PM CATANZARO: AVOCATA INCHIESTA ’WHY NOT’ CATANZARO - Ansa - La Procura generale di Catanzaro ha avocato l’inchiesta Why Not sul presunto uso illecito di finanziamenti pubblici di cui era titolare il pm Luigi De Magistris. Lo si è appreso stamani in ambienti giudiziari.
L’avocazione è stata disposta dal procuratore generale facente funzioni, Dolcino Favi, e sarebbe stata motivata da una presunta incompatibilità di De Magistris nel procedimento legata alla richiesta di trasferimento cautelare d’ufficio che è stata fatta nei suoi confronti dal ministro Mastella. Nel caso specifico sarebbe stato ravvisata una incompatibilità nel procedimento da parte di De Magistris proprio per il coinvolgimento del ministro. La situazione determinatasi dopo la richiesta di trasferimento, secondo quanto si è appreso, avrebbe dovuto imporre l’astensione da parte del pm. Siccome l’astensione non c’é stata, né il capo dell’ufficio ha provveduto alla sostituzione del magistrato titolare dell’inchiesta, il procuratore generale ha provveduto all’avocazione applicando l’art 372 lettera A del codice di procedura penale. La norma prevede l’obbligo per il procuratore generale di disporre l’avocazione nel momento in cui ravvisi una situazione di incompatibilità. Il procuratore generale ha deciso di valutare la situazione dopo che si è appreso che il ministro della Giustizia è stato iscritto nel registro degli indagati. Nell’inchiesta, oltre a Mastella, sono indagati, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, esponenti politici del centrodestra e del centrosinistra e imprenditori.
DE MAGISTRIS, FINE INDIPENDENZA MAGISTRATI "Ancora una volta vengono rese pubbliche a mezzo stampa notizie riservate che riguardano il mio ufficio, le mie indagini, e la mia persona. Se è vero quello che l’Ansa ha scritto, non avendo io ricevuto alcuna notifica, ci avviamo al crollo dello stato di diritto, registrandosi anche, nel mio caso, la fine dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati quale potere diffuso". Lo ha detto il pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, in una dichiarazione all’ANSA, in merito all’avocazione dell’inchiesta Why Not da lui condotta da parte della Procura generale.
ENTRO IL 10 NOVEMBRE la decisione DEL CSM sulla procedura di trasferimento
De Magistris: inchieste a rischio dal 2005
Il pm a Palazzo dei Marescialli: «Ho fatto ricorso in Cassazione contro l’avocazione dell’inchiesta Why Not»
ROMA - Ci sarebbero una serie di eventi, concatenati tra loro, a dimostrare che fin dal 2005 si è tentato di sottrarre le inchieste al pm Luigi De Magistris. Lo avrebbe riferito lo stesso magistrato calabrese ai consiglieri del Csm che oggi lo hanno ascoltato per oltre 3 ore nell’ambito dell’istruttoria avviata dalla Prima Commissione. Un’audizione rigorosamente segretata.
I rappresentanti dell’organo di autogoverno dei magistrati avevano convocato De Magistris perché chiarisse le sue esternazioni sulle «collusioni tra politica, magistrati e imprenditoria», chiedendogli di fare nomi e cognomi. Il pm, da parte sua, avrebbe spiegato innanzitutto di essersi esposto pubblicamente dopo aver preso atto di non poter toccare gli intrecci tra pubblica amministrazione e affari. E avrebbe evidenziato ancora una volta i suoi dubbi sul capo della Procura di Catanzaro Mariano Lombardi, che, a suo dire, avrebbe informato di un’imminente perquisizione il senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, indagato nell’inchiesta «Poseidone», del quale è amico. Così come non avrebbe nascosto i suoi sospetti anche sull’aggiunto Salvatore Murone, pure lui amico di Pittelli. Anche a questo proposito De Magistris si sarebbe riservato di trasmettere al Csm una consulenza del perito Gioacchino Genchi che, attraverso uno studio sui flussi di telefonate, dimostrerebbe che c’è stata fuga di notizie.
RICORSO - Ai consiglieri del Csm, poi, il pm calabrese avrebbe spiegato di non essere isolato in Procura, rivendicando di aver buoni rapporti con i colleghi. Fatta eccezione proprio per Lombardi e Murone. Nessun rapporto confidenziale con giornalisti, avrebbe detto ancora De Magistris ai consiglieri di Palazzo dei Marescialli. Lamentando anche di essersi sentito colpito nella sua professionalità dalla decisione del pg di Catanzaro di avocare la sua inchiesta Why Not, nella quale sono indagati tra gli altri il premier Romano Prodi e il ministro della Giustizia Clemente Mastella. Scelta contro la quale il pm ha presentato ricorso in Cassazione, come ha annunciato lui stesso al termine dell’audizione al Csm. Risposte che, secondo alcuni dei consiglieri che hanno assistito all’audizione, sarebbero ancora troppo generiche. Ma su molti aspetti De Magistris si è riservato comunque di trasmettere al Csm documenti, già inviati alla Procura di Salerno, entro la prossima settimana.
VERDETTO ENTRO IL 10 NOVEMBRE - Il termine ultimo è stato fissato al 10 novembre. Per questo, prima di quella data, è escluso che la Prima Commissione possa decidere se avviare o meno nei suoi confronti una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità. Ulteriori elementi arriveranno dalle altre audizioni sul ’caso Catanzaro’ che la Prima Commissione ha in programma per martedì: quando saranno ascoltati il procuratore di Salerno, Luigi Apicella, il cui ufficio è competente per le inchieste che riguardano i magistrati di Catanzaro e che ha iscritto De Magistris nel registro degli indagati per abuso d’ufficio (lo stesso è accaduto per il procuratore di Catanzaro); il presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Antonio Pietro Sirena, e il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, Giuseppe Iannello.
«MI AFFIDO AL CSM» - «Sono tranquillo, mi affido al Consiglio superiore della magistratura, che ritengo sappia e possa garantire l’autonomia e l’indipendenza di tutta la magistratura» ha poi detto il pm di Catanzaro al termine dell’audizione al Csm.
