L’eredità di Sergio Piro
«Per prima cosa slegate i pazienti»
di Luigi Attenasio, Angelo Di Gennaro, Gian Piero Fiorillo* (Liberazione, 10.1.2009)
La sera di mercoledì 7 gennaio è morto Sergio Piro. Era nato a Palma, in Campania, il 9 settembre del 1927. Trascorse l’infanzia a Cagliari, dove tornò, dopo aver conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia a Napoli, per specializzarsi in Neuropsichiatria con una tesi sulla Semantica del linguaggio schizofrenico, argomento difficile e affascinante che lo impegnò per tutta la vita, e di cui resta importantissima documentazione in Il linguaggio schizofrenico (Feltrinelli, Milano 1967).
Fu libero docente in Psichiatria e in Clinica delle malattie Nervose e Mentali a Napoli, e direttore dell’Ospedale Psichiatrico Materdomini di Nocera Superiore (Salerno), dove iniziò un esperimento di psichiatria alternativa che divenne la seconda "comunità terapeutica" in Italia dopo quella di Basaglia a Gorizia. Quindi fu direttore dell’Ospedale Psichiatrico Frullone e del L. Bianchi di Napoli, impegnandosi nella loro dismissione secondo i dettami della Legge 180 del 1978, di cui era stato uno dei più importanti anticipatori.
Membro della Segreteria Nazionale e poi del Coordinamento Nazionale di Psichiatria Democratica, recentemente fra i promotori del Forum Salute Mentale, non ha mai smesso di lavorare per la trasformazione della psichiatria, inserendo il discorso terapeutico in una visione complessiva del mondo, in cui le dimensioni spaziali, storiche e umane si compenetravano in una sola unità, con lo sguardo di chi andava senza sforzo oltre le miserie e le ristrettezze del tempo che gli era toccato in sorte.
Sapeva concentrare l’attenzione sul microevento per coglierne l’apertura epocale, ed è questa attitudine una delle eredità più cospicue che lascia a chi lo ha conosciuto o anche soltanto ascoltato in uno dei numerosissimi interventi pubblici, sempre densi di temi e prospettive inusuali, oltre che di una carica umana sorprendente.
Di Basaglia, altro grande realista visionario ed eretico, fu da sempre amico e compagno in un rapporto di confronto aperto e costante.
Alla didattica ha dedicato anni importanti della sua vita, fondando nel 1980 il Centro Ricerche sulla psichiatria e le scienze umane, e successivamente la Scuola di Antropologia Trasformazionale, che, contro ogni deriva sclerotizzante, ebbe il coraggio di chiudere quando ne ritenne concluso il momento creativo.
Fra i suoi ultimi lavori, il fondamentale Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale, in cui unisce teoria e storia del movimento di riforma, con una capacità di sintesi di pensiero (fenomenologia, psicanalisi, costruttivismo, epidemiologia ecc.) e realtà assolutamente rara. Così come nella vita coniugava pratica, teoria e impegno progettuale, anche nella pagina scritta la teoria e la realtà si attraversavano senza mostrare confini, intrecciandosi e includendosi reciprocamente nell’opera che risultava così, insieme, testimonianza e riflessione.
Ma al di là dei suoi meriti scientifici, Sergio Piro fu persona di grandissima, ineguagliabile umanità e di un’antica correttezza nei rapporti umani, priva di qualsiasi condiscendenza, una persona vera, diretta, sincera e tuttavia sempre dolce e amabile. E così lo abbiamo conosciuto, noi del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma C nell’aprile del 2003, durante un incontro sulla "Cura della sofferenza detta psichiatrica come prassi polivalente". Una lectio magistralis in cui cucì, davanti a un auditorio ipnotizzato, passato e futuro, astrazione e concretezza, riforma istituzionale e trasformazione delle prassi operative, arricchendo la riflessione di ricordi puntuali, mai aneddotici o fini a se stessi.
In quell’occasione ebbe a dire, del suo rapporto con Basaglia: «Il fatto che la mia cultura alternativa venisse dalla semantica, dalla linguistica e dall’antropologia marxiana e la sua dalla filosofia della prassi di Sartre e dalla sociologia delle istituzioni non aveva nessuna importanza: entrambi, come diversi nostri coetanei, avevamo un sogno ed era lo stesso sogno. Quando negli anni precedenti avevo tanto lavorato con il linguaggio dei matti, ero giunto alla conclusione che il linguaggio schizofrenico non era uno scombinato ed inutile guazzabuglio, ma costituiva, anche nelle sue forme più contorte e incomprensibili, un autentico linguaggio ed un’autentica creazione: ne trassi perciò già dal 1961 la seguente conclusione: "Se quello che è lì davanti a te non è un produttore di sintomi inutili e privi di senso, ma uno che parla un linguaggio, allora tu lo sleghi immediatamente"; negli stessi anni, quasi con le stesse parole, a chi gli chiedeva che cosa fare di fronte a un paziente legato Franco Basaglia rispose: "Per prima cosa, slegalo subito".
E ancora, ecco solo un esempio del suo sguardo comprendente l’intero orizzonte storico. «La psichiatria anti-istituzionale italiana ha una storia lunga. Il movimento nasce infatti sia dalla complicata crisi interna del paradigma professionale psichiatrico, sia, poco dopo, dall’avanzarsi dei movimenti di liberazione nel periodo della guerra del Vietnam fino alla costituzione del movimento studentesco che fa suoi e diffonde i temi antipsichiatrici. (Ma) benchè profondi e importanti, questi momenti culturali, ideologici e sovrastrutturali non sarebbero stati sufficienti a determinare il passaggio dalle prime esperienze antimanicomiali all’idea di una riforma organica di tutta l’assistenza psichiatrica. Questo si fece possibile perché negli anni Sessanta-Settanta era in atto in Italia, unico fra tutti i paesi occidentali, il tentativo forte e sostenuto di realizzare una democrazia sociale avanzata in un paese capitalistico: è la grande stagione della sinistra politica e della Triplice sindacale, delle riforme sociali e sanitarie».
A seguire, parlò della malattia mentale come «inizio della guarigione», contro ogni concezione riduttiva che ne fa una menomazione o perdita; elencò una serie di condizioni ineludibili delle "buone pratiche" in salute mentale, al cui centro mise ancora una volta il rispetto dei diritti della persona e il rifiuto di tutte le pratiche coattive ereditate dall’era manicomiale; delineò gli impegni prioritari per la continuazione dell’azione riformatrice di fronte all’affermarsi di un revisionismo storico-psichiatrico di stampo biologistico.
Fra i suoi numerosi testi, oltre al già citato Il linguaggio schizofrenico, ricordiamo Le Tecniche della Liberazione, Una dialettica del disagio umano (Feltrinelli, Milano, 1971), I mille talenti. Manuale della Scuola sperimentale antropologico-trasformazionale (Franco Angeli, Milano, 1995), Introduzione alle antropologie trasformazionali (La Citta’ del Sole, Napoli, 1997), L’io mancante (Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1997), Trattato di antropologia diadromico-trasformazionale , (Idelson Gnocchi, Napoli, 2005).
* Direzione e Centro di Documentazione "Vieri Marzi". Dipartimento di Salute Mentale AslRmC