Ma un giudice non può tacere i nomi di chi lo minaccia
di GIUSEPPE D’AVANZO *
La denuncia di Clementina Forleo non può essere equivocata. Dice il giudice per le indagini preliminari di Milano: "Quando ero il gip delle scalate del 2005 (Antonveneta-Bnl) mi giunsero pressioni relative agli atti di quell’indagine da ambienti istituzionali". Il giudice non va oltre. Non fa nomi, non offre indicazioni, non aiuta a capire: "Allo stato ne ho riferito soltanto ai miei familiari e a persone del mio entourage" e, a quanto pare, a un suo amico Ferdinando Imposimato - già giudice e parlamentare. La ragione? La Forleo non si sente "tutelata", non si sente "protetta". Tutto quest’affare è molto bizzarro e chiede di essere chiarito nelle prossime ore, in fretta e con attenzione.
Dunque, un giudice riceve delle pressioni addirittura da "ambienti istituzionali" per manipolare le sue decisioni. La manovra configura un reato penale e il pubblico ufficiale, vittima dell’avance, ha l’obbligo della denuncia. Il professore Franco Cordero - quando Clementina Forleo è stata rumorosamente criticata per aver indicato, nella richiesta di utilizzazione di alcune intercettazioni telefoniche che coinvolgevano parlamentari, le ipotetiche responsabilità penali dei protettori politici (Massimo D’Alema e Nicola Latorre) del presidente di Unipol - scrisse che quelle "opinioni erano irrituali, non erano affar suo disquisirle. Ma (Forleo) ha scritto quel che pensa. L’atto configura una denuncia obbligatoria, art. 331, illo tempore chiamata "rapporto"" (Repubblica, 24.07.07).
L’articolo 331 del codice di procedura penale recita: "I pubblici ufficiali che, nell’esercizio delle loro funzioni e del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia stata individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria". Questo stesso argomento, questo stesso articolo del codice può - deve - essere adoperato per sottolineare la timidezza del giudice, giustificata dal timore di non sentirsi protetta. Ma ora che la storia è diventata pubblica, per voce della stessa Forleo, non si può far finta che non sia accaduto nulla. Occorre che ciascuno faccia la sua parte a difesa dell’incolumità del giudice e dell’integrità dell’inchiesta milanese.
Si spera che, nelle prossime ore e non nei prossimi giorni, la Forleo voglia denunciare gli autori delle "pressioni istituzionali". Ci si augura che, nel caso ciò non avvenga, il dirigente dell’ufficio delle indagini preliminari o il presidente del Tribunale o il presidente della Corte d’Appello chiedano alla Forleo di stendere una relazione di servizio o, come si diceva un tempo, "un rapporto" sulle abusive sollecitazioni ricevute. Per il rispetto che si deve alla funzione giudiziaria e alle istituzioni, la sola che non è lecito fare è trasformare quest’affare, all’apparenza molto serio, in una farsa buona ad alimentare il consueto alambicco di veleni o le giostre di "una tv della simulazione".
* la Repubblica, 30 ottobre 2007.