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EU-ROPA!!! RIPENSARE L’EUROPA ....

LA SPAGNA, ZAPATERO, E L’ILLUMINISMO - OGGI. IL CORAGGIO DI ESSERE ADULTI E MAGGIORENNI. La democrazia può produrre qualcosa di diverso dalla politica della paura e delle menzogne. L’analisi di Barbara Spinelli - a c. di Federico La Sala

lunedì 10 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] significativo è che Zapatero sia divenuto bersaglio tra i più temuti delle gerarchie cattoliche: soprattutto da quando Ratzinger è Papa. Con Benedetto XVI una parte della Chiesa ha scoperto l’utilità della paura, dello sguardo aggrondato e disastroso sul mondo e sulle libere coscienze. In fondo si è congedata da Giovanni Paolo II, che fu un conservatore sulle questioni morali ma che aveva saputo dire: «Non abbiate paura», come se identificasse in questa passione paralizzante, (...)

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> LA SPAGNA, ZAPATERO, E L’ILLUMINISMO - OGGI. IL CORAGGIO DI ESSERE ADULTI E MAGGIORENNI. La democrazia può produrre qualcosa di diverso dalla politica della paura e delle menzogne. ---- Tramontato Blair, sconfitto Schroeder, travolta la Royal, caduto Prodi, in difficoltà Gordon Brown, l’Europa di centrosinistra si attende che oggi il vento della storia gonfi le vele dell’unico Partito socialista grossomodo ancora tonico, il Psoe di Josè Luis Rodriguez Zapatero (di Guido Rampoldi).

domenica 9 marzo 2008

L’ANALISI

-  La Spagna alle urne sotto shock
-  Tensioni ai funerali di Carrasco

dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI

MADRID - Tramontato Blair, sconfitto Schroeder, travolta la Royal, caduto Prodi, in difficoltà Gordon Brown, l’Europa di centrosinistra si attende che oggi il vento della storia gonfi le vele dell’unico Partito socialista grossomodo ancora tonico, il Psoe di Josè Luis Rodriguez Zapatero. La vittoria di Zapatero nelle elezioni odierne smentirebbe la tendenza europea favorevole al centrodestra, e confermerebbe che un socialismo liberale può vincere anche senza sventolare bandierine a stelle e a strisce, non entrare mai in urto con i cardinali e nascondere il passato, per controverso che esso sia.

All’opposto una sconfitta suonerebbe per il centrodestra come una doppia rivincita. In quel caso, infatti, anche la rocambolesca vittoria di Zapatero nel 2004, contro Aznar e contro i pronostici, ne uscirebbe ridimensionata. Si griderebbe che a decidere l’esito delle urne fu la strage compiuta dal terrorismo islamista nella stazione di Madrid, la tesi con la quale Aznar e il suo Partido popular tuttora spiegano il loro fiasco inatteso. E molti, in primo luogo alcuni vescovi, aggiungerebbero che la Spagna ha finalmente dato il benservito a un estremista che stava minando le basi morali della società, a un nemico dell’Europa cristiana.

Nello stesso Partito socialista spagnolo, la vecchia guardia cercherebbe una rivincita contro chi l’ha emarginata ma non disarmata, quel Zapatero che essa chiama in segreto "Bambi", oppure "Harry Potter", volendo intendere un personaggio inverosimile, infantile, fiabesco come un cartone animato. Ma per la base adorante che in queste settimane affollava i raduni elettorali nelle plazas de toros, è "ZP", Zetapé, il leader più amato - su questo i sondaggi sono univoci - dalle donne e dai giovani. E Zetapé ha battuto in lungo e in largo il Paese con il suo passo da fenicottero, leggero, aereo, etereo. Ha promesso sgravi fiscali e aumenti (delle pensioni, del salario minimo), indifferente ai sarcasmi di chi ironizzava su quell’electoralismo pecuniario. E ovunque ha detto banalità ragguardevoli, ma le ha dette bene, sgranando un bel sorriso giovanile e gli occhioni azzurri che nelle elezioni del 2004 sembrarono l’icona della trasparenza in confronto allo sguardo opaco di Aznar. Altrettanto bene ha nascosto, ci pare, un’idea forte della Spagna, assente nei suoi comizi. Forse non era il caso di confondere l’elettorato con discorsi complicati, però è rimasto oscuro quale sarebbe il segno di uno Zapatero-bis. Quale modello di sviluppo per un’economia che decelera. Quale seguito alle riforme del costume che hanno entusiasmato gli uni e spaventato gli altri. E cosa voglia dire oggi essere un "democratico sociale", formula che Zapatero preferisce ad un termine più tradizionale, socialdemocratico.

