Storia e Memoria. La Marcinelle americana...

WEST VIRGINIA. MONONGAH. L’alba era fredda ma limpida, la mattina del 6 dicembre 1907 ... Nel 2006 la FILEF ha realizzato l’unico film-documentario disponibile su questo evento - a cura di Federico La Sala

Alle dieci e mezza i muri di tutti gli edifici di Monongah vibrarono spaventosamente. I tram deragliarono. Le miniere 6 e 8 erano esplose, trasformando chilometri di caverne in un inferno...
giovedì 6 dicembre 2007.
 

Monongah

La Marcinelle americana

Alle dieci e mezza i muri di tutti gli edifici di Monongah vibrarono spaventosamente. I tram deragliarono. Le miniere 6 e 8 erano esplose, trasformando chilometri di caverne in un inferno: il più grande disastro della storia mineraria americana

da New York Elena Molinari

L’alba era fredda ma limpida, la mattina del 6 dicembre 1907, e gli uomini - alcuni poco più che bambini - che si avviavano a gruppetti dalle case di Monongah, nel West Virginia, verso le miniere ai piedi delle colline erano più animati del solito. Il giorno prima il paese, a stragrande maggioranza cattolico, aveva festeggiato in anticipo la ricorrenza di san Nicola e le miniere erano rimaste chiuse. Una rara pausa che molti avevano passato stanando conigli o scacciando i pensieri alla taverna locale. Ma alle 5 e mezza di mattina erano già in cammino, lampade ad olio appese ai caschetti e picozze in spalla, verso l’entrata dei budelli dove per dodici ore avrebbero strappato alla terra il carbone che doveva tenere calda e in movimento l’America.

Qualche storia dell’epoca racconta che verso metà mattina tre uomini tornarono in superficie per sostituire parti del loro equipaggiamento. Ma nei cunicoli delle miniere numero 6 e numero 8, collegate sottoterra da uno stretto tunnel, sopra ad un ponte sul fiume West Fork, rimanevano ufficialmente 358 uomini.

In realtà erano molti di più. Si dice almeno il doppio, perché quasi tutti i dipendenti della Fairmont Coal Company erano soliti portarsi un apprendista, spesso un figlio o un nipote, che li aiutasse in cambio di qualche spicciolo. Alle 10 e mezza i muri di tutti gli edifici di Monongah vibrarono spaventosamente. I tram deragliarono. I passanti si trovarono per terra mentre una densa nube nera cominciava a discendere sulla cittadina. Le miniere 6 e 8 erano esplose, trasformando chilometri di caverne in un inferno di fiamme e gas letali. Il più grande disastro della storia mineraria americana si era consumato in pochi secondi, avviando una catena di eventi che si estenderà per un secolo, fino ai giorni nostri. Non ci volle molto ai lavoratori delle altre miniere e agli abitanti della città accorsi alla collina a cogliere la portata dell’orrore.

Le bocche delle miniere emettevano un alito così pestilenziale che i soccorritori, sprovvisti di maschere antigas, potevano addentrarvisi solo per pochi metri, e mai più di quindici minuti per volta. Nel giro di poche ore, inoltre, cominciarono ad emergerne alte fiamme, che resero impossibile prestare alcun aiuto agli eventuali superstiti.

Quello che la terra rigurgitò, nei giorni successivi, furono solo corpi. Bruciati, dilaniati, difficili da riconoscere. Stesi in bare di fortuna, vennero allineati prima nelle due chiese cattoliche della città, poi nell’atrio di una banca, quindi lungo la via principale. Fra una e l’altra si muovevano ansiose decine di donne con due, tre bambini per mano o in braccio, recitando preghiere o esplodendo in espressioni di sconforto in italiano, polacco, russo o armeno. Il bilancio ufficiale, sicuramente incompleto, contò 171 italiani fra i defunti, tutti emigrati da paesi calabresi, abruzzesi e molisani come San Giovanni in Fiore, San Nicola dell’Alto, Falerna, Gizzeria, Civitella Roveto, Duronia, Civita d’Antino, Canistro e Torella del Santo. A turni, i minatori ricevettero le estreme esequie nella vecchia chiesa di San Stanislao o alla Nostra Signora di Pompei, dove il 10 dicembre il vescovo della vicina Wheeling, Patrick J. Donahue, celebrò uno dei tanti funerali di massa. Per la cittadina e i suoi tremila abitanti, però, piangere e seppellire i morti fu solo l’inizio di una dolorosa lotta per la sopravvivenza.

