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Eu-ropa ed Eu-angelo - e sensibilità per la Verità. "Se sbaglio, mi coriggerete"(Karol J. Wojtyla - Giovanni Paolo II)

AL DI LA’ DELLA CONFUSIONE SUI VALORI NON NEGOZIABILI E DEI CONTINUI E CIECHI ATTACCHI ALLA COSTITUZIONE ITALIANA!!! LA FEDE SEGUE LA VERITA’ DELLA GIUSTIZIA (di Parmenide) E DELL’AMORE (di Gesù), NON DI "MAMMONA" NE’ DI "MAMMASANTISSIMA" (del "platonismo per il popolo" e di Papa Ratzinger) - del prof. Federico La Sala.

Un tragico "lapsus" (Sigmund Freud) più che millenario .... contro la "divina commedia" (Dante Alighieri)!!!
giovedì 7 febbraio 2008 di Maria Paola Falchinelli
FORZA “Deus caritas est”?! FORZA CARO-PREZZO?!
Altro che la Chiesa di Maria... - e Giuseppe!?
Questa è la Chiesa ... del “latinorum” e di "Mammona"!!!
Caro BENEDETTO XVI ...
Corra, corra ai ripari (... invece di pensare alle scomuniche)! Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (...)

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> AL DI LA’ DELLA CONFUSIONE SUI VALORI NON NEGOZIABILI E DEI CONTINUI E CIECHI ATTACCHI ALLA COSTITUZIONE ITALIANA!!! LA FEDE SEGUE LA VERITA’ DELLA GIUSTIZIA (di Parmenide) E DELL’AMORE (di Gesù), NON DI "MAMMASANTISSIMA" (del "platonismo per il popolo" e di Papa Ratzinger) - ---- Un libro dedicato al pensatore cattolico Gustavo Bontadini riapre la discussione sulla riflessione del suo maggior allievo, Emanuele Severino.

giovedì 13 marzo 2008

Filosofia

-  Un libro dedicato al pensatore cattolico Gustavo Bontadini riapre la discussione sulla riflessione del suo maggior allievo
-  Severino: la mia autodifesa

Nietzsche e i credenti uniscono Essere e Nulla. Io riparto da Parmenide

di Emanuele Severino(Corriere della Sera, 12.3.08)

Nietzsche crede che ad eccezione di Eraclito e di lui stesso tutti i filosofi si siano posti al seguito di Parmenide. Appunto per questo intende operare il «superamento dei filosofi ». E Karl Popper - filosofo della scienza e promotore del rinnovamento del neopositivismo logico - ritiene a sua volta che la maggior parte dei grandi fisici del nostro tempo (Boltzman, Minkowski, Weil, Schrödinger, Gödel, Einstein) si muovano sostanzialmente nell’ambito del pensiero parmenideo; sebbene a sua volta propenda per una interpretazione non parmenidea del mondo fisico, come quella di Heisenberg. Platone chiamava Parmenide «venerando e terribile», come un dio. E l’unico strappo di Aristotele al proprio sempre misurato linguaggio riguarda Parmenide: le sue dottrine, dice, sono «follie».

Ma le cose non stanno così. Tutti i filosofi, dopo Parmenide, hanno mirato a «superarlo»; la logica dei fisici non ha nulla a che vedere con il suo pensiero, la cui potenza è stata sempre, in ogni campo, misconosciuta. Sono più di cinquant’anni che vado mostrandolo. Molto pochi, se si tien conto della posta in gioco.

È uscito ora, pubblicato da Vita e Pensiero, Bontadini e la metafisica, il volume degli atti del Congresso tenutosi a Venezia per il centenario della nascita del mio indimenticabile maestro, tra i maggiori pensatori del nostro tempo e cattolico. Anche la maggior parte degli autori del volume (circa seicento pagine) sono cattolici; ma molti di essi si rammaricano che - quanto al tratto filosofico essenziale - nell’ultima fase della sua vita il maestro dell’Università Cattolica sia venuto «dalla mia parte» (se vogliamo usare, per far presto, questa pessima e impropria espressione). Ho apprezzato il Cardinale Scola, allievo di Bontadini e anche mio, che invece nella tavola rotonda a cui partecipammo, pur dissentendo da quel tratto essenziale con competenza e modestia, ha evitato di rammaricarsi. Il gran tema è comunque, anche qui, la misconosciuta potenza del pensiero parmenideo.

Mi sembra quindi molto importante la posizione di Erwin Tegtmeier, già collaboratore di Habermas e di Albert. Dalla fine degli anni Novanta egli percepisce l’irripetibile potenza del pensiero di Parmenide. In Scenari dell’impossibile - un recente libro a più voci e di grande interesse, che per molti aspetti mi riguarda - Tegtmeier presenta un saggio intitolato Il problema del divenire in Parmenide e la sua soluzione.

