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Genere UmaNO: Donne e Uomini..... "Due Soli"(Dante)!!!

LA VIOLENZA DEL TAPPO DELLO SPUMANTE. GLI UOMINI CONTRO LE DONNE: UN FEMMINICIDIO. 24 novembre, manifestazione nazionale a Roma per spezzare la connivenza e il silenzio su questa violenza e su questa guerra - a cura di pfls

sabato 24 novembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un’azione a largo raggio". Va fatta una legge, concordano tutti. (...)

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> E’ STATO IL TAPPO DELLO SPUMANTE. GLI UOMINI CONTRO LE DONNE: UN FEMMINICIDIO. --- Non c’è dubbio che sia cominciata sbagliata questa manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. Ma in mezzo a questi episodi ci sono decine di migliaia di donne - centomila dicono le organizzatrici; 40 mila la questura - di tutte le razze che sono sfilate pacifiche, sorridenti, motivate, consapevoli per dire basta al femminicidio.

sabato 24 novembre 2007


-  Tanta gente in strada a Roma nonostante la pioggia
-  Cacciate Prestigiacomo e Carfagna, aggrediti due giornalisti

-  Violenza sulle donne, a Roma in centomila
-  "Contro la paura, riprendiamoci i nostri diritti"

-  Dacia Maraini: "Grande partecipazione, sbagliato escludere chiunque"
-  In piazza Navona contestate anche i ministri Turco, Pollastrini e Melandri. "Occupato" il gazebo de La7

di CLAUDIA FUSANI *

ROMA - Comincia male: fischi alle deputate di Forza Italia Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo; spintoni e calci a un fotografo e a un giornalista con l’unico torto di essere maschi; insulti ai ministri Pollastrini, Turco e Melandri che hanno "osato" tentare di mettere il cappello, facendosi intervistare da microfoni e telecamere, su una manifestazione che - va detto - è stato organizzata dal basso, da associazioni che non hanno mai l’onore delle cronache eppure fanno un lavoro sommerso e oscuro ma importantissimo.

Non c’è dubbio che sia cominciata sbagliata questa manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. Ma in mezzo a questi episodi ci sono decine di migliaia di donne - centomila dicono le organizzatrici; 40 mila la questura - di tutte le razze che sono sfilate pacifiche, sorridenti, motivate, consapevoli per dire basta al femminicidio. I confini del caso compaiono qua e là sui cartelli indossati da donne-testimoni: un milione e 150 le vittime di violenze in Italia, il 5, 4% del totale, il 3,5% ha subito violenza sessuale e il 70 per cento di queste violenze portano la firma di familiari e parenti.

"L’assassino non bussa, ha le chiavi di casa" è scritto su uno degli striscioni a metà del corteo. Una come Dacia Mariani, ad esempio - anima del movimento femminista negli anni settanta, oggi in marcia in via Cavour come una ragazzina con gli occhi azzurrissimi che riescono sempre a guardare oltre e lontano - parte da qui, dalla grande partecipazione, dalle donne che tornano in piazza: "Sono commossa, era dagli anni Settanta che non si vedeva una manifestazione così". Gli insulti, gli ostracismi, sono quella parte sbagliata che alla fine spunta quasi sempre fuori nelle manifestazioni, come quelli che bruciano le bandiere o fanno i cori contro Nassyria. Una parte, non il tutto. Un pezzo, non l’insieme. Infatti: "Non sono d’accordo con la contestazione, hanno fatto malissimo. Sbagliato anche cacciare gli uomini, loro sono degli alleati" dice la scrittrice. Meno comprensivo il giudizio delle ministre. "Questa violenza verbale va solo contro le donne" taglia corto Giovanna Melandri. "La contestazione di qualcuno va a discapito di tutte" rincara la dose Livia Turco. Più morbida la Pollastrini: "Cerchiamo il lato positivo: tante, tantissime donne per dire basta alla violenza". Il problema è che a fine serata della giornata si parla più per le polemiche che per i contenuti.

Il fatto è che la manifestazione, organizzata molto in sordina, quasi ignorata fino a due-tre giorni fa, è stata messa in piedi da un gruppo di collettivi femministi tra cui Amatrix, Libellule, Feramenta, Associazione femminista via dei Volsci, a cui sicuramente non fa difetto la rabbia e le idee chiare. "L’idea della manifestazione è stata nostra" spiega Amelia, "non vogliamo cappelli politici anche perché delle scelte di questa politica non condividiamo quasi nulla. E non vogliamo uomini, abbiamo fatto una scelta sessista e separatista perché in questo modo si capisca che il problema in Italia è di tipo culturale e serve scardinare la società di tipo patriarcale...".