Consci delle loro responsabilità - e delle pessime condizioni di sicurezza in cui i loro dipendenti erano costretti a lavorare - i proprietari della Fairmont Coal Company fornirono per settimane cibo, vestiti e combustibile agli oltre millecinquecento orfani e vedove.

Lo Stato del West Virginia rimase invece perlopiù a guardare, mentre nascevano organizzazioni di beneficenza private. Il 27 dicembre duemila giornali americani pubblicarono contemporaneamente un appello a nome della città di Monongah. In breve centocinquantamila dollari - una fortuna all’epoca - si riversarono sul paese e vennero distribuiti ai bisognosi o accumulati in fondi per gli orfani. Intanto rimanevano ignote le cause del disastro e ci vollero al Congresso degli Stati Uniti sei mesi per istituire una commissione d’inchiesta. Le sue risposte non furono mai conclusive, salvo individuare, come aveva scritto il New York Times meno di due settimane dopo la tragedia, la mancanza di regole chiare e adeguate per l’attività minatoria. Ma gli americani dovette aspettare fino al 1910, e assistere nel frattempo ad altri devastanti disastri, per vedere la nascita di un Bureau nazionale delle Miniere. Nel frattempo Monongah era sopravvissuta. Altri immigrati erano arrivati a rimpiazzare i defunti. Gli anniversari della tragedia passarono infatti uno dopo l’altro, senza che un monumento sorgesse sulle rive del West Fork River in onore delle centinaia di uomini periti in una limpida mattina di dicembre.

Dovranno passare quasi cinquant’anni prima che un sacerdote nato in Massachussetts, senza radici italiane né polacche e con alle spalle dieci anni di missione in Giappone, scuotesse dall’inerzia la cittadina con la sua determinazione. Everett Francis Briggs arrivò a Monongah nel Natale 1956 e subito si appassionò alla storia dei minatori scomparsi. In meno di un anno organizzò solenni celebrazioni per il cinquantesimo anniversario e stabilì un comitato per la creazione della Casa di riposo per anziani Santa Barbara in memoria della tragedia - un’idea che gli eredi dei minatori defunti avevano incoraggiato per anni. La Casa aprì le porte nel ’61. Ma padre Briggs non si fermò lì.

Negli anni successivi scrisse articoli sulla tragedia, compreso uno sulla rivista Science in cui calcolava che il numero delle vittime del disastro era sicuramente superiore a cinquecento. E ricercò le origini dei minatori defunti, un’attività che nel 2004 gli valse la nomina a cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà italiana. Lo stesso anno i sindaci dei comuni italiani dai quali erano partiti i minatori si recarono nella cittadina per piantare una croce nel cimitero in memoria di quei morti senza nome. Nel frattempo padre Briggs aveva deciso di passare i suoi ultimi giorni nella casa di riposo Santa Barbara, dove morirà il 20 dicembre 2006.

Non prima però di aver visto innalzato un monumento in marmo di Carrara alle mogli e alle madri dei minatori scomparsi, che volle chiamare: «All’eroina di Monongah».

* Avvenire, 25.11.2007


Foto - "Ansa": Le bare allineate con le salme dei minatori della miniera di Monongah

Sull’argomento, in rete, si cfr.:

MONONGAH - SPECIALE "ANSA"

Disastro di Marcinelle (Wikipedia)

Disastro di Monongah (Wikipedia)

La tragedia di Monongah (Emigrati.it)



Monongah - La Marcinelle Americana *

-  Il 6 dicembre ricorre il centenario della tragedia mineraria di Monongah, nel West Virginia (USA), ove perirono oltre 950 minatori di cui oltre 450 emigrati italiani.
-  Nel 2006 la FILEF ha realizzato l’unico film-documentario disponibile su questo evento.

"Monongah, la Marcinelle americana", ripercorre attraverso la storia della famiglia Basile, partita dall’Abruzzo, lo sradicamento e il difficile travaso nella società americana, permettendo agli spettatori di riflettere sulle tante croci che ancora oggi aspettano un nome e un volto e sulle quali vi è scritto: "qui giace un eroe".... eroe del sogno americano che molti hanno vissuto nel buio delle miniere e in condizioni di sfruttamento impressionante. Ed è impossibile, vedendo questo film che narra tra l’altro l’epopea del viaggio dei nostri migranti attraverso l’oceano atlantico, non ritornare alle immagini quotidiane delle migliaia di nuovi immigrati morti cento anni più tardi nel nostro mediterraneo alla ricerca del "sogno italiano".

-  Silvano Console
-  Editrice Filef - 2006

Cortesia di FILEF - Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie

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* Comunicazioni Arcoiris TV


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