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Approfondimenti

Speciale su FRANCO BASAGLIA. OLTRE I VINCOLI DEL POSSIBILE. Un breve saggio di M.G. Giannichedda - a cura del prof. Federico La Sala

mercoledì 31 agosto 2005 di Emiliano Morrone
BASAGLIA
Oltre i vincoli del possibile
Un pomeriggio estivo del 1961 Franco Basaglia varcò per la prima volta i confini del manicomio di Gorizia. Da allora non avrebbe smesso di tormentarsi sulla forza di quella istituzione, e sulla necessità di smantellarne le mura, edificate prima di tutto dentro di noi
Alla fine di agosto di venticinque anni fa moriva lo psichiatra al lavoro del quale dobbiamo la legge 180. Per rendere accettabile il dolore mentale, smembrare i manicomi e terremotare la (...)

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> Speciale su Basaglia - a cura del prof. Federico La Sala --- Il pensiero di Franco basaglia (di U. Galimberti - Follia e Società).

sabato 13 giugno 2009

Follia e società

Scriveva Franco Basaglia: "È importante entrare nel tessuto sociale per ottenere un consenso finalizzato non tanto a una maggior tolleranza, quanto a una presa in carico da parte della comunità dei problemi che le appartengono"

Risponde Umberto Galimberti *

-  Leggo sempre D La Repubblica delle Donne e vado subito alla sua rubrica. Ma la sua risposta a proposito della "Follia criminale" mi ha riempito di amarezza. È una risposta troppo semplificativa, basata su molte citazioni di Basaglia che mi appaiono piuttosto datate: il concetto di "malattia" come gioco di prestigio per rassicurare la società e mascherare colpe della società e della famiglia purtroppo non risponde alla verità.
-  Il disturbo mentale grave, come la schizofrenia, la sindrome ossessivo-compulsiva, il bipolare, esistono e assai sovente non sono frutto di "incuria educativa", di "disinteresse" verso una persona più sensibile o più fragile di altre. Glielo posso dire in tutta onestà, perché ho trascorso una vita a cercare di capire, di aiutare me stessa, mio figlio e tante altre persone che abitano e/o convivono in queste tragiche situazioni.
-  Nel 1988 con un’altra madre ho fondato un’associazione di volontari a sostegno di malati e famiglie nel tentativo frustrante di far sorgere un’assistenza territoriale e residenziale innovativa e professionalmente impegnata a dare aiuto concreto ai sofferenti psichici.
-  Ho seguito tanti casi di malati e famiglie e ho potuto accertare che molti (purtroppo ancora troppo pochi) se curati farmacologicamente, hanno potuto vivere con meno ansia, con meno paure e tornare a "godere" le piccole meravigliose cose che la vita ci offre. Alcuni riescono a reggere un lavoro, a viaggiare, a vivere! Per altri non è così.
-  Sono stanca, ho 70 anni e ne ho trascorsi più di 30 a occuparmi della straziante vita dei malati di mente. Non facciamo l’errore commesso nello scorso secolo quando le mamme dei bimbi autistici venivano incolpate del disturbo del bimbo, infierendo crudelmente su di loro.

-  Maria Luisa Gentile ml.gentile@sidom.it

Sono costretto a ritornare sul tema della malattia mentale perché ininterrotto è il flusso di lettere che ricevo e che disapprovano il pensiero di Franco Basaglia, nonché le sue iniziative che hanno portato alla promulgazione della legge 180 che ha sancito la chiusura dei manicomi. Capita spesso che per denigrare un pensiero lo si riassuma in una formula di facile comprensione, che ha qualche attinenza con quel pensiero, ma di fatto lo stravolge.

La formula facile e immediatamente comprensibile che stravolge il pensiero di Basaglia è che "le malattie mentali sono un prodotto della società". Basaglia non ha mai detto questo. Le sue esatte parole sono:

-  "Occorre fondare una nuova medicina, consapevole del fatto che l’uomo è un corpo sociale oltre che un corpo organico. Ed è su questo corpo sociale che la nuova medicina deve lavorare, non più solo sul corpo organico. Noi vogliamo trasformare il malato mentale morto nel manicomio in persona viva, responsabile della propria salute. Non lasciamo la persona che sta male nelle mani del solo medico, ma cerchiamo di costruire un nuovo schema di vita insieme con altre persone, che non sono solo malati. Quando cerchiamo di coinvolgere la comunità nella cura del paziente, stiamo tentando di eliminare il corpo morto, il manicomio, e di sostituirlo con la parte attiva della società. Questo è il modello che proponiamo e che è disfunzionale alla logica della società in cui viviamo".

Questa non è una posizione "datata", ma fortemente innovativa. Se poi la società, a differenza di lei, cara lettrice, e dell’impegno che profonde, si disinteressa della malattia mentale, questo non dipende da Basaglia, la cui utopia era di fare della clinica un laboratorio per rendere "umane" e non "oggettivanti" le relazioni tra gli uomini, attraverso la creazione di servizi di salute mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza, con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori, attori motivati.

Oggi tutto questo sembra in procinto di naufragare e fallire, anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci informa che un giovane su cinque in Occidente soffre di disturbi mentali, e che nel 2020 i disturbi neuropsichiatrici cresceranno in una misura superiore al 50 per cento, divenendo una delle cinque principali cause di malattia, di disabilità e di morte.

Che facciamo? Mettiamo tutti in manicomio o facciamo recuperare loro quel rapporto col mondo che il manicomio preclude definitivamente e i servizi di salute mentale, salvo rare e nobili eccezioni, così come sono oggi, non garantiscono, per incuria, trascuratezza, indifferenza, per la paura che la società ha della diversità che ospita nelle figure non solo dei malati mentali, ma anche degli immigrati, dei tossici, dei senzatetto, degli emarginati? La sintesi del pensiero di Basaglia non è quindi "le malattie mentali sono un prodotto della società", ma se proprio vogliamo fare una sintesi: "Il tipo di relazioni sociali si ripercuotono anche nelle relazioni cliniche", che non mi pare assolutamente un’idea datata.

* La Repubblica/D, 13.06.2009.


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