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Approfondimenti

Speciale su FRANCO BASAGLIA. OLTRE I VINCOLI DEL POSSIBILE. Un breve saggio di M.G. Giannichedda - a cura del prof. Federico La Sala

mercoledì 31 agosto 2005 di Emiliano Morrone
BASAGLIA
Oltre i vincoli del possibile
Un pomeriggio estivo del 1961 Franco Basaglia varcò per la prima volta i confini del manicomio di Gorizia. Da allora non avrebbe smesso di tormentarsi sulla forza di quella istituzione, e sulla necessità di smantellarne le mura, edificate prima di tutto dentro di noi
Alla fine di agosto di venticinque anni fa moriva lo psichiatra al lavoro del quale dobbiamo la legge 180. Per rendere accettabile il dolore mentale, smembrare i manicomi e terremotare la (...)

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>FRANCO BASAGLIA. OLTRE I VINCOLI DEL POSSIBILE. ---- Franco Basaglia cinquant’anni fa assunse la direzione del manicomio di Gorizia ma di quella eredità nei reparti ospedalieri rimane assai poco. Invece le domande sulla follia sono ancora terreno d’indagine dei pensatori

sabato 26 novembre 2011


-  FRANCO BASAGLIA: VENEZIA 11 MARZO 1924 - 29 AGOSTO 1980 Per lo psichiatra, cui si deve l’introduzione in Italia della legge 180 e la chiusura dei manicomi, il paziente non è solo una malato ma una persona in tutta la ricchezza.

-  Franco Basaglia
-  Dimenticato dagli psichiatri, amato dai filosofi

-  Franco Basaglia cinquant’anni fa assunse la direzione del manicomio di Gorizia ma di quella eredità nei reparti ospedalieri rimane assai poco Invece le domande sulla follia sono ancora terreno d’indagine dei pensatori

di Massimo Adinolfi (l’Unità, 26.11.2011)

Chi si ricorda di Franco Basaglia? Nel novembre di cinquant’anni fa, l’anno di Asylums di Goffman e della Storia della follia di Foucault, il giovane psichiatra veneziano assume la direzione del manicomio di Gorizia. Avviando una rivoluzione: dalla riorganizzazione del personale sanitario all’abolizione delle divise per i degenti, dai permessi di uscita alla eliminazione di ogni mezzo di contenzione, Basaglia interverrà su tutti gli aspetti della vita dell’ospedale, trasformandola radicalmente. E accompagnerà questa attività con una formidabile azione comunicativa e un impegno politico inesauribile, il cui ultimo frutto sarà la legge 180 sui trattamenti sanitari obbligatori.

Due anni dopo Basaglia muore, e poco alla volta i riflettori accesi da Basaglia sulla follia si spengono. La legge 180 rimane in vigore, ma le domande sollevate da Basaglia si attutiscono e le battaglie da lui condotte si smorzano fin quasi a scomparire. Chi oggi si chiede ancora se la follia sia (soltanto) una malattia mentale? In realtà, la questione arde ancora nel braciere della filosofia, ma sapere medico e organizzazione sanitaria l’hanno ormai, di fatto, accantonata. E così a ricordarsi di Basaglia finiscono con l’essere quasi soltanto i filosofi o gli psicanalisti (che medici non sono), i quali hanno dedicato un libro alla sua esperienza: Franco Basaglia. Un laboratorio italiano, a cura di Federico Leoni (Bruno Mondadori). La psichiatria universitaria, invece, forte di solide certezze farmacologiche e di un naturalismo più solido ancora, si tiene parecchio alla larga dall’eredità di Basaglia.

UN CASO TRAGICO

Non è però il solo paradosso. Perché se a suo tempo erano le idee di Basaglia e dell’antipsichiatria a mettere a soqquadro il rassicurante fondamento di ogni umanesimo, la possibilità cioè di tracciare senza incertezze il confine fra il sano e il malato, il normale e l’anormale, l’umano e l’inumano, oggi le distinzioni saltano più facilmente per via della convinzione che tutto l’arcano della follia stia dentro i termini medico-biologici del problema.

Negare alla parola, alle pratiche sociali o al contesto territoriale qualunque presa sulla realtà della follia significa infatti ridurre drasticamente fino a negarlo del tutto l’ambito in cui l’uomo si esprime e viene compreso come un uomo, e ampliare a dismisura quello in cui viene invece compreso e spiegato a partire da ciò che umano non è (ma è biologico o chimico o neurologico).