Agli inizi degli anni Ottanta era uscita in Germania, presso Klett-Cotta, la traduzione del mio libro Essenza del nichilismo, al cui centro sta lo scritto intitolato Ritornare a Parmenide, del 1964, a partire dal quale è incominciata la pluridecennale discussione tra Bontadini e me. Tegtmeier si muove nell’ambito dell’ontologia analitica contemporanea di matrice anglosassone, ma anche per lui la negazione parmenidea del divenire è rimasta inconfutata ed è inconfutabile - quando invece è convinzione comune che già Platone e Aristotele avessero definitivamente chiuso i conti con Parmenide. Perché niente di meno di questo si tratta: Parmenide mostra che «ciò che è», l’«essente », non può provenire dal «non essente» e nel «non essente» non può dissolversi; e poiché il mondo è l’apparire dell’incominciare ad essere e del cessare di essere, da parte delle cose, le cose del mondo non possono essere degli «essenti» e il loro apparire è solo illusione.

Il pensiero essenziale - tanto più avvolto da nubi impenetrabili e tanto più lontano dalle nostre abitudini concettuali, quanto più esso è luminoso, semplice e vicino - è quello in cui appare l’impossibilità che l’«essente » esca dal niente e vi faccia ritorno: quello in cui appare il perché di questa impossibilità. Possiamo indicare così questa oscura semplicità: se l’«essente» provenisse da un passato in cui esso non è (ossia è niente) e andasse in un futuro in cui esso torna a non essere, allora, in assoluto, l’«essente» sarebbe «non essente» cioè non sarebbe «essente». Stando al comune modo di pensare possiamo affermare che, in assoluto, la casa non è casa, la stella non è stella, l’albero non è albero? No - si risponde subito. Ma allora non si può nemmeno affermare che l’«essente» non sia «essente» - anche se in questo modo ci si avvia lungo un cammino che porta molto lontano dal comune modo di pensare, cioè al luogo i cui appare che l’«essente» è eterno.

Mi sembra però che Tegtmeier sostenga sì l’opposizione tra l’«essente» e il «non essente » (cioè sostenga che l’«essente» non è il «non essente»), ma poi la lasci di fatto valere come un semplice postulato, nel senso dei postulati da cui procedono ad esempio la logica, la matematica, la fisica e che ormai esse stesse (almeno nelle loro forme più evolute) non considerano più come verità innegabili. E invece quell’opposizione non è un semplice postulato, un dogma, una fede.

La fretta con cui si risponde «no» alla domanda se la casa sia non casa, o la stella sia non stella, è soltanto la volontà che le cose stiano così. All’interno di quella fretta, il «principio di non contraddizione» (che appunto afferma in generale l’opposizione tra ogni cosa e ciò che è altro da essa) è soltanto la volontà che la realtà non sia contraddittoria. Se ci si ferma a questa volontà si capisce perché Nietzsche giunga ad affermare che i «supremi principi» della conoscenza umana (quale, appunto, il «principio di non contraddizione») sono soltanto degli «imperativi» che, certo, servono a vivere, ma che certamente non sono verità innegabili.

Intendo dire che l’opposizione tra l’«essente » e il «non essente» è come una stella che stia al centro del cielo, che però non ha il buio attorno a sé, ma brilla insieme alle altre stelle. Per restare in questa metafora (che dunque dice ben poco intorno a ciò a cui essa accenna), solo guardando il firmamento - cioè andando oltre Parmenide in modo essenzialmente diverso da come il pensiero dell’Occidente ha creduto di andare oltre di lui -, è possibile vedere che l’opposizione tra l’«essente» e il «non essente» non è semplicemente un postulato, un dogma, una fede, un «imperativo».

Il firmamento corrisponde, al di fuori della metafora, a ciò che nei miei scritti è chiamato «struttura originaria del destino della verità». Questa struttura mostra (ma anche qui si tratterebbe di vederlo in concreto) che le cose del mondo non possono essere illusione, ma sono «essenti», e dunque sono eterne, tutte; sì che il loro variare non può essere inteso come il loro provvisorio sporgere dal nulla, ma come il comparire e lo scomparire degli eterni. Il «destino della verità» sta al di là di tutto ciò che si è pensato intorno alla verità e al destino, ma non è una «dottrina» inventata da qualcuno, sia pure egli un Dio, ma è il firmamento che da sempre appare nel più profondo di ognuno di noi.