* Corriere della Sera, 29 ottobre 2007
Il magistrato in un intervento a Radio 24 chiede la revisione del provvedimento di avocazione
E rilancia le accuse: "Ho denunciato una situazione grave di carattere generale fondata su fatti concreti"
De Magistris: ’Rivoglio l’inchiesta’
Di Pietro polemico con Napolitano
Il ministro: "Ormai la frittata è fatta, sarà difficile andare avanti"
CATANZARO - Luigi De Magistris rilancia. Dopo l’avocazione della sua inchiesta da parte della Procura generale (fascicolo nel quale risulta indagato il ministro Mastella), il magistrato si dice "fiducioso" e dice ai microfoni di Radio24 che utilizzerà tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico affinchè il provvedimento di avocazione dell’inchiesta venga rivisto: è inconsistente in punto di fatto e di diritto". E sulle polemiche politiche dice: "Non mi interessano, io faccio il magistrato e basta".
Intanto il ministro delle Infrastrutture Di Pietro polemizza con il presidente Napolitano, che ieri ha detto di "vigilare sulla vicenda". Per l’ex pm "è la garanzia del giorno dopo". "Con tutto il rispetto per il capo dello Stato - dice Di Pietro -, da lui arriva una garanzia del giorno dopo". "La frittata è già stata fatta - aggiunge - e ora sarà difficile andare avanti". Il ministro ha spiegato che le iniziative di Mastella nei confronti del Pm De Magistris e l’avocazione dell’inchiesta che stava conducendo creeranno pesanti ripercussioni: "Se sarà archiviata resterà sempre l’ombra di un intervento della politica e una marea di persone cominceranno a non parlare più ".
De Magistris difende la correttezza del proprio operato: "Il mio comportamento è stato lineare. Il conflitto d’interessi non è mio". "Mi sono attenuto alla legge - spiega riferendosi alle contestazioni che gli sono state mosse per non aver informato i suoi superiori sugli sviluppi dell’inchiesta - ho comunicato al procuratore aggiunto le mie determinazioni. Se qualcuno sostiene che sono state violate le regole, dice il falso".
Il magistrato sostiene che non avrebbe voluto rendere pubblica la sua vicenda, ma di aver dovuto farlo, per difendersi: "Sono stato costretto ad intervenire pubblicamente perché ci sono stati troppi silenzi colpevoli e inquietanti".
"Sono dovuto intervenire quasi per legittima difesa di fronte al silenzio assordante generale", aggiunge. "Ora bisogna aspettare che il Csm decide senza interferenze e senza pressioni in tempi rapidi. Io ho denunciato una situazione grave di carattere generale fondata su fatti concreti".
* la Repubblica, 23 ottobre 2007.
Tutto quel «fuoco» contro un solo pm
di Enrico Fierro *
Nella remota procura della Repubblica di Catanzaro non è scoppiato un nuovo conflitto tra politica e magistratura, ma una impari lotta tra il potere e un solo pubblico ministero. La città calabrese non è Milano e siamo nel 2007 e non agli albori degli anni Novanta, quando Tangentopoli e Mani pulite indussero nel Paese sentimenti di speranza (sempre quella, sempre la stessa: la giustizia), e timori in una parte della classe dirigente. Non c’è un Raphael e non ci sono monetine. In tv non si vedono magistrati di un pool unito sostenuto dall’opinione pubblica. Nelle Camere non ci sono due fronti opposti come allora, quegli scontri epici tra chi attaccava i pm milanesi e chi li difendeva. No, Catanzaro non è Milano perché sull’attacco al pm Luigi de Magistris la politica sembra miracolosamente aver ritrovato una sua sostanziale unità. La sola eccezione di Di Pietro non basta. Mani pulite è lontana assai, e nella coscienza degli italiani Tonino è da tempo «l’ex pubblico ministero». Le sue scaramucce con il ministro Mastella, poi, sanno troppo di teatrino della peggiore politica. Su tutto prevale una incredibile consonanza tra politici, partiti e ambienti diversi. E così il forzista Cicchitto può dirsi d’accordo con Fabbri dell’Udeur, in un dico, aggiungo e «adesso lo sistemo io», che naviga in un mare di imbarazzati silenzi di quegli esponenti del Pd che nei decenni passati avevano detto parole importanti sul ruolo dei magistrati in questo Paese e sulla necessità civile della loro libertà e indipendenza. Catanzaro non è Milano perché il pubblico ministero Luigi de Magistris è un uomo solo. Un solo magistrato da mesi al centro di un poderoso fuoco di fila da parte di personaggi importanti del sistema politico e di potere italiano. Primo fra tutti il ministro della Giustizia Clemente Mastella. Ai tempi di Mani pulite, insieme a chi chiedeva avocazioni di inchieste (raramente ottenute) e trasferimenti di pm fastidiosi, c’erano politici (il riferimento è ai vertici del Pci-Pds, alle inchieste di Milano ma anche a quelle del giudice Nordio che li videro coinvolti) che accettavano il complicato corso delle inchieste giudiziarie, si facevano interrogare, si difendevano nel processo, rispondevano. E aspettavano. Altro stile, evidentemente. E invece, ancora ieri, il ministro Mastella si è lanciato in una serie di pesantissimi attacchi al magistrato solo. «Non invocherò cavilli», ha promesso, conscio che la madre di tutti i cavilli, l’avocazione, ha già risolto la questione dell’inchiesta «Why Not». L’inchiesta certo continuerà, e non potrebbe essere diversamente, ma nelle mani di un altro magistrato, che dovrà rileggersi migliaia di carte, riascoltare intercettazioni telefoniche, ricostruire centinaia e centinaia di flussi monetari, interpretare delicati e opachi passaggi societari. I tempi della ricerca della verità (l’unica che garantisce insieme a Mastella tutti gli italiani) saranno lunghissimi. «De Magistris - continua il Guardasigilli - mi ha iscritto scientemente nel registro degli indagati perché sapeva che iscrivendomi gli veniva tolta l’inchiesta e diventava un eroe nazionale». Parole gravissime perché dette da un ministro che ha nelle mani parte dell’azione disciplinare che riguarda quel magistrato. E che brutalmente puntano ad insinuare un dubbio nell’opinione pubblica: de Magistris ha agito perché afflitto da mania di protagonismo. Vuole diventare popolare, forse fare politica, candidarsi alle elezioni. Le stesse accuse che si videro piombare addosso altri magistrati negli anni passati. Non vi risparmiamo neppure i riferimenti evangelici del ministro: «De Magistris è Barabba, non Gesù». Barabba era un ladro ebreo, un omicida, ma anche un rivoluzionario che voleva opporsi allo strapotere di Roma. Non sappiamo a quali di queste tre «caratteristiche» il ministro accosti il pm de Magistris. Ci sfugge, poi, chi sia Cristo in questa vicenda.