C’è quindi un motivo teorico di stringente attualità per ricordare Basaglia, ma c’è anche una ragione pratica e politica: basti pensare all’orrore della morte di Franco Mastrogiovanni, maestro elementare, sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, costretto per quattro giorni in un letto di contenzione del reparto psichiatrico di Vallo della Lucania e, a seguito di ciò, deceduto. Non decenni fa, ma due anni fa. Il processo al personale sanitario e agli infermieri è da poco ripreso, e nell’ultima udienza il direttore sanitario dell’Ospedale di Vallo ha avuto l’ardire di affermare che «la contenzione è un sistema di terapia». Sono parole, queste, sufficienti per indignarsi, ed entrare nuovamente con i fari accesi da Basaglia negli ospedali.


«Ma la sua idea di guarigione è parte di tutti noi»

Peppe Dell’Acqua che ha condiviso l’esperienza triestina: molti Paesi nel mondo si ispirano alla nostra 180

intervista di Cristiana Pulcinelli (l’Unità, 26.11.2011)

Peppe Dell’Acqua con Basaglia ci ha lavorato a lungo. Insieme a Trieste hanno condiviso anni di battaglie e sperimentazioni. Poi Dell’Acqua è diventato direttore del Dipartimento di Salute Mentale proprio lì, a Trieste. Fra poco uscirà il secondo volume di una collana che cura insieme a Pieraldo Rovatti e Nico Pitrelli, per Alpha Beta Editore 180 archivio critico della salute mentale”: la sceneggiatura e il dvd del film «C’era una volta la città dei matti», andato in onda sulla Rai nel 2010. «Sono pienamente d’accordo sul fatto che bisogna riaccendere i fari su Franco Basaglia dice ma non vorrei diffondere un’amarezza eccessiva che finisce per coprire e disconoscere una presenza straordinaria e quotidiana di Basaglia. Ovunque si parli di salute mentale nel mondo non si può fare a meno di parlare di Franco Basaglia».

Non potrebbe sembrare un’affermazione apodittica?

«Forse, ma basta guardare quello che succede nel mondo. L’Argentina ha fatto una legge sulla salute mentale che riprende molto dell’insegnamento di Basaglia e della legge 180 di cui Basaglia è stato inconsapevole ispiratore. In Brasile sta succedendo la stessa cosa. Ma c’è di più. Se possiamo parlare dell’orrore della morte di Franco Mastrogiovanni legato a un letto è grazie al fatto che Basaglia è nella testa e nella cultura di ognuno di noi e non solo di chi l’ha conosciuto o ci ha lavorato. Per qualcosa che abbiamo letto, o sentito, o percepito oggi possiamo dire che legare una persona a un letto è un atto criminale. Prima non era così. E molti altri sono morti prima di Mastrogiovanni».

E oggi?

«Oggi ancora ci sono realtà difficili. Proprio recentemente ho saputo di esperienze al Niguarda di Milano che fanno pensare ad epoche passate: porte chiuse, persone legate, maltrattamenti. Accendere i fari su Basaglia oggi significa ricominciare a dire la verità.

E a proposito delle certezze della psichiatria?

«Quando Basaglia si pose l’interrogativo “che cos’è la psichiatria?” portava l’incertezza nel mondo delle certezze psichiatriche. Oggi gli psichiatri utilizzano di nuovo le certezze della biologia e delle neuroscienze per spiegare i dogmi. Siamo arrivati a questo punto a causa della prepotenza delle case farmaceutiche e dell’atteggiamento delle accademie. Ma c’è una cosa di cui si deve tenere conto. Quelle certezze sono state messe in crisi. E non sono state messe in crisi dagli psichiatri, ma da una larga popolazione di familiari, utenti dei servizi di salute mentale, operatori. Gli psichiatri oggi non hanno più peso proprio perché si sono rifugiati nella cittadella delle certezze. Ma l’inganno ormai è stato svelato. Oggi genitori mi chiamano da Marsala come da Milano per dirmi: mio figlio deve guarire. Ma da dove hanno preso quest’idea di “guarigione” se non da Basaglia?»

Condivide la denuncia di una psichiatria che torna a negare la parola e i diritti?

«Non solo la condivido, ma sono ancora più duro. Quello che accade tra i dannati della Terra nei manicomi giudiziari accade perché la psichiatria si permette di prevedere che la tale persona sarà pericolosa. I giudici non decidono da soli. Ma quello che mi sembra di vedere è che gli psichiatri cercano di stare lontano da Basaglia perché quando si avvicinano al suo pensiero e alla sua pratica vivono la miseria e la pochezza del loro essere. Questi psichiatri cercano l’evidenza, ma non si accorgono che intorno a loro ci sono pratiche rivoluzionarie, come la restituzione del diritto. Non si accorgono che vivono in un mondo in cui tutto è cambiato, in cui i manicomi non ci sono più».


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