Le stesse accuse che si videro piombare addosso altri magistrati negli anni passati. Non vi risparmiamo neppure i riferimenti evangelici del ministro: «De Magistris è Barabba, non Gesù». Barabba era un ladro ebreo, un omicida, ma anche un rivoluzionario che voleva opporsi allo strapotere di Roma. Non sappiamo a quali di queste tre «caratteristiche» il ministro accosti il pm de Magistris. Ci sfugge, poi, chi sia Cristo in questa vicenda.

La realtà è che a Catanzaro c’è un pubblico ministero solo. Nel suo ufficio, innanzitutto. Quella procura che gli ispettori di via Arenula giudicano «un maleodorante verminaio». Lasciato per troppo tempo solo dagli stessi suoi colleghi e dalle associazioni della magistratura italiana. Senza voce fino al provvedimento di avocazione dell’inchiesta. Questo pensa quella parte dell’opinione pubblica che solidarizza con de Magistris non per attaccare il governo o Mastella, ma per affermare principi semplici di vita civile: le inchieste sul malaffare non si fermino di fronte ai santuari del potere, i magistrati vengano lasciati liberi di lavorare e non intimiditi. Questo pensano i calabresi onesti che hanno raccolto petizioni contro il trasferimento del pm. Questo pensano tantissimi elettori dell’Unione scioccati dall’affermarsi di metodi punitivi, frutto di una concezione arrogante e proprietaria della funzione pubblica. «Manco ai tempi di Berlusconi», è l’espressione più sentita in queste ore. Perché in questa vicenda è difficile rappresentare il potere con il volto del pm di Catanzaro. La gente comune - quella che ha ridato vigore alla partecipazione politica con le primarie del Pd, il referendum e la manifestazione della sinistra di sabato scorso - non capisce il dispiegarsi di tanta potenza di fuoco contro un «solo» magistrato. Certo, si potrà disquisire per mesi sulla giustezza dell’avocazione, parlare a lungo, anche senza aver letto una sola carta, delle anomalie che affollano le inchieste di de Magistris, ma un dato è certo: la contemporaneità tra iscrizione del ministro della Giustizia nel registro degli indagati e decisione dell’avocazione dell’inchiesta è micidiale. In tutta questa storia il corso delle cose ha preso un andamento pericolosissimo. L’opinione pubblica sente puzza di potere e di ingiustizia. Ed è forse questo disagio, più dei maldipancia di qualche senatore pronto ad indossare casacche azzurre, che andrebbe capito e affrontato.

* l’Unità, Pubblicato il: 22.10.07, Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.20


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