La realtà è che a Catanzaro c’è un pubblico ministero solo. Nel suo ufficio, innanzitutto. Quella procura che gli ispettori di via Arenula giudicano «un maleodorante verminaio». Lasciato per troppo tempo solo dagli stessi suoi colleghi e dalle associazioni della magistratura italiana. Senza voce fino al provvedimento di avocazione dell’inchiesta. Questo pensa quella parte dell’opinione pubblica che solidarizza con de Magistris non per attaccare il governo o Mastella, ma per affermare principi semplici di vita civile: le inchieste sul malaffare non si fermino di fronte ai santuari del potere, i magistrati vengano lasciati liberi di lavorare e non intimiditi. Questo pensano i calabresi onesti che hanno raccolto petizioni contro il trasferimento del pm. Questo pensano tantissimi elettori dell’Unione scioccati dall’affermarsi di metodi punitivi, frutto di una concezione arrogante e proprietaria della funzione pubblica. «Manco ai tempi di Berlusconi», è l’espressione più sentita in queste ore. Perché in questa vicenda è difficile rappresentare il potere con il volto del pm di Catanzaro. La gente comune - quella che ha ridato vigore alla partecipazione politica con le primarie del Pd, il referendum e la manifestazione della sinistra di sabato scorso - non capisce il dispiegarsi di tanta potenza di fuoco contro un «solo» magistrato. Certo, si potrà disquisire per mesi sulla giustezza dell’avocazione, parlare a lungo, anche senza aver letto una sola carta, delle anomalie che affollano le inchieste di de Magistris, ma un dato è certo: la contemporaneità tra iscrizione del ministro della Giustizia nel registro degli indagati e decisione dell’avocazione dell’inchiesta è micidiale. In tutta questa storia il corso delle cose ha preso un andamento pericolosissimo. L’opinione pubblica sente puzza di potere e di ingiustizia. Ed è forse questo disagio, più dei maldipancia di qualche senatore pronto ad indossare casacche azzurre, che andrebbe capito e affrontato.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.10.07, Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.20
De Magistris e l’inchiesta tolta
«Contro di me i poteri occulti
Ora rischio pallottole e tritolo»
Lo sfogo del pm: non ci sono le condizioni per fare il magistrato in Calabria
DAL NOSTRO INVIATO *
CATANZARO - Non è abbattuto. Non è prostrato. Ma «questa pugnalata alle spalle» Luigi de Magistris, professione pm, non se l’aspettava. Il «pugnalatore » si chiama Dolcino Favi, un avvocato generale dello Stato che da gennaio 2007 fa il procuratore generale reggente a Catanzaro. Favi ha avocato a sé l’inchiesta Why not, quella in cui sono indagati il presidente del Consiglio, Romano Prodi (abuso d’ufficio), il ministro della Giustizia Clemente Mastella (abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti, truffa all’Unione europea e allo Stato italiano) e una schiera di politici, affaristi, militari, magistrati, massoni.
Allora, dottor de Magistris, c’è una strategia in ciò che sta accadendo? «È evidente. C’è una strategia in atto. Una strategia ben nota all’Italia. Si chiama strategia della tensione».
Come fa a dirlo? «Le intimidazioni istituzionali, le pallottole, la richiesta di trasferimento da parte del ministro, e da ultimo l’avocazione di un’altra mia indagine e la fuga di notizie sull’iscrizione del ministro tra gli indagati, tutto questo è opera di una manina particolarmente raffinata».
Quale manina? «Poteri occulti. Massoneria, soprattutto. Coadiuvati da pezzi della magistratura, non solo calabrese, che in questa vicenda hanno svolto un ruolo fondamentale L’ultimo gol, secondo questo ragionamento, lo hanno fatto segnare al procuratore generale Favi? «Beh, è un dato di fatto che il dottor Favi, soprattutto negli ultimi mesi, sembra che abbia svolto soltanto un ruolo: una intensa attività epistolare in cui si è occupato di me, come magistrato e come persona fisica. Voleva togliermi anche l’inchiesta Toghe lucane. Finora non c’è riuscito, ma non è detto che non abbia già pensato di concludere il lavoro ».
Per quali ragioni lei teme che si voglia spingere il Paese in un clima da anni di piombo? «Perché con questa avocazione, me lo lasci dire, torniamo alla magistratura fascista, forte con i deboli e debole con i forti. Davanti alla legge, i potenti non sono uguali come tutti gli altri. Questo è il messaggio. E il pericolo è che si apra la strada a un periodo buio: ognuno stia al suo posto e non si immischi, perché rischia ».
Lei rischia? «Certo. E non solo io. Anche tutti gli altri che si sono occupati di queste vicende. E tutti i cittadini». Cosa si rischia? «Dopo un’avocazione di un’inchiesta del genere, distrutto lo Stato di diritto, rischi le pallottole e il tritolo».
Come le pallottole inviate a lei e al gip di Milano, Clementina Forleo, firmate Brigate rosse? «Ma quali Brigate rosse! Per fortuna, oggi siamo in un momento storico diverso, non c’è il terreno di coltura dell’ideologismo fanatico degli anni ’70 e c’è una grande attenzione al tema dei diritti. No, non c’è il rischio di iniziative violente da parte di improbabili sigle terroristiche vecchie e nuove. Quei proiettili inviati a me e alla collega Forleo provengono da settori deviati di apparati dello Stato, che già in passato hanno messo in pericolo le istituzioni e oggi cercano di riprodurre quel clima».
Dica la verità, lei ritiene che sia in atto un golpe giudiziario?«La parola golpe la usa lei. Certo è che è accaduta una cosa senza precedenti, della quale non so ancora ufficialmente nulla, poiché nulla mi è stato notificato. L’ho appreso dall’Ansa. No, non mi pare ci siano più le condizioni per fare il magistrato, specie in Calabria, avendo come punto di riferimento l’articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza di tutti i cittadini, ndr) ».
Da quand’è che si trova sotto tiro?«Da quando ho cominciato a indagare sui finanziamenti pubblici europei. Da allora, è scattata la strategia delle manine massoniche. Questo di oggi è solo l’ultimo atto. Staremo a vedere quali saranno i prossimi, visto che ormai sono considerato un elemento "socialmente pericoloso"».
