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Europa. Italia: Roma...

LA QUESTIONE ROM, LA CIVILTA’ EUROPEA E I DORMIENTI. La lezione di Emilia, la donna Rom che s’è sdraiata sull’asfalto davanti a un autobus per denunciare il Rom assassino di Giovanna Reggiani, e di Kafka. L’analisi di Barbara Spinelli e una nota di Michele Ainis - a cura di pfls

domenica 4 novembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] l’integrazione resta indispensabile, che chiuder le porte non basta, che è necessario far luce sui pericoli che corre non solo la sicurezza ma la democrazia. Dice Franz Kafka: «Bisognerà pure che nel campo dei dormienti qualcuno attizzi il fuoco nella notte». Questo invito a far luce sui veri tabù vale per i dormienti dell’Est e per l’Europa. Vale per i Rom (il loro faro non dovrebbe esser la figura della vittima ma la donna Rom che s’è sdraiata sull’asfalto davanti a un autobus per (...)

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> LA QUESTIONE ROM E I DORMIENTI. ..... la pericolosità della situazione e la necessità non già di esibire la "faccia feroce", ma di recuperare l’autorità delle autorità pubbliche centrali e locali, cioè delle istituzioni di fronte a fenomeni di dimensioni continentali. Il commento di Eugenio Scalfari.

domenica 4 novembre 2007

Delinquenti o squadristi tolleranza zero

di EUGENIO SCALFARI *

IL FUNERALE di Giovanna Reggiani, selvaggiamente uccisa nella desolata landa di Tor di Quinto, è stato seguito da gran folla di persone dentro e fuori la chiesa di Cristo Re dove la messa celebrata con rito valdese è stata accompagnata dal cappellano militare con nobili parole di compianto e di pace. Parole che corrispondevano - così almeno è sembrato - ai sentimenti delle persone che si accalcavano nella chiesa e nell’ampio spazio adiacente di viale Mazzini. Se c’è una persona che va additata come esempio in questi drammatici frangenti che investono un’intera nazione questa è il marito della morta, un alto ufficiale della Marina militare che ha detto anche lui parole di dolore profondo, di rimpianto accorato e di pace.

Da qui bisogna (bisognerebbe) ripartire per affrontare con nuova energia e doverosa misura il tema che continuiamo a chiamare emigrazione ma che va invece definito in altro modo. Sto alle parole di Giuliano Amato; ha detto che siamo in presenza di un esodo perché riguarda non migliaia ma milioni di persone che si stanno spostando dai paesi della povertà e del degrado ai paesi del benessere suscitando, come sempre è avvenuto in casi di questo genere, paura, insicurezza, reazioni che oppongono illegalità ad illegalità, violenza a violenza. "C’è una tigre in gabbia che minaccia di uscire dalle sbarre. Bisogna a tutti i costi impedirlo" ha detto ancora il ministro dell’Interno nell’intervista di ieri al nostro giornale e preoccupazioni analoghe hanno espresso Prodi e Veltroni.

E’ esatto. Quello è il pericolo maggiore da scongiurare, specie dopo l’aggressione di un gruppo di squadristi incappucciati e armati di spranghe e coltelli contro quattro romeni a Tor Bella Monaca, la tigre in gabbia della xenofobia e della giustizia "fai da te". Allora la domanda è: da dove nasce quella xenofobia cieca? In che modo si può scongiurarla? Il decreto del governo sulle espulsioni è uno strumento adatto?

Non perderemo tempo in discussioni sociologiche delle quali sono pieni i giornali di questi giorni, né in descrizioni sulla vita dei baraccati, di quei rifugi di cartone (sì, di cartone) dove neppure un animale si adatterebbe a vivere.

Le cronache hanno ampiamente riferito, raccontato, fotografato. Vogliamo oggi fare il punto sui dati di fatto e di diritto e inquadrarli nel vero e proprio sisma che l’esodo di massa sta provocando e continuerà a provocare poiché una cosa è certa: non si arresterà, né dal Sud né dall’Est.

C’è povertà estrema in Africa, c’è degrado insopportabile nell’Europa dell’Est. Il principio dei vasi comunicanti vale anche nel caso in cui invece dei liquidi che si spostano alla ricerca della stessa pressione atmosferica ci sono persone, moltitudini di persone che sfuggono da luoghi devastati e invivibili inseguendo la speranza di vite migliori.

