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Memoria e Verità. Storia dell’alpinismo...

LA SCALATA DEL K2. AVEVA RAGIONE WALTER BONATTI. Il Cai ha dato il "visto si stampi" alla relazione chiesta nel 2004 a Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi - a cura di Federico La Sala

sabato 29 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Lo sapevano tutti, ma sulla storia non esisteva ancora il timbro del Club alpino italiano. L’associazione ha finalmente dato il "visto si stampi" alla relazione che era stata chiesta nel 2004 a "tre saggi": lo scrittore Fosco Maraini e i docenti universitari Alberto Monticone e Luigi Zanzi. Fra qualche giorno il testo uscirà, pubblicato dall’editore Priuli&Verlucca, con l’introduzione del presidente generale del Cai, Annibale Salsa, le minuziose note esplicative di Zanzi e gli (...)

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> LA SCALATA DEL K2. AVEVA RAGIONE WALTER BONATTI. --- AOSTA. E’ morto Achille Compagnoni, con Lacedelli conquistò il K2 (di Leonardo Bizzarro).

mercoledì 13 maggio 2009

Alpinismo

-  E’ morto Achille Compagnoni con Lacedelli conquistò il K2

Si è spento nella notte a 95 anni, ad Aosta l’alpinista italiano. Alpinista di grande valore ma al centro di grandi polemiche

di LEONARDO BIZZARO *

AOSTA - Se n’è andato Achille Compagnoni. Aveva 94 anni, un posto nella storia dell’alpinismo e dell’Italia, forse uno zaino di rimorsi. Tra qualche tempo, passata l’emozione dell’addio, anche i pochi che fino all’ultimo ne hanno difeso la memoria cominceranno a smontarme la figura. Nella vicenda romanzesca dell’assalto alle grandi montagne, che come un western ha avuto bisogno di figure immediatamente riconoscibili, lui rimarrà per sempre il cattivo. Quello che Ardito Desio aveva scelto fin dall’inizio come predestinato alla vetta del K2, nonostante un curriculum alpinistico non proprio prestigioso e un’età che a quei tempi non sembrava la più adatta a tentare la seconda montagna della Terra. Quello che sotto la cima convinse il suo compagno a spostare la tenda e a non rispondere alle grida di Bonatti, temendo che quest’ultimo, in gran forma, li raggiungesse e salisse con loro a piantare la bandiera, o addirittura li precedesse. Comportamenti che Lacedelli confermò nel 2004, l’anno del cinquantenario, intervistato da Giovanni Cenacchi in un libro che mise a rumore non solo il mondo alpinistico.

Compagnoni no, è rimasto zitto fino alla fine, ha continuato a ripetere lo stesso racconto fatto nel 1954, le stesse righe della relazione ufficiale che compaiono nel libro della spedizione firmato da Ardito Desio. Mezzo secolo dopo, nel gran fiorire d’iniziative editoriali, si limitò a ripubblicare il testo di un suo volumetto fotografico edito allora da Luigi Veronelli - "Uomini sul K2", in copertina solo il particolare delle dita piagate dai congelamenti - senza aggiungere nulla in più sui misteri e il non detto di quella spedizione.

Ma sarebbe ingiusto lasciare che Compagnoni venga sepolto - accadrà venerdì a Cervinia, dov’è sempre vissuto dopo il trasferimento dalla Valfurva - senza sottolinearne comunque il valore. Dopo la salita francese dell’Annapurna nel 1950 e quella inglese dell’Everest tre anni dopo, la vittoria italiana sul K2 appartiene comunque ancora all’epoca di un himalaysmo eroico, un tempo in cui poco si sapeva della fisiologia dell’uomo alle alte quote e muoversi lassù aveva le stesse incognite d’una spedizione sulla luna. Hermann Buhl è considerato alla stregua quasi di un superuomo per essere arrivato lo stesso anno, qualche mese più tardi, da solo sul Nanga Parbat. Compagnoni e Lacedelli non furono da meno. E Buhl, che davvero è stato un fuoriclasse, tirò avanti ingollando Pervitin - l’anfetamina dei piloti in guerra - e the di coca. I due italiani, almeno a leggere il loro racconto, si limitarono a una pastiglia di simpamina prima di scendere dalla vetta, al tramonto.

Doping a parte, il K2 è tuttora una delle montagne più temibili, lo sarebbe anche avesse qualche migliaio di metri in meno. La carneficina dell’estate scorsa, undici alpinisti uccisi dalle valanghe e dalla fatica, è, anche quella se vogliamo, la dimostrazione della grandezza dell’impresa italiana.

Non aveva una carriera alpinistica sfolgorante, Compagnoni, prima del K2. Qualche salita in Valfurva, luogo d’origine, poco di più attorno al Cervino, ai cui piedi si trasferì nel 1934, dopo aver prestato in Val d’Aosta il servizio militare. Al ritorno dal Pakistan, i congelamenti causati dal freddo degli 8611 metri - mentre riprendeva il panorama con una piccola cinepresa, perse la manopola di piumino e in un attimo si ritrovò con le dita bluastre - ne compromisero per sempre il futuro alpinistico. Dopo qualche polemica all’inizio degli anni Sessanta - un’intervista alla Nuova Gazzetta del Popolo di Torino in cui accusa Bonatti di aver abbandonato l’hunza Mahdi, dopo un drammatico bivacco sul filo degli ottomila - sceglie di stare in silenzio. Apre con i familiari un albergo che porta il suo nome, poco distante dal centro di Cervinia. Domani vi sarà allestita la camera ardente.

* la Repubblica, 13 maggio 2009


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