Amelia è un fiume in piena ed è alla testa del corteo quando alle 14 e 45 minuti, dopo un acquazzone memorabile, il grande striscione "La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini" muove i primi passi. C’è emozione e soddisfazione. Sono tante, un concentramento enorme, oltre ogni aspettativa. Le donne dei campi rom improvvisano danze etniche. "Siamo del campo di via Candoni e ieri abbiamo deciso di venire al corteo. Lo abbiamo comunicato agli uomini del campo e siamo qui" spiega Daniela sfoggiando un sorriso molto dorato. Futurica è più giovane, ha 16 anni: "Quanta violenza c’è nei campi rom contro le donne? Come in tutto il mondo...". Si muove il camion rosso con la musica sparata a palla e lo striscione: "La violenza contro le donne non dipende dal passaporto, la fanno gli uomini".

Poco dopo l’inizio di via Cavour, sul lato sinistro della strada, lungo il marciapiede, svetta l’ex ministro Stefania Prestigiacomo e il collo di pelliccia dell’onorevole Mara Carfagna. Qualcuno dice che sono con i bodygard, più semplicemente, forse, il loro autista. Comunque sia, inaccettabile per le organizzatrici. E’ il primo momento di tensione. I cori si alzano in fretta: "Fuori i fascisti da questo corteo"; "La violenza sulle donne non si strumentalizza, sei una fascista non sei una donna". L’ex ministro prosegue dritta, qualche centinaio di metri, faccia tesa: "La nostra presenza qui non è una provocazione, siamo donne, non abbiamo una bandiera politica. Certo se questo è il livello di tolleranza di una manifestazione contro la violenza...".

Ma non è un problema di colore politico. Pochi metri dopo, infatti, un fotografo e un paio di giornalisti s’imbattono nel rigore separatista delle femministe organizzatrici. Cori, spintoni, fuori anche loro.

Via via che il corteo si libera lungo via Cavour la violenza contro le donne torna il tema, quello vero, il principale. Quello a cui l’Onu domani ha dedicato una giornata mondiale. Per cui il presidente della Repubblica Giorgio Napoletano ha inviato un messaggio al ministro Pollastrini parlando di "drammatica violazione dei diritti umani" e augurando che l’iter della legge a tutela della donne possa concludersi presto in Parlamento. Qualche spezzone, a dir la verità, non condivide neppure l’impostazione della legge: "Fiducia nello stato non ne abbiamo / l’autodifesa è nostra e non la deleghiamo". Nel mirino degli slogan ci finisce il pacchetto giustizia: "Se la violenza è sotto il tetto che ce faccio cò sto pacchetto"; "non ci stiamo in un pacchetto violenza, vogliamo una cultura del rispetto". Monica Pepe, la più gettonata tra le organizzatrici: "Un episodio come quello della morte di Giovanna Reggiani è stato strumentalizzato per dare vita a un pacchetto sicurezza xenofobo e razzista".

Le femministe sono tornate, non c’è dubbio. Lo dicono le colonne sonore prescelte: con Loredana Bertè cantano "non sono una signora ma una con poche stelle nella vita"; con Fiorella Mannoia intonano "quello che le donne non dicono". Gli abiti parlano degli anni settanta: gonne lunghe e giacconi, mini e calze colorate, zeppe, fasce colorate in testa; trecce o capelli cortissimi.

L’intolleranza separatista non si ferma. Intorno a piazza Venezia si aggiunge al corteo - ahiloro - un gruppo di senegalesi con tamburi, treccine e ritmo. Sono bravi e fanno allegria. Durano venti minuti. E’ in azione una specie di servizio d’ordine che fa la spola lungo i lati del corteo per controllare che non ci siano uomini. "Dovete andare via, non potete stare qui...". Malandobo, il leader del gruppo etnico resta un po’ perplesso: "Ma noi siamo contro la violenza...". Succede che un gruppo di donne decide di fare da "protezione" ai gruppo di intrusi. Sono tanti i pezzi del corteo che non condividono questa impostazione. Paola, ad esempio: "Siamo qui, contente di partecipare e di manifestare per una cosa molto seria. Ma che tutto questo sia appaltato a una banda di separatiste sessiste non ci sta bene".

La testa del corteo arriva in piazza Navona due ore dopo la partenza da piazza della Repubblica. Finirà di affluire intorno alle sei e mezzo. Altre polemiche, i ministri contestati, le telecamere abbuiate. "Se dovete intervistare qualcuno, sentite noi e non i ministri" polemizza Monica Pepe. In realtà le uniche che dovevano parlare, oggi, dovevano essere le donne violate. Hanno sfilato anche loro, in silenzio, con rabbia, lo striscione in una mano, il figlio nell’altra. Questo corteo era in loro nome.

* la Repubblica, 24 novembre 2007.


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