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Pianeta Terra. Eu-ropa....

SHOAH E RICORDO. ANNA FRANK. "El Diario de Ana Frank, un Canto a la Vida": un musical, al Teatro Calderon di Madrid (dal 28 febbraio) - a cura di Federico La Sala

Il produttore: "Ho promesso a mio figlio di onorare la memoria di un simbolo della lotta alla xenofobia e per i diritti dei bambini".
domenica 6 gennaio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] "Questa versione rispetta il messaggio di tolleranza, insito nella tragedia, che a noi interessa tener vivo" spiega Jan Eric Dubbelman, capo del Dipartimento internazionale della Anne Frank Foundation in un’intervista al quotidiano spagnolo El Pais, motivando così la decisione del via libera al musical. "Il fatto, poi, che sia in lingua spagnola - aggiunge - può contribuire a far conoscere la figura di Anna Frank al mondo latinoamericano, una comunità che ha sempre dimostrato grande (...)

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> SHOAH E RICORDO. --- L’Introduzione di Zygmunt Bauman alla «Lettera ai figli» di Anna Hyndráková, deportata da ragazzina ad Auschwitz

lunedì 23 gennaio 2012

Spogliati della propria umanità

di Zygmunt Bauman (Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2012)

      • Anticipiamo l’introduzione di Zygmunt Bauman al libro «Lettera ai figli» di Anna Hyndráková, deportata da ragazzina ad Auschwitz (Medusa, Milano, pagg. 120 €, 11,00)

Ognuna delle sei milioni di vittime del più grande genocidio dell’umanità aveva una storia da raccontare. Una storia raccapricciante, orripilante: una storia di umana disumanità verso esseri umani. Pochi, tra coloro che attraversarono quell’inferno, ebbero la possibilità di mettere per iscritto la loro storia, pochi seppero trovare parole adatte per descrivere orrori che il linguaggio umano non era pronto a rappresentare. Ancor meno numerosi furono coloro che riuscirono a consegnare le loro storie scritte a chi più che mai aveva e ha bisogno di ascoltarle: le generazioni post-Olocausto, ossia quelle generazioni che si trovarono gravate dall’onere di apprendere e trasmettere a loro volta ai propri figli la lezione di ciò che può fare la disumanità degli esseri umani quando è libera e senza controllo, oppure, ma è ancor peggio, quando è posta al servizio delle più vili, abiette e malvagie intenzioni. Tra coloro che riuscirono in questa impresa, e che contribuirono a far sì che i loro figli potessero sostenere quell’onere, vi fu anche Anna Hyndráková-Kovanicová.

Pienamente consapevole dell’importanza di quel che faceva, cercando di conservare ricordi che altrimenti sarebbero stati destinati a seguirla nella tomba, ella diede alla sua storia la forma di una Lettera ai figli... . La sua testimonianza è di inestimabile valore, per lo meno (o forse a maggior ragione) nella misura in cui chi è nato nel mondo post-Olocausto ha non poche difficoltà a immaginarsi il mondo che ella descrive e che testimonia.

L’inizio dell’orrore coincide sempre con un venir meno dell’umanità: un vuoto che si va ingrandendo e che si condensa sempre di più, sino a divenire palpabile come una nebbia che ammanta chi, con marchio infamante, si ritrova escluso dal consorzio umano, anticamera della distruzione. «Molte persone smisero di conoscerci: quelle più oneste guardavano dall’altra parte facendo finta di non vederci, soltanto pochissime persone avevano il coraggio di rischiare e ci salutavano per strada, anche solo con un cenno del capo». Questo muro apparentemente invisibile, ma quanto mai reale, di separazione spirituale si dimostrò avere effetti non meno devastanti rispetto ai muri di mattoni, cemento e filo spinato, sfacciatamente imponenti, duri e impenetrabili: «Quanto più a lungo uno restava lì», in quel luogo abbandonato dall’umanità, «tanto meno assomigliava a un essere umano».

Janina Bauman (moglie del sociologo, scrittrice polacca, morta a Leeds nel 2010, ndr), un’altra donna sopravvissuta agli orrori del l’Olocausto, notò nelle sue memorie che il compito più difficile per lei e per chi le stava intorno era «restare umani in condizioni disumane». Anna Hyndráková- Kovanicová spiega perché: i prigionieri di un mondo inumano si trovano costretti a guardarsi l’un l’altro con diffidenza angosciosa, le vessazioni e le umiliazioni cui sono sottoposti li spogliano, strato per strato, dell’armatura morale che protegge la loro umanità. «Se avessero conservato un po’ di umanità, forse non sarebbero sopravvissute a lungo in quelle condizioni».

Occorre leggere e rileggere queste testimonianze, e non bisogna chiedersi per chi suoni quella particolare campana. Essa suona per noi, che a nostra volta ci troviamo in un mondo non meno disumano. Noi, che abbiamo il compito di togliere la disumanità dal mondo, per la nostra salvezza, nostra e dei nostri figli dei figli dei nostri figli.


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