Quest’esodo è cominciato da almeno vent’anni ma ogni giorno che passa aumenta la sua intensità e la sua dimensione. Ormai è un fiume. Non illudetevi che si possa fermare: neppure se per arginarlo si usasse la mitraglia. Perciò questo è il problema, che non riguarda soltanto il nostro Paese ma l’Europa intera.

* * *

Anzitutto una prima constatazione: l’esodo dall’Africa verso le coste europee deve varcare il mare. Le barche in movimento sono avvistate per tempo e monitorate. Spesso si riesce a farle tornare indietro. Chi arriva a destinazione viene accolto, censito e rinviato nei paesi di partenza.

Purtroppo il "lago" mediterraneo è ormai costellato nei suoi fondali da relitti e cadaveri di annegati, ma neppure questa tragica prospettiva serve a fermare l’esodo. Lo limita, lo gradualizza. Apre la possibilità di negoziare con i paesi rivieraschi dell’altra sponda provvedimenti di sostegno e investimenti per contenerlo ai nastri di partenza.

Seconda constatazione: l’esodo dall’Est avviene in condizioni completamente diverse. A muoversi non sono extra - comunitari ma cittadini europei in provenienza da paesi ormai entrati a far parte dell’Unione. In particolare provenienti da Romania e Bulgaria.

A loro basta esibire il passaporto per varcare legalmente un confine che non esiste più. La libera circolazione è stata limitata da norme transitorie durate cinque anni, ma dal primo gennaio di quest’anno ogni limitazione è caduta.

Per di più non c’è nessun mare di mezzo. Nessun rischio fisico e drammatico da affrontare. Basta montare su un treno, su un autobus, su un qualsiasi mezzo di trasporto per arrivare alla destinazione prescelta. In Italia come in Germania, in Spagna o in Austria o in Francia o in Scandinavia.

Molti preferiscono l’Italia e la ragione c’è, sono loro stessi che ce la spiegano: da noi la giustizia è lenta, le pene sono ragionevolmente miti, "l’habeas corpus" è più tutelato che altrove, i delinquenti abituali tornano liberi pochi giorni dopo l’arresto in attesa che il processo sia celebrato, l’espulsione non è (non era) prevista, il ritorno è (era) consentito.

Questo stato di cose induce la delinquenza a scegliere il nostro paese come terra di elezione. Naturalmente la delinquenza abituale è soltanto una parte del fiume di emigranti, ma è una parte cospicua. La sua presenza e le sue azioni, la sua violenza cattiva e spesso gratuita determinano insicurezza e paura, la soglia che divide questi sentimenti dall’odio, dalla vendetta, dalla xenofobia è già stata varcata da molti. Ma se si continuerà così sarà varcata in massa e la tigre uscirà dalla gabbia per sbranare il suo prossimo. Così, piaccia o non piaccia, stanno le cose.

* * *

Il decreto emanato dal governo mira a combattere la delinquenza e affida a provvedimenti di espulsione con divieto di rientro i cittadini comunitari che violino la legalità. Si tratta di provvedimenti amministrativi autorizzati dalla magistratura e resi esecutivi dai prefetti sulla base delle motivazioni previste dalla legge.

Chi temeva espulsioni di massa è stato rassicurato, si procederà su segnalazioni delle questure e dei carabinieri effettuate in base alla pericolosità individuale. Nel frattempo a Roma, dove la presenza della delinquenza abituale si è concentrata più che altrove negli ultimi nove mesi, le forze dell’ordine hanno provveduto a distruggere gli alloggiamenti (è una parola impropria chiamarli così) abusivi su tutte le rive dell’Aniene e del Tevere.

Non è la prima volta che operazioni simili avvengono, non solo a Roma ma a Bologna, Milano, a Torino. Nella capitale in particolare, a partire dal 2001 e via via intensificandosi in proporzione alla crescente affluenza di immigrati, sono stati chiusi o sgombrati ventotto insediamenti abusivi e aperti dodici centri di accoglienza temporanea. Le persone accolte nei centri comunali attrezzati sono attualmente tredicimila. Gli sgomberi eseguiti in questi mesi hanno coinvolto poco meno di 6.000 persone, ma soltanto 800 di esse hanno accettato di essere accolte nei centri comunali, le altre hanno rifiutato e non possono esservi obbligate.

