E l’attore presenta "Binario 21" uno spettacolo dal poema di Yitzhak Katzenelson che ora è diventato libro +dvd
Ovadia: urlo di dolore, dai lager a Rosarno
di Anna Bandettini (la Repubblica, 22.01.2010)
ROMA. «È un poemetto in 17 canti che per lucidità, rabbia, disperazione non è paragonabile a nessun altro. È un urlo che incarna la tragedia vissuta dagli ebrei nel suo svolgersi, senza infingimenti. E senza speranza. È una cosa che squassa l’anima. Un grido di dolore che oggi è contro tutti i genocidi. Da Auschwitz a Rosarno». Moni Ovadia torna a parlare di Olocausto: inevitabile per chi come lui, ebreo sefardita, ha nei confronti delle proprie radici e della propria storia un sentire particolare, la conoscenza e l’emozione giusti per capirla, per farne un monito contro i razzismi di oggi.
Lo fa con l’oratorio Binario 21. Il canto del popolo ebraico massacrato, tratto dall’omonimo poema di Yitzhak Katzenelson, che ora ha trasformato (per la Promomusic) in un libro e un dvd molto speciale perché vi si vedrà la registrazione, a firma di Felice Cappa, dello spettacolo in un luogo simbolo come il binario 21, il luogo della Stazione Centrale di Milano dove gli ebrei italiani partivano per essere deportati nei lager e dove il 26 gennaio, vigilia della Giornata della Memoria, verrà posta la prima pietra del Memoriale della Shoa. Non solo: lo spettacolo è stato registrato davanti a una sola spettatrice, Liliana Segre, «testimone unica - spiega l’attore - perché Liliana è una donna che ha attraversato quell’inferno», spiega.
E "quell’inferno" in Binario 21 è descritto in un oratorio duro e senza redenzione, carico di rabbia, pieno di dolore. Katzenelson, che era stato un intellettuale socialista, vivace animatore della vita culturale polacca, lo maturò proprio durante la Resistenza nel ghetto di Varsavia, dove perse moglie e figli. «Fu fatto fuggire proprio per raccontare al mondo la vita lì dentro, cosa vi succedeva. Scrisse in Francia questo poema, unico perché è la voce di un testimone simultaneo della tragedia. Quando fu poi arrestato, si dice, che prima di morire ad Auschwitz, seppellì il suo poema nei pressi di un albero. È l’ultimo Giobbe della storia dell’umanità», dice Ovadia.
«Questo oratorio per me è un monito: voglio farmi testimone per far sì che il giorno della Memoria non diventi il giorno della falsa coscienza, di chi visita Auschwitz e poi deporta gli africani. L’Olocausto riguardò milioni di slavi, rom, sinti oltre che di ebrei. Guai a togliere alla Shoa il suo valore universale. Io voglio cantare la grande battaglia che toccò agli ebrei per tutti quelli che subiscono altri genocidi, per quanti ancora oggi sopportano la malapianta dell’intolleranza. Da Auschwitz a Rosarno».