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Messaggio eu-angelico. In principio era il Logos - non il "logo" ... e nemmeno il "van-gelo"!!!

L’ITALIA, "LA SAPIENZA", "BONIFACIO VIII", E IL "PAPA-DAY" IN PIAZZA S. PIETRO. IL PAPA, I CARDINALI, LA TEORIA DELLA "DOPPIA TESTA" E LA PRATICA DELLA "LINGUA BIFORCUTA". FINIAMOLA CON QUESTA "STORIA"!!! - a cura di pfls

Il magistero di Dio-Amore ("charitas") è diventato il magistero di Dio-Mammona ("caritas")?! Un tragico "lapsus" (Sigmund Freud) più che millenario .... contro la "divina commedia" (Dante Alighieri).
giovedì 17 gennaio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il Papa non può imporre "ad altri in modo autoritario la fede", ma può mantenere "desta la sensibilità per la verità": così spiega Benedetto XVI, nel discorso che avrebbe dovuto tenere domani all’Università della Sapienza [...]
PER UN RI-ORIENTAMENTO TEOLOGICO-POLITICO E
ANTROPOLOGICO!!!
LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA FALSA "CARTA" DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006).
[...] Il Cardinale vicario Camillo Ruini ha oggi invitato tutti i fedeli e i cittadini (...)

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> L’ITALIA, "LA SAPIENZA", "BONIFACIO VIII", E IL "PAPA-DAY" IN PIAZZA S. PIETRO. IL PAPA, I CARDINALI, LA TEORIA DELLA "DOPPIA TESTA" E LA PRATICA DELLA "LINGUA BIFORCUTA". FINIAMOLA CON QUESTA "STORIA"!!! - ----Un papa incompatibile con la ‘Sapienza’ (di Elio Rindone).

giovedì 22 maggio 2008

Un papa incompatibile con la ‘Sapienza’

di Elio Rindone *

L’università, se è luogo di libera ricerca e di confronto rispettoso non solo delle persone ma anche delle tesi sostenute dai vari interlocutori, è incompatibile con maestri che presumono di possedere essi soli la verità. E simili maestri, oltretutto, pare che non siano apprezzati neanche da Gesù di Nazaret che, stando a Matteo 23, 6-10, criticava gli scribi e i farisei che “amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘rabbì’ dalla gente".

La lettera dei 67 professori della ‘Sapienza’, che esprimevano al Rettore dell’Università la propria indignazione per l’invito rivolto al papa a intervenire all’inaugurazione dell’anno accademico, e le proteste annunciate per l’occasione da qualche centinaio di studenti sono state sufficienti al Vaticano per declinare l’invito, presentandosi come vittima di un’inaccettabile censura. I toni ossequiosi usati abitualmente da quasi tutti i politici e i giornalisti nei confronti della gerarchia ecclesiastica hanno evidentemente indotto Benedetto XVI a considerare intollerabile persino la contestazione di una sparuta minoranza critica. Eppure i motivi per giudicare decisamente poco opportuna l’iniziativa del Rettore non mancavano affatto.

Quell’invito, infatti, non pare giustificato dal prestigio dello studioso Joseph Ratzinger, uno dei tanti professori di teologia, forse neanche tra i più brillanti: se non fosse diventato papa, pochi si sarebbero accorti di lui al di fuori degli ambienti ecclesiastici. È la carica che riveste, dunque, che conferisce un peso rilevante alle sue parole, che del resto riecheggiano quotidianamente su tutti o quasi i mezzi d’informazione .......

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Il papa, infine, afferma di poter parlare anche ai non credenti ponendosi sul piano dell’argomentazione razionale: ‘come rappresentante di una ragione etica’, egli intende offrire ‘un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità’. Se il dialogo si svolge sul piano della ragione, perché gli studiosi, credenti o meno, dovrebbero rifiutarlo? Per un motivo semplicissimo: perché un vero confronto può realizzarsi solo tra soggetti che si riconoscono come ugualmente impegnati nella ricerca della verità e tutti disposti a mettere in discussione le proprie certezze. Non c’è invece alcuna possibilità di dialogo con chi ritiene che le proprie tesi siano incontestabilmente vere e che chi non le condivide attenta con ciò stesso alla dignità dell’uomo, essendo con tutta evidenza indotto in errore da una ragione non sufficientemente pura.

Purtroppo è proprio questa la posizione di Benedetto XVI. Egli infatti ha ribadito più volte quanto sosteneva nel 2002 come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e cioè che ci sono valori indiscutibili che non sono confessionali in quanto per essere riconosciuti non presuppongono la professione di fede cristiana, che la chiesa cattolica tuttavia ha il merito di confermare e tutelare sempre e dovunque. Ne consegue che le concezioni morali diverse da quella cattolica sono espressione di un pluralismo etico che testimonia la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge naturale (cfr. Nota Dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, nn 5 e 2).