Le accuse di Berlusconi e di Fini sulle inadempienze del Comune di Roma servono solo ad alimentare una polemica più che mai dannosa; in tutta onestà il Comune ha fatto quanto poteva, ma soprattutto ha chiesto, da solo o insieme agli altri sindaci delle grandi città, che si provvedesse con urgenza a contenere il flusso e a combattere con strumenti appropriati la delinquenza abituale. Lo ha chiesto al governo in carica e cioè a quello di Prodi e al governo precedente che è stato in carica per cinque anni sostenuto da una maggioranza parlamentare a prova di bomba e all’opera dal 2001, cioè esattamente dal momento in cui l’esodo all’interno della comunità europea si è messo in movimento.

* * *

Non entreremo nella mediocre polemica di chi doveva fare e che cosa doveva fare. Nessuno ha le carte in regola, non questo governo, non il precedente, non l’Unione europea che ha emesso nel 2004 una direttiva - applicata anche in Italia - nettamente insufficiente.

La verità l’ha detta con lodevole onestà Giuliano Amato: "Nessuno di noi poteva prevedere che la slavina diventasse valanga, che il torrentello si trasformasse in un fiume di centinaia di migliaia e poi di milioni di persone, intere popolazioni in movimento all’interno stesso dell’Europa".

Questo è accaduto. A questo il decreto dell’altro giorno vuole porre un primo riparo. Necessario ma non sufficiente. Perché bisogna modificare la lentezza della magistratura, negoziare con i governi europei dei paesi dai quali parte l’esodo, negoziare con l’Unione europea affinché si dia carico d’un problema che riguarda il continente intero. E intanto occorre che vi sia qui da noi tolleranza zero verso la delinquenza di importazione e tolleranza zero verso le ronde squadriste che aggrediscono lo straniero solo perché straniero.

* * *

Sono stupefatto delle reazioni scomposte del direttore di "Liberazione" e di Rossana Rossanda sul "Manifesto" contro il decreto e contro il sindaco di Roma che l’ha chiesto con doverosa perentorietà. "Fa schifo, è un documento fascista" ha scritto Rossanda. E Sansonetti: "Con la destra fascista sono disposto a discutere, con Veltroni no". Queste non sono legittime e motivate manifestazioni di dissenso, ma insulti emotivi che derivano da una totale misconoscenza della situazione e dei pericoli gravi che essa comporta.

In paesi agitati da sentimenti diffusi di insicurezza e da traumi provenienti da episodi drammatici, soltanto interventi decisi e repressivi dei fenomeni delinquenziali possono trattenere entro limiti di decenza civile le paure della gente. Educazione e prevenzione restano necessarie, ma il momento repressivo non può essere e non deve essere eluso. Il decreto va in questa direzione. Non a caso provvedimenti di questo tipo erano richiesti da mesi e da anni dai sindaci delle grandi città e attuati nei limiti dei loro assai scarsi poteri, da Domenici a Firenze, da Moratti a Milano, da Cofferati a Bologna, da Chiamparino a Torino e poi a Genova a Padova a Bari a Napoli a Cagliari. E ovviamente a Roma.

Non mi trovo, per la prima volta, d’accordo con il Rodotà dell’articolo di ieri sul nostro giornale. Ha ragione di scrivere che il decreto, da solo, è insufficiente. E indica alcuni dei provvedimenti che possono servire a completarne l’efficacia. Ma a mio avviso ha torto a considerarlo un provvedimento emotivo da emendare nel senso dei diritti negati agli espulsi.

Temo, caro Stefano, che anche a te sfugga la pericolosità della situazione e la necessità non già di esibire la "faccia feroce", ma di recuperare l’autorità delle autorità pubbliche centrali e locali, cioè delle istituzioni di fronte a fenomeni di dimensioni continentali.

Vedremo alla prova come si comporteranno le forze politiche. Quelle di sinistra estrema e quelle dell’opposizione. Hanno esordito tutte e due male. L’opposizione ha addirittura aizzato lo squadrismo anche attraverso i titoli e i testi dei giornali berlusconiani.

Non si comportano così le persone che hanno a cuore gli interessi del paese, specie se rivestono incarichi pubblici rappresentativi. Hanno tempo e occasione per ravvedersi e ci auguriamo vivamente che lo facciano.

* la Repubblica, 4 novembre 2007.


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