La accusano di aver iscritto Mastella nel registro degli indagati per ritorsione, per la storia del trasferimento. «Falso. Le indagini, come tutti sanno, avevano un loro corso, che non poteva essere intralciato da attività esterne. Nemmeno da una richiesta di trasferimento, che appunto è da considerarsi un’attività esterna. La domanda da fare è un’altra».
La faccia. «Mi chiedo: chi e perché ha fatto venir fuori la notizia dell’iscrizione di Mastella? E come mai è stata fatta pubblicare una cosa non vera, e cioè che Mastella fosse indagato anche per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete? ».
E che cosa si risponde?«Che è opera della stessa manina raffinata. Suggerisce qualcosa il fatto che prima ancora che le agenzie lanciassero la notizia, Mastella abbia dichiarato che con le associazioni massoniche lui non ha nulla a che fare?».
In questo scenario, le misure di sicurezza per lei sono state rafforzate? «Non ne so nulla. So che continuo a mettere di tasca mia la benzina a un’auto blindata che è un baraccone, tanto che non può spostarsi nemmeno fuori Catanzaro».
E la riunione di giovedì scorso del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica? «Come no. Mi hanno detto che vi ha preso parte anche il procuratore aggiunto Salvatore Murone (sul quale indaga la procura di Salerno, per fatti relativi a inchieste del pm de Magistris, ndr). La cosa un po’ mi inquieta, poiché ritengo che proprio Murone sia uno dei principali responsabili del mio isolamento istituzionale, oltre che uno degli autori dell’attività di contrasto nei miei confronti all’interno dell’ufficio giudiziario».
Allora è vero che quella di Catanzaro è un’altra «procura dei veleni»? «No. Non è così. Con la gran parte dei colleghi io ho un rapporto ottimo. Ma quando arrivo in Procura mi guardo lo stesso alle spalle. C’è nei miei confronti, e le vicende degli ultimi tre anni lo dimostrano, una precisa attività di contrasto, messa in atto verso ben precise indagini e svolta da parte di ben individuati soggetti».
Cosa pensa della telefonata dell’altro giorno tra i suoi indagati Prodi e Mastella che il premier ha definito «cordiale»? «Non parlo delle indagini in corso, lo sa». Dopo questa intervista, non l’accuseranno di aver avuto un «disinvolto rapporto » con la stampa? «Questo è davvero paradossale. Sono io che ho subito i danni creati dalle fughe di notizie. E poi, adesso basta. Il momento è troppo grave. E quindi ritengo di potermi svincolare dal dovere di riservatezza che mi ero imposto, mentre tutti gli altri facevano con me il tiro al bersaglio ».
Pensa che debbano intervenire capo dello Stato e Csm?«Sì. Lo spero. Non so perché il presidente Napolitano non sia ancora intervenuto. Confido che lo faccia il Csm, a tutela dell’autonomia e indipendenza di tutti i magistrati. Anche di quelli che lavorano in Calabria».
Carlo Vulpio
“Mi hanno fermato sul traguardo”
Trasferimento. Il ministro della Giustizia aveva chiesto al Csm di spostare il magistrato
di GUIDO RUOTOLO ( La Stampa, 21/10/2007 - 9:18) *
Mi hanno bloccato. Ero in dirittura d’arrivo, entro dicembre avrei chiuso la parte più importante della inchiesta “Why Not”, quella sulla ricostruzione dei flussi di finanziamento. Ci sono riusciti, come del resto hanno fatto con l’inchiesta “Poseidone” che proprio sulla linea del traguardo mi è stata tolta». Non ci sta, il sostituto procuratore Luigi De Magistris, anche se è consapevole che l’avocazione da parte della Procura generale del fascicolo «Why Not», l’inchiesta che vede indagati tra gli altri il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro di Giustizia, Clemente Mastella, è un atto insindacabile.
Dottor De Magistris, il Codice di procedura penale prevede la possibilità di avocazione. Secondo le indiscrezioni, il procuratore generale ha ravvisato elementi di incompatibilità. «Incompatibilità? Mi dovevo astenere dal proseguire le indagini? E’ fuori dalla grazia di dio. Anche il Csm, quando ha deciso di rinviare al 17 dicembre la decisione sul mio trasferimento d’ufficio cautelare chiesto dal Guardasigilli, mi ha messo nelle condizioni di poter proseguire le indagini. Quello che è accaduto è un ulteriore tassello dell’attività di contrasto nei miei confronti».
Non esagera nel dire che siamo alla fine dell’autonomia e indipendenza della magistratura e dello Stato diritto? «Ci stiamo avviando al crollo dello Stato di diritto e, per quanto riguarda il mio caso, alla fine dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura come potere diffuso».
Perché? «E’ normale che quando chiudo inchieste su omicidi, traffici di droga e di esseri umani ricevo il plauso delle istituzioni, quando invece indago sui rapporti opachi tra politica, istituzioni, appalti e fiumi di risorse pubbliche divento un soggetto socialmente pericoloso? Via “Poseidone”, via “Why Not” e poi il trasferimento cautelare. Quali conclusioni devo trarre? Non ci sono più le condizioni perché possa lavorare nella normalità, soprattutto quando si toccano certi interessi».
E’ solo contro il resto del mondo? Abbandonato anche dai suoi colleghi?«Dagli ultimi eventi, emerge sempre di più un ruolo determinante in questa trama di ostacoli alla mia attività, dei poteri occulti che, evidentemente, trovano terreno fertile anche all’interno della magistratura».
Accuse pesanti. Ma lei ha mai chiesto di poter lavorare insieme ad altri pm? «Credo nel pool, per avere scambi di opinione, per poter lavorare insieme ad altri colleghi. L’ho chiesto ma non ho mai avuto ascolto. Non è vero che sono isolato all’interno del Palazzo di giustizia di Catanzaro. Tanti colleghi mi hanno espresso solidarietà in silenzio, quella visibile invece è stata l’ostilità di una parte della magistratura».
Si è chiesto il perché? «Questa parte della magistratura è completamente interna al sistema di collusione».
Si sente un eroe o un martire?«Sono un magistrato normale, che rispetta profondamente la Costituzione repubblicana, che cerca di svolgere il proprio dovere nel modo migliore possibile e con tanto amore».
Oltre centomila firme in calce a un appello a suo favore, trecento magistrati che solidarizzano con lei. Neppure ai tempi di Mani Pulite è accaduto quello che sta avvenendo per lei. Perché? «Si è compresa qual è la vera posta in gioco: l’autonomia e indipendenza della magistratura in una regione così particolare qual è la Calabria. E’ apparso evidente il fortissimo isolamento istituzionale nel quale sono stato imprigionato. L’opinione pubblica calabrese è molto più matura di quanto non lo sia stata ai tempi di Mani pulite».
