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27 GENNAIO 1945. GIORNO DELLA MEMORIA...

SHOAH. MILANO: "BINARIO 21". PER NON DIMENTICARE. Cortometraggio del 2004, con l’interpretazione-testimonianza di Liliana Segre .... e alcune pagine dal libro di Bruno Segre.

domenica 27 gennaio 2008 di Maria Paola Falchinelli
Il Giorno della Memoria sul web
Il 28 gennaio, a partire dalle ore 10:30, il nostro sito * trasmetterà in diretta la testimonianza di Liliana Segre e il concerto degli allievi del Conservatorio ....
Binario 21
Il cortometraggio è stato patrocinato dalla Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research e dalla Regione Lombardia (Assessorato alle Culture Identità e Autonomie).
Produzione: Andrea Jarach - Le Isole del Tesoro indirizzo email (...)

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> SHOAH. MILANO: "BINARIO 21". PER NON DIMENTICARE. ---- QUESTO E’ UN PAESE CON LA MEMORIA CORTA. Il viaggio di Liliana Segre non è ancora finito. Anche se oggi ha ottant’anni (di fabio Poletti - La bambina del binario 21).

mercoledì 27 gennaio 2010

La bambina del binario 21

di Fabio Poletti (La Stampa, 27 gennaio 2010)

Il viaggio di Liliana Segre non è ancora finito. Anche se oggi ha ottant’anni, i capelli candidi, gli occhiali che le danno un’aria da anziana signora finalmente in pace, si sente ancora «la nonna di me stessa», come racconta nel film di Andrea Jarach «Binario 21».

Su quel binario nei sotterranei bui della stazione Centrale, a Milano, dove per decenni sono rimaste assopite coscienze insensibili a offese mostruose, Liliana Segre è tornata ieri. E anche se non era la prima volta, per lei, è stata un’occasione speciale. C’è venuta per inaugurare quel monumento, si spera inchiodato per sempre a un binario morto - un vagone piombato, il filo spinato là in alto -, che ricorda quelli che non tornarono da Auschwitz e i troppi che nei campi vennero deportati partendo dalla stazione di marmo lucido che Mussolini volle a dimostrare la «grandezza dell’Impero».

Era una bambina, Liliana Segre, quando partì. Aveva tredici anni e non sapeva ancora che essere ebrea, anche se italiana, fosse una colpa grave. Su quel treno, il 30 gennaio 1944, erano in seicentocinque. Quattrocentosettantasette tra i quali suo padre furono uccisi all’arrivo ad Auschwitz.

Altri 108 morirono prima della liberazione e dell’arrivo dei russi. Alla fine della guerra torneranno in venti. Troveranno per anni porte chiuse, insensibili al dolore e alla memoria. La prima stesura del libro di Primo Levi «Se questo è un uomo» venne rifiutata dagli editori. Liliana Segre aspetterà cinquant’anni, prima di farsi «memoria» da sé.

«Oggi al binario 21 ho chiesto a tutti che si alzassero in piedi. Non volevo che onorassero solo chi, come me, è sopravvissuto ai campi. Volevo che si ricordassero di quelli che non sono più tornati. Sono arrivata a ottant’anni per vedere questo momento. Spero di avere la forza di esserci anche tra due, quando sarà finito il monumento» dice lei, che si sente una voce tra tante: identica a quella che avrebbero avuto quei 6 milioni di deportati se fossero tornati a casa. Ebrei, antifascisti, antinazisti, omosessuali, comunisti, prigionieri politici, zingari, onorati e finalmente ricordati con una legge voluta dal Parlamento solo nel 2000. Una legge che finalmente istituisce il 27 gennaio, data in cui vennero abbattuti i cancelli di Auschwitz, «Giorno della Memoria».

«Questo è un Paese dalla memoria corta. È sempre fastidioso fare i conti con il proprio passato. Per anni i libri di storia si sono fermati alla prima Guerra mondiale. Il silenzio è stata una costanza. L’indifferenza è molto peggio della violenza», dice oggi Liliana Segre. Parole simili a quelle usate per raccontare cosa accadde un giorno di dicembre, quando tradita da una guardia di confine svizzera che la ricaccia in Italia insieme al padre, venne reclusa a San Vittore nel braccio degli ebrei voluto dalle leggi razziali. Ricorda un giorno da bambina, Liliana Segre, nel libro scritto da Emanuela Zuccalà «Sopravvissuta ad Auschwitz»: «A calci e pugni fummo caricati su un camion e portati alla stazione Centrale. La città era deserta. I milanesi non provarono alcuna pietà per noi: restarono in silenzio dietro le loro finestre».

Adesso, invece, i milanesi ricordano. Nei sotterranei bui della stazione ci sarà un monumento per non dimenticare. Dal binario 21 ogni anno - e anche oggi - partono treni verso Auschwitz carichi di studenti delle scuole superiori. «Qualche volta sento dire che ci sono le “gite” ad Auschwitz. Io, quei viaggi, preferisco chiamarli pellegrinaggi. Sono utili, è chiaro. Ma un po’ mi dispiace quando sento che nel programma è compresa anche la discoteca la sera, perché la gita non diventi troppo pesante per i ragazzi».

Dopo cos’ha visto e vissuto, adesso che ha ottant’anni, Liliana Segre non ha più tempo per diplomatici giri di parole. Il vento dell’oblio non la tocca. Ma davanti a polemiche che ogni anno spuntano dal calendario e da memorie distorte si è fatta meno sensibile. Negare certe pagine del diario di Anna Frank perché troppo crude la scuote come la leggerezza di chi parla a vanvera di Olocausto: «Mi è capitato di leggere romanzetti in cui si raccontava di Auschwitz... Fare diventare di moda la Shoah è come negarla».

Solo ai negazionisti, agli ostinati che non credono a quell’orrore, Liliana Segre non vuole rispondere: «Non è importante quello che io penso di loro. Vorrei sapere cosa loro pensano di me. Cosa pensano di quella bambina che salì su un treno al binario 21 e che, di quel giorno, ricorda allora ogni immagine, ogni odore, ogni voce».


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