In base alla fede nella creazione e annientamento delle cose Nietzsche ha argomentato l’impossibilità di ogni Dio. E rispetto agli amici di Dio, che condividono questa fede, la sua argomentazione è irrefutabile. (In base a questa stessa fede Nietzsche ha argomentato, anche qui in modo irrefutabile, la necessità dell’«anello del ritorno», l’«eterno ritorno» di tutte le cose). Amici e nemici di Dio hanno in comune quella fede che, essa sì, è l’autentica ed estrema follia. Ma anche nel più profondo del loro cuore brilla il firmamento del destino. Vicinissimo e insieme lontanissimo da esso, Parmenide lo chiama «il cuore, non tremante, della ben recintata verità».

*

Emanuele Severino (Brescia 1929, nella foto), fu allievo di Bontadini. Nel 1962 diventa docente all’Università Cattolica e due anni dopo esce il suo «Ritornare a Parmenide», che provoca il suo allontanamento. Ha poi insegnato a Venezia e al San Raffaele di Milano Bibliografia. Allievi e seguaci del teorico italiano

Tra i numerosi libri e saggi, senza contare centinaia di siti in rete, che recentemente si sono riferiti al pensiero di Emanuele Severino ricordiamo, in relazione a questo suo articolo, la raccolta-omaggio di saggi Le parole dell’essere. Per Emanuele Severino, a cura di Petterlini, Brianese e Goggi (Bruno Mondadori, 2006, pp. 718, e 40.00). Né va dimenticato che lo storico tedesco Thomas Sören Hoffmann nel suo saggio Filosofia in Italia (Mariverlag, 2007, pp. 400, e 18) ha considerato Severino il solo pensatore degno di rilievo nel nostro Paese dopo Vico. Severino e la sua filosofia sono inoltre presenti in: Bontadini e la metafisica, a cura di Carmelo Vigna (Vita & Pensiero, 2008, pp. 584, e 35); Scenari dell’impossibile, La contraddizione nel pensiero contemporaneo, a cura di Francesco Altea e Francesco Berto (Il Poligrafo, 2007, pp. 308, e 25); Verità e prospettiva in Nietzsche, a cura di Francesco Totaro, (Carocci, 2007, pp. 230, e 20,50). Inoltre ha trattato l’argomento Salvatore Natoli, La mia filosofia (Edizioni ETS, 2007, pp. 136, e 12,00).

Tra i volumi usciti recentemente o in via di pubblicazione, e connessi ai temi di Emanuele Severino, vanno infine ricordati: Ines Testoni, La frattura originaria. Psicologia della mafia tra nichilismo e omnicrazia ( Liguori, 2008, pp. 356, e 25,50); Umberto Soncini, Il senso del fondamento in Hegel e Severino (è un saggio che vedrà la luce nel 2008). r.c.



DIBATTITI.

L’esistenza di Dio e il nulla: replica ad Emanuele Severino sui suoi rapporti con il pensiero cattolico e il suo maestro Bontadini

La disfida di Parmenide

Un volume rilancia la querelle sulla rottura tra il filosofo e il grande pensatore della Cattolica, pioniere del ritorno alla metafisica

di MICHELE LENOCI (Avvenire, 13.03.2008)

E’ confortante che ogni tanto si richiami l’attenzione sulla te­matica metafisica e sulle fon­damentali questioni relative all’esse­re, al nulla, al divenire e al problema di Dio, con la pretesa di poterle af­frontare non solo attraverso metafo­re suggestive e persuasive, ma anche mediante argomentazioni stringenti e rigorose, giungendo a risposte uni­vocamente fondate, per la loro im­mediata evidenza o per l’impossibi­lità del contrario, e capaci, quindi, di rivelare i vincoli necessari che legano pensiero ed essere. E quando su que­sti temi ritorna, in un lungo articolo sul Corriere della sera di ieri, un filo­sofo come Emanuele Severino, che al loro sviluppo, in modo originale e coerente, ha dedicato l’intera sua ri­flessione, il richiamo diventa signifi­cativo, sul piano storico e su quello teoretico.

L’occasione è offerta da un volume che raccoglie gli atti di un Convegno veneziano, dedicato al pensiero di Gustavo Bontadini, nel centenario della sua nascita: vengo­no ripresi i momenti centrali di un dibattito, tuttora vivo, che, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, ha animato le aule della Cattolica, per poi estendersi e raggiungere oriz­zonti più ampi e interessi più vasti, anche se quasi sempre alternativi r­i­È spetto a quelli alla moda, paghi, que­sti, delle loro metaforiche debolezze.