Oggi la magistratura è più forte o più debole? «Più debole per via delle riforme legislative e poi perché una parte si è messa in sonno».
Lei è d’accordo con la separazione delle carriere? «Se vi fossero delle garanzie costituzionali, sì».
Dovendo fare un bilancio, non trova nessuno spunto di autocritica da fare? «Lavorando in queste condizioni impossibili e in questo contesto ambientale, di errori ne avrò anche fatti. Devo dire con onestà che non ho nulla da rimproverarmi se non quello che per il lavoro ho trascurato gli affetti familiari».
Lei è incompatibile con Catanzaro o è Catanzaro ad essere incompatibile con lei? «Sono incompatibile con una parte del sistema giudiziario calabrese e con una fetta consistente del sistema che governa questa regione. Non lo sono con una quota significativa della magistratura e, soprattutto, con la maggioranza della società civile e la sua proiezione politica. Che ha capito che l’unico movente che mi ha spinto nella mia attività è la ricerca della verità».
Intervista al pm di Catanzaro a cui la procura generale ha avocato l’inchiesta
dopo l’iscrizione al registro degli indagati del ministro Clemente Mastella
De Magistris:"Mi cacciano perchè indago
Così torniamo all’epoca fascista"
"Oggi il tema in gioco è se tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge
Faccio le corna, ma dopo che mi hanno tolto le inchieste resta solo l’eliminaziione fisica"
di
ATTILIO BOLZONI
FRANCESCO VIVIANO *
Ha appena saputo. E comincia a parlare: "Siamo alla magistratura degli Anni Trenta, siamo tornati a un ordinamento giudiziario gerarchizzato proprio dell’epoca fascista". Il sostituto procuratore Luigi De Magistris sceglie con cura le parole, prova a stare calmo nonostante tutto quello che gli sta rotolando addosso. Dice: "Prima mi tolgono l’inchiesta Poseidone, poi il tentativo di allontanamento, poi ancora l’avocazione dell’inchiesta Why Not, faccio le corna ma dopo rimane solo l’ipotesi della soppressione fisica". Il magistrato è nella sua casa di Catanzaro. Risponde a tutte le domande che può. Da qualche minuto ha avuto notizia dalle agenzie di stampa che gli hanno "tolto" anche l’altra indagine, si sfoga: "Stento a crederci, mi sembra una barzelletta".
Che costa sta accadendo dottor De Magistris? "Il dato è quello dell’impossibilità materiale di svolgere il proprio ruolo. Se è vero, se è vero perché io non ho ancora ricevuto alcuna notifica, ci avviamo al crollo dello stato di diritto. E un altro punto nevralgico è quello dell’articolo 3 della Costituzione che qui si sta mettendo in gioco: i cittadini italiani sono tutti uguali davanti alla legge?"
Tutti i cittadini italiani sono uguali davanti alla legge? "Se uno arresta chi fa la tratta di esseri umani o i trafficanti di droga gli arrivano i telegrammi e gli applausi, gli dicono che è il magistrato più bravo d’Italia. Ma poi viene cacciato quando indaga sulla pubblica amministrazione. Cosa significa allora? A questo punto la partita non può essere più - visto che il tema è così alto - trasferite o non trasferite De Magistris. Io pongo un altro problema: un magistrato così può rimanere in magistratura. E io, così lo so fare il magistrato, anche se mi mandano a Bolzano o a Novara o a Cagliari. Questo è il tema che è in gioco nel Paese: se un magistrato può continuare a indagare su tutti i cittadino o no".
Lei cosa sa di questa avocazione? "Di ufficiale nulla. Ma se la ragione è quella sull’omessa astensione nel conflitto con il ministro, questo è un fatto senza precedenti. In questo caso la magistratura, intesa come potere diffuso sul territorio, perde completamente la sua autonomia".
Sembra che il procuratore generale Dolcino Favi abbia motivato il suo provvedimento per l’articolo 412, cioè l’avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale o per la non archiviazione nei termini stabiliti dalle legge. "Se è così, è ancora peggio. Le indagini preliminari sono in corso e quella norma può intervenire solo quando scadono i termini delle indagini. Le mie indagini erano in pieno svolgimento. Quindi, quella norma, è completamente inapplicabile".
Si sentirebbe allora in grado di affermare che c’è stata una forzatura, se fosse andata davvero così? "Se fosse andata così, sarebbe un eufemismo dire che c’è stata una forzatura. E poi, poi io in queste ore mi sono fatto una domanda: come è che la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di Mastella, una notizia così riservata, è uscita su Libero? Io credo che faccia parte di una vera strategia della tensione. Prima la fuga di notizie su Prodi, poi la revoca delle indagini, poi l’articolo di Libero che è servito a scatenare un processo mediatico per arrivare all’avocazione. Senza questa fuga di notizie su Mastella, non sarebbe accaduto tutto questo. E poi il procuratore generale non potrebbe sapere della notizia di Mastella, è vietato dalla legge. Di quella iscrizione lo può sapere il procuratore della repubblica, il procuratore aggiunto. Il procuratore generale non può conoscere le indagini. E la velocità del suo provvedimento mi ha lasciato esterrefatto".
De Magistris, cosa farà adesso? "Scriverò a chi di dovere, questa avocazione è un ulteriore tassello di ciò che mi sta accadendo da tre anni a questa parte".
Si rivolgerà al Csm? Denuncerà tutto a un’altra procura? "Investirò più di un’autorità. Indagavo su un sistema di potere e mi hanno spogliato di tutte le inchieste".
Ci spieghi meglio.. "Il segnale che hanno lanciato è molto chiaro: la magistratura non può più indagare in alcune direzioni. Questo è evidente. Poi è anche la conferma di come una parte del potere giudiziario sta dentro il sistema. Una parte della magistratura è funzionale a certi sistemi oggetto di investigazioni, è fondamentale capire questo. Ecco perché si pone in discussione l’agibilità democratica all’interno della magistratura. Da un lato c’è un ritorno alla magistratura degli Anni Trenta, con segni sintomatici di quel periodo del prefascismo e del fascismo. E cioè la possibilità del ministro di trasferire in via cautelare dei magistrati. Si ritorna al periodo in cui il potentino del paese, il signorotto che chiede l’allontanamento del pretore che magari dava fastidio e poi arrivavano gli ispettori e in una settimana quel pretore lo cacciavano via. Si torna alla magistratura ipergerarchizzata, l’avocazione senza alcuna giustificazione, la magistratura in una posizione di avvilimento totale. Immaginate il messaggio che sta passando in questo momento nei confronti di tutti i colleghi".