Quindi l’intangibilità della vita umana dal concepimento al termine naturale, per esempio, per il papa non è una tesi opinabile ma una verità fondata sulla legge naturale. Ma come si fa a stabilire che si tratta di una verità e non di una semplice opinione, dal momento che, se è vero che alcuni pensatori portano argomenti a favore di questa tesi, è altrettanto vero che altri pensatori ne portano in senso contrario?

È a questo punto che Benedetto XVI getta sul piatto della bilancia il peso della sua autorità: vera è la tesi che appartiene a una lunga tradizione di saggezza morale, di cui il papa è in qualche modo il ‘rappresentante’. Questa mossa, però, sposta il livello del dibattito: non siamo più su un piano puramente razionale, in cui una tesi vale quanto valgono gli argomenti che la supportano. Siamo su un altro piano: infatti, per vedere proprio nel vescovo di Roma il custode di ‘un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche’ è necessario un atto di fede, e non una fede qualunque ma specificamente cattolica, e per giunta di tipo tradizionale.

Né sembra sufficiente a giustificare la fiducia nel papa quale garante della verità etica l’argomento per cui protagonisti del dibattito pubblico sono prevalentemente i partiti politici che, mirando a conseguire la maggioranza in parlamento, tendono a preoccuparsi più di interessi particolari da soddisfare che del bene oggettivo da salvaguardare, sicché “La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi”. Per riconoscere che i partiti sono mossi spesso dalla leva dell’interesse basta infatti l’uso della ragione, ma per credere che il Vaticano sia sempre mosso dalla sensibilità per la verità occorre una fede addirittura cieca!

In effetti, sebbene Benedetto XVI voglia far mostra di parlare in nome della ragione, la sua impostazione implica indubbiamente delle premesse che esulano dal piano razionale. Essa, infatti, presuppone una tesi che il papa dà per scontata ma che scontata non è: la fede cristiana, è ‘una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa’. Dietro quest’affermazione c’è evidentemente la dottrina del peccato originale, che avrebbe ferito la natura umana, sicché oggi l’uomo, facile preda dell’errore, può trovare soccorso, anche per quanto riguarda le verità naturali, nella rivelazione divina custodita dalla chiesa.

Ora, che la ragione umana sia fallibile è assolutamente certo: la tesi, invece, che la fede risani i guasti di un’umanità segnata dal peccato originale - la cui storicità si basa del resto su una discutibilissima interpretazione della Bibbia - è tutta da dimostrare, e non pare che la storia della chiesa possa confermarla. Basti pensare a grandi teologi cattolici, come Tommaso d’Aquino, per i quali l’inferiorità della donna e la schiavitù sono realtà iscritte nella natura, o a papi come Innocenzo IV, che autorizzano nei tribunali dell’Inquisizione l’uso della tortura. Tali idee non sono certo sostenute oggi dal magistero ma non possono essere giustificate ricordando che i loro autori, la cui ragione era certamente purificata dalla fede, subivano i condizionamenti del loro tempo: bisognerebbe altrimenti riconoscere che simili condizionamenti potrebbero esserci anche oggi, con conseguenze devastanti per chi pretende di purificare la ragione altrui.

È evidente, in ogni caso, che l’idea che una ragione non animata dalla fede cattolica sia particolarmente esposta all’errore rende impossibile un confronto paritetico, e non solo con il pensiero laico, irrimediabilmente inficiato dal suo relativismo, ma anche con le altre religioni e persino con le altre confessioni cristiane. Del resto, la Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, firmata nel 2000 dal card. Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, afferma ciò esplicitamente. La parità vale per le persone ma non per le convinzioni, che non stanno affatto sullo stesso piano: “La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali”(n 22).

Alla luce di queste considerazioni, pare del tutto comprensibile l’inopportunità di offrire, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, una nuova tribuna per affermare le sue posizioni dogmatiche a un’autorità che ancora oggi, come scriveva Gilson riferendosi al medioevo, mira a instaurare ‘una vera teocrazia intellettuale’ e che, con sovrano sprezzo del ridicolo, nel corso dell’Angelus del 20 gennaio a piazza S. Pietro, ha avuto il coraggio di invitare i «cari universitari ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare [...] la verità e il bene».

L’università, se è luogo di libera ricerca e di confronto rispettoso non solo delle persone ma anche delle tesi sostenute dai vari interlocutori, è incompatibile con maestri che presumono di possedere essi soli la verità. E simili maestri, oltretutto, pare che non siano apprezzati neanche da Gesù di Nazaret che, stando a Matteo 23, 6-10, criticava gli scribi e i farisei che “amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘rabbì’ dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo”.

www.italialaica.it (15-5-2008)

* Per leggere l’intero articolo, cliccare qui-> sul rosso, Il Dialogo, Giovedì, 22 maggio 2008


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