Anche per queste incognite non è facile fare un bilancio di questi quattro anni, i primi, o gli ultimi, dell’era Zapatero. Secondo Marco Calamai, uno specialista della sinistra spagnola che ha discusso a lungo con lui, il premier socialista ha messo in coppia il modello socialdemocratico e la tradizione libertaria della Repubblica spenta dalla Guerra civile del 1936-1939. Così ha inaugurato la seconda fase della democrazia spagnola. La prima si aprì con la morte di Franco, nel 1975, e fu obbligata dal peso di un passato lacerante a procedere con "molta concordia e poca memoria", nelle parole di Zapatero. La seconda ha recuperato la memoria senza temere la discordia. Ma tutto questo ha il profilo debole di un progetto ancora incompiuto. E sconta la mancata soluzione di problemi giganteschi.

Il primo dei quali è un sistema di autonomie che incoraggia le ambizioni sfrenate di partitini etnici. Le regioni a statuto autonomo sono 17, e alcune stanno perseguendo una politica centrifuga apertamente anti-spagnola. In campagna elettorale ha fatto clamore il caso di un immobiliarista multato perché l’insegna del suo ufficio, a Barcellona, non era in catalano ma in castigliano, che pure è la lingua ufficiale della Spagna. La questione delle autonomie indirettamente è sfondo anche all’assassinio di un ex consigliere comunale socialista ucciso venerdì dall’Eta nelle province basche, lì dove l’autonomismo ha costruito il clima più favorevole al terrorismo secessionista. Su tutta questa materia il governo si è mostrato incerto e poco coraggioso.

Il Partido popular probabilmente ne avrebbe ricavato maggior vantaggio se anch’esso non fosse, come la destra italiana, un equivoco. Coprendo per intero l’area politica che va da una parte del centro fino all’estrema destra, obbliga a una convivenza opportunistica elettorati assai diversi tra loro, gli ex-franchisti e i liberali, i clericali e i secolarizzati, gli xenofobi e i tolleranti, gli isterici e i flemmatici, i neocon seguaci di Aznar e i realisti che detestano l’ex premier, fino allo scandaloso sindaco di Madrid, Ruiz Gallardon, popolarissimo ma estromesso dalle liste elettorali perché metà del partito lo considera grossomodo un rojo, un rosso!...

Avendo alle spalle questa babele, il capo del Partido popular, Mariano Rajoy, ha condotto una campagna elettorale inevitabilmente goffa ed è passato per quello che non è, uno sciocco. Persona corretta e dotata di senso dello Stato, a suo tempo ottimo ministro degli Interni, tuttavia Rajoy ha deluso tutti. La destra, irritata perché ha rifiutato di unirsi all’anatema contro il matrimonio gay (se diventerà premier, gli è stato chiesto, manterrà quella legge? Non lo so, ha traccheggiato). I liberali, sconcertati perché Rajoy ha scimmiottato la formula cara al nuovo moderatismo europeo, moderatissimo anche nell’uso delle meningi: gli immigrati, ha detto, dovranno fare propri "i costumi degli spagnoli" (quali costumi? La siesta, la corrida, i matrimoni tra omosessuali? E quali sono i tratti che distinguerebbero gli spagnoli, quando perfino gli elettori del Pp rappresentano tutto e il contrario di tutto?).

Tuttavia questi infortuni non impediscono a Rajoy di sperare in un buon risultato. Infatti gli spagnoli in maggioranza votano non per il partito che li convince, ma contro il partito che detestano, destra contro sinistra, come se il franchismo fosse finito ieri, non trent’anni fa. La vittoria o la sconfitta si giocano non tanto sull’abilità di attrarre elettorato fluttuante quanto sulla capacità di sottrarre la base più tiepida alla tentazione dell’astensionismo. Per riuscirvi Pp e Psoe ricorrono allo stesso messaggio: votateci oppure tornano al potere quelli. Per le stesse ragioni una Grosse Koalition in Spagna sembra a tutti impossibile. La destra della destra si ribellerebbe. E il Psoe, valuta il politologo Josep Ramoneda, commetterebbe un suicidio.

* la Repubblica, 9 marzo 2008.


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