Si rimprovera qualcosa nel suo lavoro? "Io ho un rispetto assoluto delle forme, io ritengo che un magistrato per raggiungere risultati deve innanzitutto rispettare la procedura penale. Detto questo, è ovvio e scontato che chi lavora in queste condizioni possa fare errori. Io non mi rimprovero nulla. Ma sono consapevole di aver potuto fare errori, di aver potuto sbagliare. E’ umano, ovvio. Che poi abbia fatto errori è tutto da vedere. Io ho subito in questi mesi un processo pubblico senza potermi difendere".
L’iscrizione del ministro Mastella può aver accelerato l’avocazione dell’altra sua inchiesta? "Sta nei fatti mi pare. Poi parleranno le carte, ma mi pare assolutamente verosimile".
C’è, come dire, una tempistica ritorsiva? "Io questo non lo posso dire. Però mettendo insieme i fatti... Un’altra cosa mi sembra incredibile: io stavo facendo un percorso di indagine molto lineare e all’improvviso si inserisce una richiesta di trasferimento del ministro che poi - sembrerebbe - è stata utilizzata per dire tu ti dovevi astenere perché c’era la richiesta di trasferimento. Quindi arriviamo al punto che si equipara una richiesta di trasferimento d’ufficio con un atto istituzionale a una specie di denuncia presentata da un indagato. C’è inimicizia, devi astenerti. Una cosa veramente incredibile. E’ senza precedenti. Che cosa dovevo fare di fronte a quella richiesta? Dovevo fermarmi, dovevo chiudere le mie indagini? La logica era quella: io dovevo fermare le mie indagini in quella direzione".
O girare le spalle, far finta di non vedere... "Voglio dire un’altra cosa sul messaggio che stanno mandando. Se io dovessi essere trasferito il magistrato che mi verrà a sostituire cosa farà, come si comporterà? Sa già che, se dovesse seguire le mie orme, andrebbe incontro a un provvedimento disciplinare. Cosa altro deve pensare? O mi fermo o mi tolgono l’indagine. Ecco perché parlo di fine di autonomia e dell’indipendenza della magistratura. E lo dico a ragion veduta. Così non si può più andare avanti, così non ci sono più gli spazi per questo lavoro. E come si fa?".
Lei è diventato, suo malgrado, anche punto di riferimento per un Sud che vuole liberarsi da certi poteri poco trasparenti. Ha qualcosa da dire a quei ragazzi che manifestano per non farla cacciare? Cosa vorrebbe dire a quei giovani calabresi e a tutti gli altri che credono nell’autonomia della magistratura? "Io innanzitutto credo che questa mobilitazione sia sui diritti e sulla giustizia e non su un giustizialismo o provocata dalla voglia di un tintinnio di manette, di monetine tirate. Questa è una differenza importante con il 1992. Bisogna capire quale è la posta in gioco, questa non è più una questione solo di Luigi De Magistris. Sono convinto che c’è una consapevolezza dei propri diritti, che oggi c’è una grande maturità democratica. Ho ammirazione per quei ragazzi".
Come si sente davvero, cosa prova dentro nel momento che deve lasciare le sue inchieste? "In una regione che ha decine e decine di magistrati che si trovano in una situazione di opacità assoluta, si va a colpire con tutti i mezzi chi sta cercando di fare un po’ di chiarezza sul fiume di finanziamenti pubblici che sono arrivati... ".
Gli addebiti al pm De Magistris appaiono fragili
e l’uguaglianza davanti alla legge è a rischio
Ecco perché va cancellato
il tempo della furbizia
di GIUSEPPE D’AVANZO *
IMMAGINIAMO di essere non nell’ottobre 2007, ma nello stesso mese del 2005. Un pubblico ministero indaga il capo del governo (è Berlusconi) e il suo ministro di giustizia (è Castelli). Gli sottraggono una prima inchiesta, avocata dal procuratore capo. Il pubblico ministero si mette al lavoro su un’altra inchiesta. In un passaggio dell’indagine che egli ritiene decisivo, il ministro di Giustizia (le indagini raccontano che è in buoni rapporti con due degli indagati) chiede - come una nuova legge gli permette - il trasferimento cautelare del pubblico ministero a un altro ufficio.
Sarebbe la definitiva morte dell’inchiesta. Il provvedimento amministrativo non convince il Consiglio superiore della magistratura che lo deve disporre. Non ne intravede l’urgenza, prende tempo, tira in lungo. Il pubblico ministero iscrive, allora, il ministro nel registro degli indagati: atto dovuto per l’esercizio dell’azione penale e soprattutto garanzia per l’indagato. Ventiquattro ore dopo, il procuratore generale avoca a sé - sottrae al pubblico ministero - anche la seconda indagine.
Il passo è inconsueto e appare anomalo. Gli addetti ricordano, se hanno memoria buona, qualche modesto precedente di quindici anni prima. Le ragioni del procuratore generale stanno in piedi come un sacco vuoto.
Se il motivo dell’avocazione è l’"incompatibilità" per l’"inimicizia grave" tra il pubblico ministero e il ministro indagato (ha chiesto la punizione del pubblico ministero, che ne è risentito), si tratta una fanfaluca. Se si accetta il principio, qualunque indagato che denuncia il suo accusatore potrebbe invocare l’"inimicizia grave" e liberarsi del suo pubblico ministero. Cesare Previti, in passato e ripetutamente, ci ha provato. Non è andato lontano.
Ci sarebbe - trapela dalla procura generale - un’altra ragione per l’avocazione delle indagini: l’inerzia del pubblico ministero. L’accusatore è fermo. Non va né avanti né dietro. Non esercita l’azione penale. Non richiede l’archiviazione "nel termine stabilito dalla legge". Ora, l’inchiesta del pubblico ministero è nei termini stabiliti dalla legge (è un fatto) e di quel pubblico ministero tutto si può dire tranne che sia pigro o inoperoso (è un fatto). La seconda ragione appare, se possibile, anche più debole della prima e nonostante ciò il pubblico ministero perde l’inchiesta e il capo del governo e il ministro di Giustizia tirano un respiro di sollievo, si liberano di ogni controllo (che abbiano o no responsabilità punibili è un’altra storia, naturalmente).