Di Bontadini Severino è stato allievo, e lo ricorda sempre con affetto e sti­ma; così come entrambi, insieme con Sofia Vanni Rovighi, sono stati non dimenticati maestri di molti di noi, che in Cattolica abbiamo studia­to e adesso insegniamo.

Il richiamo alla differenza insupera­bile tra essere e nulla e all’impossibi­lità che l’essere non sia e il nulla sia, fin dal celebre saggio del 1964, costi­tuisce la base per quel ritorno a Par­menide, in virtù del quale Severino considera il divenire impossibile, perché contraddittorio. Ma, a diffe­renza dell’Eleate, non relega il molte­plice, cioè le cose del mondo, nell’il­lusione, facendo propria la lezione di Platone, e, inoltre, si propone di fon­dare l’eternità assoluta degli enti, di tutto ciò che è ed ha una qualche for­ma di essere, per quanto umbratile e lieve possa apparire.

Qui è stato il maggiore contributo di Severino: nel tentativo di rispondere alle obiezioni del suo maestro e dei molti interlo­cutori, egli ha sviluppato una pro­spettiva sistematica, sempre più am­pia, avvolgente e complessa, in cui cerca di rendere plausibile, perché fondata, la contemporanea ammis­sione dell’eternità degli essenti e del loro mutevole e cangiante apparire.

E qui sta anche il suo secondo con­tributo, quello su cui maggiore è sta­ta la disputa con Bontadini, e meno convincenti ancorché molto elabo­rate le sue risposte alle obiezioni: Se­verino ritiene che l’esperienza non attesti il divenire, cioè l’andare nel nulla o l’uscire dal nulla, ma solo l’apparire e lo scomparire degli enti: sicché ad affermare il divenire sareb­be solo una fede, una convinzione, condivisa da tutto l’Occidente, ma non per questo meno infondata e folle, giacché contraria alla legge del logos e, insieme, neppure attestata dall’esperienza.

Bontadini, che alla lezione dell’Eleate è sempre stato sensibile e attento, sin dagli anni Cinquanta, anche se in u­na prospettiva inizialmente diversa da quella del suo allievo, ha successi­vamente condiviso il principio par­menideo in senso forte, per cui l’es­sere non può annullarsi e divenire, ma ha sempre sostenuto che l’espe­rienza ci attesta un divenire come annullamento dell’essere, sia pure solo per un minimum, ritenendo che la distinzione tra non essere e non apparire, proposta da Severino, a un certo punto non sarebbe più so­stenibile. E proprio a questo mo­mento Bontadini dà avvio all’argo­mento dialettico per dimostrare l’esi­stenza di Dio, che tanto lo ha impe­gnato negli ultimi anni della sua ri­flessione e della sua esistenza: non sempre confortato, in ciò, dal con­senso di allievi e interlocutori. Ma per lui il passaggio è necessariamen­te richiesto ove si ammetta, insieme, il principio di Parmenide e si voglia­no ’salvare i fenomeni’, cioè ricono­scere l’attestazione empirica del di­venire: solo Dio, eterno e creatore, può colmare, nella sua infinita positi­vità, quel non essere che l’esperienza del divenire testimonia e che risulte­rebbe contraddittorio solo se fosse assolutizzato, cioè se non fosse in­scritto e risolto in quel più ampio contesto ontologico, in cui i conti, cioè la somma algebrica tra positivoe negativo, vengono finalmente pa­reggiati.

Si delinea una prospettiva ontologica assai diversa da quella scolastica e classica, cui pure Bontadini si richia­ma e che intende rigorizzare, e un poderoso tentativo per provare che l’affermazione del divenire non è so­lo una ’fede’, una convinzione folle, e, ciononostante, si può egualmente rimanere fedeli all’essere e al positi­vo; così egli, pur ammettendo l’an­nientamento delle cose, non ritiene irrefutabili le confutazioni che Nietz­sche rivolge all’Assoluto: anche qui concorde con Parmenide e Severino, ma, insieme, da loro radicalmente distante (e, del resto, quali radicali opposizioni non implicano anche, e sempre, essenziali e sottese solida­rietà?). Tuttavia, proprio in quegli an­ni, e successivamente, altre voci si sono levate per ricordare, che forse la distinzione tra ente ed essere e la sot­tolineatura dell’analogia dell’essere (del resto ben note a Severino) pote­vano offrire spunti per evitare una ’sostanzializzazione’ dell’essere, co­sicché la radicale opposizione tra es­sere e nulla non si trasferisse, imme­diatamente e necessariamente, in un’altrettanto radicale opposizione dell’ente (di ogni ente) al nulla, in modo da renderne contraddittorio il divenire. Ma qui si aprirebbe un altro capitolo, e forse un’altra storia.


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