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27 GENNAIO 1945. GIORNO DELLA MEMORIA...

SHOAH. MILANO: "BINARIO 21". PER NON DIMENTICARE. Cortometraggio del 2004, con l’interpretazione-testimonianza di Liliana Segre .... e alcune pagine dal libro di Bruno Segre.

domenica 27 gennaio 2008 di Maria Paola Falchinelli
Il Giorno della Memoria sul web
Il 28 gennaio, a partire dalle ore 10:30, il nostro sito * trasmetterà in diretta la testimonianza di Liliana Segre e il concerto degli allievi del Conservatorio ....
Binario 21
Il cortometraggio è stato patrocinato dalla Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research e dalla Regione Lombardia (Assessorato alle Culture Identità e Autonomie).
Produzione: Andrea Jarach - Le Isole del Tesoro indirizzo email (...)

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> SHOAH. MILANO: "BINARIO 21". --- Per la prima volta don Giovanni Barbareschi, 90 anni, prete partigiano e antifascista, «Giusto tra le nazioni» per aver contribuito a mettere in salvo oltre duemila ebrei perseguitati, prigionieri alleati e antifascisti italiani, ieri alle 18 ha messo piede nei sotterranei della stazione Centrale. E al Binario 21, dove si sta realizzando il Memoriale della Shoah, ha incontrato Liliana Segre (di Paola D’Amico)

martedì 31 gennaio 2012

Shoah, don Barbareschi: innamoratevi della libertà di Paola D’Amico in “Corriere della Sera” - Milano - del 31 gennaio 2012

«Sono un prete di Milano, un prete vecchio, ma non ho ancora accettato di essere un vecchio prete. A voi ragazzi dico: innamoratevi della libertà. Il primo atto di fede che un uomo deve fare è nella sua capacità di essere una persona libera». Per la prima volta don Giovanni Barbareschi, 90 anni, prete partigiano e antifascista, «Giusto tra le nazioni» per aver contribuito a mettere in salvo oltre duemila ebrei perseguitati, prigionieri alleati e antifascisti italiani, ieri alle 18 ha messo piede nei sotterranei della stazione Centrale. E al Binario 21, dove si sta realizzando il Memoriale della Shoah, ha incontrato Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione, ai campi di concentramento, e dal ’96, insieme ai giovani della Comunità di Sant’Egidio, «testimone» di quegli orrori. C’è silenzio e commozione nelle navate di cemento armato, ancora per metà cantiere, mentre parla don Barbareschi. Negli anni della guerra, spiega, «ho fatto solo quello che un uomo libero avrebbe fatto. Si deve essere liberi dentro per vivere ogni giorno da uomo». Lo ascoltano in silenzio i 400 ragazzi, studenti, insegnanti, scout raccolti nell’immenso spazio in costruzione.

E l’emozione continua nel canto di un musicista rom, Jovica Jovic, che richiama la memoria del Porrjamos, lo sterminio dei Rom e dei Sinti, rinchiusi, gasati e bruciati insieme alle migliaia di ebrei e ai deportati politici. «È il testamento di mio padre - spiegherà l’uomo, quando gli applausi che hanno accolto la breve performance si saranno spenti -. Lui, che a 16 anni finì in un campo di sterminio, compose questa canzoncina e, poi, sopravvissuto alla immensa tragedia continuò a cantarla. Suonava e piangeva. E a noi bambini che ignoravamo il dramma dell’Olocausto diceva: meglio che voi non sappiate cos’è la sofferenza. Ma io non posso dimenticare».

La commemorazione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, come da sedici anni in questo luogo, ben prima che fosse istituita la Giornata della Memoria, si trasforma in un grande momento di raccoglimento. Ci sono il rabbino emerito Giuseppe Laras, il presidente della Comunità ebraica Roberto Jarach, e il rabbino Alfonso Arbib, che scuoterà anch’egli la platea di oltre quattrocento persone qui raccolte, in piedi, al freddo. Racconta di quando il faraone per inseguire gli ebrei fuggiti dall’Egitto preparò da sé il suo carro. «L’odio folle distrugge l’andamento normale delle cose - ha spiegato Arbib -. Così l’impegno folle dei nazisti che andò oltre la razionalità». Di questo bisogna fare memoria sempre: «Per combattere l’antisemitismo bisogna riuscire ad agire sull’emozione, sui sentimenti. Ricordare che esiste un elemento irrazionale».

Canti, testimonianze, musica, applausi: il Memoriale non deve essere un museo ma un luogo vivo, avevano chiesto i promotori dell’opera. E la comunità di Sant’Egidio l’ha, infatti, trasformato in palcoscenico.


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