Siamo nell’ottobre del 2005 - lo ricordate? - e in questo modo abusivo il capo del governo (è Berlusconi) e il ministro di Giustizia (è Castelli) si grattano la rogna, guadagnano un’illegittima impunità, contraria alla Costituzione e alla legge.
L’operazione liquidatoria consiglia di gridare allo scandalo. Non siamo nella Francia ancien régime dove, grazie a lettere chiamate Committimus, le persone favorite dal potere schivano le normali giurisdizioni e si presentano dinanzi a corti più mansuete. Se questo accade (e accade) si degrada a regola fluttuante, a canone fluido l’articolo 3 della Costituzione ("I cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di condizioni personali e sociali"). E’ necessario interrogarsi allora sulla qualità di una democrazia, esprimere qualche preoccupazione se il potere politico rifiuta ogni contrappeso; annichilisce l’indipendenza della magistratura. E’ un obbligo chiedersi delle ragioni (e responsabilità) di una frattura istituzionale che impone a una magistratura servile di umiliare la sua stessa autonomia liberandosi delle "teste storte" convinte che atti uguali vadano valutati a uguali parametri giuridici, sia l’indagato un povero cristo o di eccellentissimo lignaggio.
Questo avremmo pensato e detto, con apprensione e qualche brivido, se nell’ottobre del 2005 fosse stata rubata l’inchiesta a un pubblico ministero "colpevole" di voler verificare i comportamenti del capo del governo (Berlusconi) e del ministro di giustizia (Castelli).
Non siamo (purtroppo?) nel 2005. Siamo nel 2007 e il capo del governo (indagato) è Romano Prodi, il ministro di Giustizia (indagato) è Clemente Mastella e l’esito dell’affare non è mai riuscito a Berlusconi, Previti, Dell’Utri, Castelli: il pubblico ministero che li ha indagati - Luigi De Magistris - si è visto trafugare l’inchiesta dal tavolo.
Se ne deve prendere atto con molta inquietudine. Ora che il "caso De Magistris" (o il "caso Prodi/Mastella"?) precipita verso un punto critico, è indispensabile che questo affare diventi finalmente, e nel mondo più rapido, trasparente. Che tutti i comportamenti, le responsabilità, gli usi e i soprusi siano squadernati in pubblico, possano essere verificati e, se necessario, presto corretti nel rispetto delle regole democratiche che assegnano a ciascuno degli attori ruolo e doveri.
Il governo governi senza condizionare l’autonomia della magistratura (se Mastella teme di cadere in tentazione, gli si assegni un altro incarico nell’esecutivo). Il pubblico ministero eserciti l’azione penale nel rispetto delle costrizioni procedurali (il Consiglio superiore ne verifichi l’ossequio, subito non in dicembre). Le gerarchie togate evitino ogni soggezione, rispettino i codici, non manipolino le procedure (la procura generale di Catanzaro receda dalla sua dissennata iniziativa).
Il presidente della Repubblica sia, come sempre è stato, il garante della Costituzione e dell’eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge. Non c’è più spazio per il compromesso, la tolleranza, la furbizia. A meno di non voler cadere in quell’incubo che sembrava alla spalle con la sconfitta del cattivissimo Silvio Berlusconi.
* la Repubblica, 21 ottobre 2007.
dopo l’iscrizione del ministro MASTELLA nel registro degli indagati
Tolta a De Magistris l’inchiesta «Why not»
La decisione della procura di Catanzaro:incompatibilità
Lui: ci avviamo al crollo dello stato di diritto *
CATANZARO - Incompatibilità nel procedimento. Dopo l’iscrizione di Clemente Mastella nel registro degli indagati, il pm De Magistris non può più andare avanti. La procura di Catanzaro ha infatti avocato l’inchiesta "Why Not" sul finanziamento illecito ai partiti, truffa e abuso d’ufficio. Lo si è appreso in ambienti giudiziari. L’avocazione è stata disposta dal procuratore generale facente funzioni, Dolcino Favi, e sarebbe stata motivata da una presunta incompatibilità di De Magistris nel procedimento legata alla richiesta di trasferimento cautelare d’ufficio che è stata fatta nei suoi confronti dallo stesso ministro della Giustizia.
«FINE INDIPENDENZA MAGISTRATURA» - Immediata la replica del pm: «Ancora una volta vengono rese pubbliche a mezzo stampa notizie riservate che riguardano il mio ufficio, le mie indagini, e la mia persona. Se è vero quello che l’Ansa ha scritto, non avendo io ricevuto alcuna notifica, ci avviamo al crollo dello stato di diritto, registrandosi anche, nel mio caso, la fine dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati quale potere diffuso».
MASTELLA: «RISPETTARE LEGALITA’» - Da parte sua, Clemente Mastella si dichiara sereno. «È giunta notizia che l’inchiesta è stata avocata - ha affermato il Guardasigilli - io sono sempre stato sereno in attesa dei giudizi, come per il caso del Calcio Napoli quando ho atteso pazientemente e sono stato prosciolto. Il giudizio terzo arriva. Bisogna che ognuno rispetti la legalità e i principi, che nessuno oltrepassi la linea di demarcazione dei principi legali».
TRASFERIMENTO - Ma perché è stata tolta l’inchiesta a De Magistris? In pratica, l’incompatibilità nel procedimento da parte del pm si sarebbe venuta a creare proprio per il coinvolgimento del ministro nell’inchiesta. La situazione che si è determinata dopo la richiesta di trasferimento del Guardasigilli nei confronti del magistrato, secondo quanto si è appreso, avrebbe dovuto imporre l’astensione da parte dello stesso pm. Siccome l’astensione non c’è stata, né il capo dell’ufficio ha provveduto alla sostituzione del magistrato titolare dell’inchiesta, il procuratore generale ha deciso l’avocazione applicando l’art 372 lettera A del codice di procedura penale. Quello che contempla, appunto, una situazione di incompatibilità. La decisione è arrivata dopo che si è appreso che il ministro della Giustizia è stato iscritto nel registro degli indagati. Nell’inchiesta, oltre a Mastella, sono indagati, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, esponenti politici del centrodestra e del centrosinistra e imprenditori.
