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Eu-ropa. Eu-angelo: In principio era - la vita, non la morte!!!

2 NOVEMBRE. "CELESTE E’ QUESTA CORRISPONDENZA D’AMOROSI SENSI". LA LEZIONE DI FOSCOLO. I VIVI RICORDANO I VIVI (E ANCHE I MORTI) - a cura di pfls

"I diritti degli dèi Mani siano sacri" (XII Tavole).
giovedì 2 novembre 2017 di Maria Paola Falchinelli
[...]
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala (...)

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> 2 NOVEMBRE. "CELESTE E’ QUESTA CORRISPONDENZA D’AMOROSI SENSI". --- VITA E POESIA DOPO AUSCHWITZ: PAUL CELAN E "LA PAROLA PURPUREA, CHE NOI CANTAVAMO". L’amore non è lo zimbello del tempo.

martedì 24 maggio 2022

VITA E LETTERATURA: MEMORIA, POESIA, E ARTE DOPO AUSCHWITZ.

Appunti sul tema...

      • Blanchot, tragitto mimetico nel silenzio di Celan:
      • Poesia del Novecento. In un saggio del 1972 Maurice Blanchot fece una specie di serrato commento filosofico all’opera del poeta tedesco scampato allo sterminio: L’ultimo a parlare viene riproposto da Orthotes
      • «Quando tutto è stato detto, resta da dire il disastro, rovina della parola, cedimento attraverso la scrittura, brusio che mormora: ciò che resta senza resto». Questo sintomatico passaggio, tratto da La scrittura del disastro, è citato da Mario Ajazzi Mancini, ottimo curatore e traduttore di L’ultimo a parlare di Maurice Blanchot (Orthotes Editrice, pp. 164, € 16,00). Il testo fu originariamente allestito per un numero monografico su Paul Celan del 1972 del periodico svizzero francofono «La Revue de Belles Lettres» che accoglieva vari contributi, tra cui quelli di Du Bouchet, Daive, Michaux e Dupin.
      • Le dernier à parler (ispirato a un verso dello stesso Celan: «Parla anche tu, / parla come l’ultimo a parlare, / di’ il tuo dire»), proposto come titolo autonomo nel 1984 per Fata Morgana, verrà trasposto in italiano da Claudio Angelino per Il Melangolo nel 1990.
      • Il breve saggio di Blanchot, che passa da una serrata esegesi a considerazioni di taglio speculativo traenti le mosse dalle vertiginose concatenazioni concettuali presenti nel regesto celaniano, dette adito alla controversia con la vedova Gisèle Celan-Lestrange a proposito delle citazioni riportate, possibile causa di fraintendimenti da parte del lettore, in quanto risultavano omesse le fonti, quasi si attingesse a un unico componimento.
      • Si tratta, come riferito nella postfazione, di «una specie di “commento” all’opera di Paul Celan (mostrando di conoscerla nella sua interezza, almeno nei riguardi dei volumi pubblicati in vita dal poeta), che si basa su una traduzione in proprio dei poemi (sono ignorate le traduzioni esistenti all’epoca, comprese quelle comparse nella “Revue de Belles Lettres”) e dei testi in prosa, attraverso una precisa sistemazione tipografica: disposizione degli originali sulla pagina di sinistra e della versione sulla pagina di destra. Pagine pari per Celan, dispari per Blanchot come in un testo a fronte - quasi a indicare nella traduzione il luogo stesso della lettura».
      • Quella di Blanchot è tuttavia una lettura atipica, a tratti criptica, volutamente ellittica, dell’opera di Celan, quasi per una sorta di mimetica condivisione di temi e intenti, inscrivendosi sulla scia delle molteplici interpretazioni filosofiche approntate da pensatori d’eccezione come Adorno, Gadamer, Lévinas, Derrida. [...]" (Pasquale Di Palmo, il manifesto, 02.06.2019)

LA VITA CONTRO LA MORTE. "«Le dernier à parler» è ispirato a un verso dello stesso Celan: «Parla anche tu,/ parla come l’ultimo a parlare, /dì il tuo dire»". Probabilmente, il cuore [di Gisèle Celan-Lestrange] ha le sue ragioni, che la ragione [di Maurice Blanchot] non conosce! Blaise Pascal non si sbagliava, e nemmeno Kant!

PAUL CELAN:

PARLA ANCHE TU...

Parla anche tu,

parla per ultimo,

di’ ciò che hai da dire.

Parla -

ma non separare il no dal sì.

Dai anche senso a ciò che dici:

dagli l’ombra.

Dagli ombra che basti,

dagliene tanta

quanta sai sparsa intorno a te

fra mezzanotte e mezzogiorno e mezzanotte.

Guardati in giro:

lo vedi, che il vivo è dappertutto -

Prossimo alla morte, ma vivo!

Dice il vero, chi dice ombra.

Ma ora si stringe il luogo dove stai:

e adesso dove andrai, rivelatore d’ombre, dove?

Sali. Innalzati a tentoni.

Più sottile diventi, più irriconoscibile, più fine!

Più fine: un filo,

lungo il quale vuole scendere la stella:

per nuotare nel basso, giù in basso

dove vede se stessa luccicare: nella risacca

di erranti parole.

PAUL CELAN, PARLA ANCHE TU: "[...] A mio avviso, lo sprofondamento nell’altezza descritto nei versi conclusivi di Sprich auch du, è uno “shifter” importante per avvicinarsi a Celan, o perlomeno al Celan più notevole, che quando è al meglio di sé non è semplicemente un poeta nichilista. Per niente, anzi. Con buona pace dei tanti che l’hanno letto così, ma in fondo in fondo fraintendendolo... La visione metafisica di Celan ha tanti aspetti in comune con quella di Kafka, in realtà. Che, più disperato anche di Celan, non diversamente da Celan, in fondo, visse la frattura con la dottrina (la “malattia della tradizione” come l’ha chiamata Benjamin) come una sorta di peccato originale, che lo costrinse a convivere con angoscia e sospetto il suo abnorme bisogno di totalità e unità. [...]" (Massimo Morasso, Doppiozero, 20 aprile 2021).

VITA E POESIA: "LA PAROLA PURPUREA, CHE NOI CANTAVAMO". PER UNA FILOSOFIA "A PIU’ VOCI". In ricordo della straniera di Mantinea ...

PAUL CELAN E IL "PSALM". Dopo Eco e Narciso, dopo "Romeo e Giulietta", dopo "I Promessi Sposi", e dopo Auschwitz, c’è il Psalm (nella Rosa di Nessuno ,"Die Niemandrose", 1963) dell’ Amore (più forte di Morte), quello del "Cantico dei cantici, quello della "Purpurwort, das wir sangen". L’amore no è lo zimbello del tempo" (Shakespeare, "Sonetto 116").

Federico La Sala


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