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Storia e Memoria. La Marcinelle americana...

WEST VIRGINIA. MONONGAH. L’alba era fredda ma limpida, la mattina del 6 dicembre 1907 ... Nel 2006 la FILEF ha realizzato l’unico film-documentario disponibile su questo evento - a cura di Federico La Sala

Alle dieci e mezza i muri di tutti gli edifici di Monongah vibrarono spaventosamente. I tram deragliarono. Le miniere 6 e 8 erano esplose, trasformando chilometri di caverne in un inferno...
giovedì 6 dicembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Quello che la terra rigurgitò, nei giorni successivi, furono solo corpi. Bruciati, dilaniati, difficili da riconoscere. Stesi in bare di fortuna, vennero allineati prima nelle due chiese cattoliche della città, poi nell’atrio di una banca, quindi lungo la via principale.
Fra una e l’altra si muovevano ansiose decine di donne con due, tre bambini per mano o in braccio, recitando preghiere o esplodendo in espressioni di sconforto in italiano, polacco, russo o armeno. Il bilancio (...)

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> La miniera di Marcinelle diventa patrimonio Unesco In Vallonia nel 1956 morirono 136 minatori italiani. Oggi il luogo della strage è un museo e un memoriale (di Marco Zatterin)

martedì 3 luglio 2012


-  La miniera di Marcinelle diventa patrimonio Unesco
-  In Vallonia nel 1956 morirono 136 minatori italiani.
-  Oggi il luogo della strage è un museo e un memoriale

-  di Marco Zatterin (La Stampa, 02.07.2012)

Forse non c’era bisogno del certificato. Il Bois du Cazier è scolpito nel patrimonio di tutti, da quell’8 agosto di 56 anni fa in cui nelle viscere della terra persero la vita 262 minatori tra cui 136 italiani. La tragedia della miniera di Marcinelle ha impiegato poco a diventare il simbolo di un’epopea drammatica e gloriosa, un luogo della memoria fra i più simbolici per l’emigrazione del dopoguerra, la seconda più grave sciagura nel suo genere dei tempi moderni. Era un lembo di ricordo collettivo eppure è stato a lungo sul punto di diventare un supermercato. Ora è chiaro che non succederà più. L’Unesco l’ha riconosciuto, insieme con altri tre siti minerari della Vallonia, patrimonio dell’umanità, come il centro storico di Firenze o Mont Saint-Michel. E l’ha salvato per sempre dalla speculazione.

Il carbone al Cazier non lo estraggono dal 1967. Dalla fine del conflitto sono stati 140 mila gli italiani venuti in Belgio per scavare sino a mille e passa metri nel sottosuolo. I loro posti di lavoro venivano scambiati per carbone da importare, 200 chili al giorno per emigrato, e col tempo s’è scoperto che il prezzo imposto dalle autorità di Bruxelles (nazionali) non era poi così conveniente. Era la ricchezza del Paese eppure, una volta chiusi gli impianti, c’era chi era pronto a dimenticare.

«All’ inizio degli Anni 90 le strutture della miniera erano in stato di totale abbandono», racconta Maria Laura Franciosi, autrice di un libro («Per un sacco di carbone») che ha contributo molto a sensibilizzare l’opinione pubblica. I minatori in pensione e i loro eredi si sono battuti perché la storia non finisse. Oggi il sito nei pressi di Charleroi è un museo sull’industria d’antan, oltre che un toccante memoriale. Jean-Louis Delaet, direttore del centro e promotore della campagna Unesco, lo definisce «luogo di confluenza culturale che ha assimilato scambi di tecnologie e apporti di conoscenze umane di origine assai diversa». Un luogo vivo, senza dubbio. Adesso ancora di più.


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