I REATI - Si è appreso inoltre che tra i reati ipotizzati nei confronti del ministro della Giustizia non figura la violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. I reati ipotizzati nei confronti di Mastella, invece, sarebbero finanziamento illecito al partito, truffa e abuso d’ufficio. L’inchiesta riguarda il presunto utilizzo illecito di finanziamenti pubblici da parte di un gruppo di esponenti politici, amministratori ed imprenditori che avrebbero fatto capo ad un comitato d’affari con base operativa e finanziaria nella Repubblica di San Marino.
LO SCONTRO DI CATANZARO
Csm, non c’è tempo da perdere
di CARLO FEDERICO GROSSO (La Stampa, 22/10/2007)
Il Procuratore generale di Catanzaro ha avocato l’altro ieri l’inchiesta «Why not» nella quale sono indagati il presidente del Consiglio Prodi e, da tre giorni, il Guardasigilli Mastella. L’ha così sottratta al pm De Magistris che stava svolgendo le indagini.
Nei confronti di De Magistris, Mastella aveva chiesto un paio di mesi fa che la sezione disciplinare del Csm disponesse il trasferimento d’ufficio a causa di asserite irregolarità commesse nell’espletamento delle indagini. L’ultima iniziativa, l’avocazione, ha sicuramente creato un’ulteriore complicazione destinata ad alimentare nuove roventi polemiche.
Anche se non si conoscono gli atti, né quelli depositati al Csm, né quelli che hanno indotto il Procuratore generale di Catanzaro ad avocare l’inchiesta, non è difficile farsi una idea della situazione. Comunque la si valuti nei dettagli, è una situazione nel suo complesso bruttissima, dalla quale tutti i protagonisti rischiano di uscire malconci: ministro della Giustizia, governo, pubblico ministero, Avvocato generale, alla lunga lo stesso Csm.
Innanzitutto, analizziamo l’iniziativa originaria di Mastella volta a rimuovere De Magistris. Essa rientrava nelle prerogative che la nuova legge sull’ordinamento giudiziario ha assegnato al ministro. Non era, tuttavia, iniziativa di routine, poiché nei confronti di De Magistris era già aperta una normale azione disciplinare, e un’ulteriore iniziativa diretta a rimuovere in via cautelare il magistrato rappresentava un’escalation giustificabile soltanto sulla base della gravità della situazione e dell’urgenza d’intervenire. C’erano davvero gravità e urgenza? Come sappiamo, la sezione disciplinare del Csm si è già riunita, ma ritenendo di non poter pronunciarsi all’istante, anche perché il ministro, nell’imminenza dell’udienza, aveva depositato moltissime nuove carte, ha rinviato di oltre tre mesi la decisione. Se c’è stato un rinvio così lungo, si può arguire che i consiglieri che hanno visto gli atti non abbiano giudicato la situazione né tanto grave né tanto urgente, smentendo implicitamente il Guardasigilli.
E De Magistris? Ci si sarebbe aspettati che il magistrato, pur legittimato dalla decisione interlocutoria del Csm a proseguire nelle indagini, usasse di una normale prudenza: continuasse nell’inchiesta, ma si astenesse da iniziative clamorose fino a che il Csm avesse deciso sul merito della richiesta di trasferimento d’ufficio. Reso forse baldanzoso dalla vittoria interinale conseguita e dal sostegno nel frattempo ottenuto dalla piazza e da taluni schermi televisivi, egli ha fatto invece tutt’altro: sulla base degli elementi che ha acquisito investigando, non ha esitato a iscrivere nel registro degli indagati il ministro. Si badi, quando emergono profili che giustificano un’iscrizione, il pm ha l’obbligo di farlo. Tutti sappiamo che c’è tuttavia modo e modo di operare, che c’è sempre una certa discrezionalità nel valutare. Possibile che, emersa un’ipotesi di reato a carico del Guardasigilli che aveva richiesto il suo allontanamento, fosse per lui assolutamente indispensabile procedere a un’iscrizione immediata piuttosto che attendere il breve lasso di tempo che lo separava, ormai, dalla decisione del Csm?
Veniamo ora all’ultimo episodio, l’avocazione del Procuratore generale. Può darsi che il provvedimento sia formalmente legittimo, poiché l’art. 372 c.p.p. prevede che l’avocazione può essere disposta dal Procuratore generale in caso d’incompatibilità del magistrato designato e poiché, come ha scritto ieri sul Corriere della Sera Vittorio Grevi, se il magistrato non è stato sostituito dal Procuratore della Repubblica, è prevista appunto l’avocazione da parte della Procura generale. Si tratta, comunque, d’iniziativa discrezionale. Ebbene, davvero il Procuratore generale prima di togliere il processo «Why not» a De Magistris non ha pensato che, facendolo, avrebbe indotto grandissimi sospetti? E allora, era davvero necessario o opportuno avocare? Non sarebbe stato, ancora una volta, prudente attendere le decisioni del Csm? Perché, allora, non ha atteso? Oggi, dopo l’avocazione assunta, molti sono legittimati a pensare che la politica, o, peggio, che la politica e il comitato di affari che operava in Calabria abbiano messo ben più di un semplice zampino nell’assunzione di tale improvvida decisione. Il che è tanto più deleterio se si considera che implicati nel processo sono, addirittura, il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia in carica e che nessun sospetto dovrebbe sfiorarli.
Ieri mi hanno d’altronde sconcertato le accuse di complotto ai loro danni che sono state lanciate sia da Mastella sia da De Magistris. Capisco che il ministro possa essere stravolto dalla circostanza di aver appreso a mezzo stampa la notizia della sua iscrizione e che possa temere gli sviluppi della situazione che lo coinvolge. Capisco che il pubblico ministero possa essere a sua volta molto teso a causa degli eventi che lo stanno sovrastando. Dato che si tratta di soggetti che, con le loro condotte forse non sempre provvide, hanno contribuito non poco a creare il difficilissimo impasse istituzionale di fronte al quale ci troviamo, il silenzio sarebbe stato, come si dice, d’oro.
La palla passa ora al Csm. A questo punto è essenziale che tale istituzione decida ad altissima velocità. Che magari, se fosse possibile, anticipasse addirittura l’udienza sul trasferimento d’ufficio chiesto nei confronti di De Magistris, fissata per i primi di dicembre. Come dicevo all’inizio, se il Csm non riuscisse a disinnescare la miccia assumendo in totale trasparenza decisioni condivise, rischierebbe esso stesso di uscire malconcio dalla vicenda.