In 150 mila nella piazza davanti all’ex Parlamento federale jugoslavo
Il premier arringa la folla: "La Russia è con noi". Poi scoppia la rivolta
Belgrado, assalto alle ambasciate
Un cadavere nella sede americana *
BELGRADO - Belgrado scende in piazza contro l’indipendenza del Kosovo. Protestano in centocinquanta mila, poi scoppia la rivolta. Alcune centinaia di estremisti attaccano l’ambasciata americana quando i comizi sono già terminati. Con bastoni e spranghe di ferro, spaccano due guardiole, danno fuoco alle bandiere Usa, lanciano sassi contro le vetrate. La sede diplomatica era chiusa e non difesa. In serata, la tv serba diffonde la notizia di un cadavere carbonizzato che sarebbe stato rinvenuto all’interno dell’edificio, anche se un portavoce dell’ambasciata esclude la presenza di personale durante gli incidenti.
La violenza dei nazionalisti ha avuto la meglio sulla polizia di Belgrado che non ha saputo evitare l’assalto. Scavalcato il muro di cinta ed entrati negli uffici, i rivoltosi hanno lanciato oggetti e suppellettili dalle finestre. Staccato lo stemma dell’ambasciata, hanno appiccato il fuoco davanti alla facciata mentre altri gruppi hanno preso di mira le sedi diplomatiche di molti dei Paesi favorevoli all’indipendenza del Kosovo.
Danni a finestre e bandiere sono segnalati da parte delle sedi diplomatiche di Turchia, Belgio, Croazia, Bosnia e Canada, oltre che degli Usa. L’ambasciata d’Italia è stata sgomberata dal personale civile fin dal primo pomeriggio e protetta da uno sbarramento di forze dell’ordine. Attaccati due ristoranti della catena McDonald’s, due banche (inclusa una filiale del gruppo italiano Unicredit), mentre la tv riferisce di negozi saccheggiati. Secondo un portavoce delle forze dell’ordine, nei disordini sono rimasti feriti 60 giovani tra cui 15 poliziotti.
Al maxi raduno nella piazza antistante la sede storica dell’ex Parlamento federale jugoslavo, il governo serbo sostiene che i manifestanti fossero addirittura mezzo milione. Sul palco, Vojislav Kostunica ha arriganto la folla che sventolava bandiere e simboli patriottici, immagini di eroi nazionali, vessilli della Chiesa ortodossa e striscioni con la scritta "Il Kosovo è Serbia"."Kosovo è il primo nome della Serbia - ha detto il premier serbo - appartiene alla Serbia e al popolo serbo. Così è stato e sarà sempre", ha aggiunto tra le grida e gli applausi dei presenti che scandivano "Russia, Russia". "La Serbia non è sola nella battaglia per la difesa della sua sovranità sul Kosovo - ha proseguito Kostunica - la Russia e il presidente Putin sono con noi. La Serbia non dimenticherà mai la solidarietà di Mosca né quella di tutti i Paesi che ci hanno sostenuto".
Il primo ministro serbo se l’è presa poi con le potenze occidentali che vogliono "umiliare la Serbia" con il riconoscimento del Kosovo, a dispetto del fatto che Belgrado "ha rispettato tutti i suoi impegni internazionali". "Vogliono la nostra umiliazione e vorrebbero che la firmassimo, ma non lo faremo mai", ha proseguito Kostunica, ribadendo che "nessun governante avrà mai dal popolo serbo il mandato di accettare alcun mercato umiliante" in cambio di una resa sulla perdita della sovranità sul Kosovo.
Accanto al primo ministro, i leader politici, gli intellettuali e gli artisti come il regista Emir Kusturica e di campioni dello sport come Dejan Bodiroga, leggenda del basket serbo e attuale dirigente della Lottomatica Roma. Previsto un messaggio telefonico di Novak Djokovic, astro nascente del tennis mondiale, la cui famiglia è originaria proprio del Kosovo.
* la Repubblica, 21 febbraio 2008(parziale.