La denuncia del governo in esilio al confine indiano. Le autorità cinesi negano
Ansia per la possibile escalation della repressione allo scadere dell’ultimatum
Centinaia di vittime in Tibet
Il Dalai Lama: "Temo il peggio"
di RAIMONDO BULTRINI da DAHRAMSALA *
DHARAMSALA - Sono "centinaia" le vittime della repressione cinese in Tibet. Così ha riferito questa mattina una nota del Parlamento tibetano in esilio a Dharamsala che ha insistito - come il Dalai Lama ieri - nel richiedere una indagine indipendente delle Nazioni Unite e della comunità internazionale sulle conseguenze delle drammatiche proteste dei tibetani di Lhasa e di altre province degli altipiani sotto il controllo cinese. Le autorità di Pechino hanno continuato a negare di aver "usato la forza" e "armi da fuoco" contro i rivoltosi, anche se numerosi testimoni tibetani, stranieri e anche cinesi hanno detto di aver sentito chiaramente numerosi colpi di fucile o pistola in diverse zone della capitale Lhasa di fatto sotto coprifuoco da due giorni.
Anche l’associazione degli ex detenuti politici Gu Chu Sum, che ha sede a Dharamsala, ha parlato di "centinaia di morti", mentre il primo ministro in esilio Samdhong Rinpoche ha ripetuto la valutazione di "almeno cento morti". Ma è praticamente impossibile ogni verifica indipendente. Finora le uniche informazioni di fonte governativa parlano di 13 vittime, soprattutto commercianti e residenti cinesi, e sono stati diffusi in tutta la città i manifesti dove si specificano le "condizioni" per ottenere i benefici di legge per una "riduzione o contrattazione della pena" in caso di autoconsegna alle autorità entro la mezzanotte di oggi.
"Coloro che spontaneamente - recita il manifesto - si presenteranno alla polizia o agli uffici giudiziari prima della mezzanotte del 17 marzo saranno puniti leggermente o avranno una punizione attenuata; coloro che si consegneranno e riveleranno le attività di altri elementi criminali compiranno un atto meritorio e possono evitare la punizione. Gli elementi criminali che non si presentano in tempo saranno puniti severamente secondo legge".
E’ di fatto l’applicazione della "guerra di popolo" proclamata due giorni fa dalle autorità e rivolta soprattutto alla popolazione cinese. Nel proclama la "guerra" è evidentemente estesa anche ai tibetani che in questi giorni si trovano sottoposti, quasi in ogni famiglia, a rappresaglie e ricerche della polizia, e che potrebbero cedere alla paura o al ricatto. L’ultimatum di mezzanotte di fatto sembra più che altro uno stratagemma per intimorire più tibetani possibile, visto che già ieri notte - secondo fonti collegate alle organizzazioni in esilio ma anche in base a video e foto mostrate da diversi media internazionali - parte delle migliaia di poliziotti giunti a Lhasa di rinforzo hanno iniziato "un rastrellamento casa per casa", come ci ha detto un ministro del governo in esilio.
Le conseguenze dopo l’ultimatum potrebbero essere ancora più drammatiche di quelle denunciate dal Parlamento tibetano di Dharamsala, e lo stesso Dalai Lama ha espresso la sua "seria preoccupazione" per quanto potrà accadere. In una breve conversazione avuta questa mattina, il leader spirituale tibetano ha detto di "avere delle sensazioni terribili come quelle dei giorni che precedettero la data del 10 marzo 1959", quando fu costretto a fuggire per la feroce repressione cinese seguita all’insurrezione fallita del popolo di Lhasa, con migliaia e migliaia di vittime.
In questi giorni, oltre alle rivolte di Lhasa, secondo la stessa fonte governativa in esilio, manifestazioni di protesta sono cominciate nelle aree rurali, fuori dalle città in gran parte superpresidiate da soldati cinesi. La più vicina alla capitale nel Tibet centrale si sarebbe svolta a Methokunga, con 7000-10000 partecipanti. In Sichuan sarebbero confermate almeno 10, 14 vittime ad Abe, e altre manifestazioni si sono tenute a Lanchau in Gansu con la partecipazione di ragazzi delle scuole locali. "Ma ormai - ha detto il ministro che preferisce mantenere l’anonimato - la protesta si è estesa a Kardzé, a Jekundo, nell’Amdo, praticamente quasi ovunque".
* la Repubblica, 17 marzo 2008.