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La politica dell’’antinomia del Mentitore e l’Italia "confusa e agitata" - e offesa e devastata!!!

L’IMMAGINAZIONE IMPAZZITA E LE ALI SPEZZATE. LE ELEZIONI E UN’ITALIA, BLINDATA E BENDATA, CHE CORRE VERSO IL PRECIPIZIO. L’analisi di Barbara Spinelli - a cura di pfls

domenica 30 marzo 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Dell’immaginazione impazzita gran parte dell’Italia è malata, gravemente. Se solo si svegliasse un attimo, vedrebbe le cose come sono: non il Paradiso che desidereremmo, ma i disastri che conviene evitare e gli inferni che prepariamo a figli e nipoti se non ci togliamo in tempo le bende dagli occhi. È più facile certo mentire e far pagare il conto alle generazioni future. Magari vinci anche un’elezione. Ma il precipizio non cambia posto: è nella sua natura restare lì dov’è [...] (...)

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> L’IMMAGINAZIONE IMPAZZITA E LE ALI SPEZZATE. LE ELEZIONI E UN’ITALIA, BLINDATA E BENDATA, CHE CORRE VERSO IL PRECIPIZIO. ---- Se Berlusconi vincesse le elezioni si realizzerebbe il conflitto perfetto (di Furio Colombo).

lunedì 31 marzo 2008

Il conflitto perfetto

di Furio Colombo *

Se Berlusconi vincesse le elezioni si realizzerebbe il conflitto perfetto. Perché non potrebbe più trattarsi di una «svista», qualcosa che è accaduto durante la corsa al potere, qualcosa che sul momento non si poteva evitare ma a cui si porrà rimedio «nei prossimi trenta giorni» (Paolo Mieli), «nei prossimi cento giorni» (Gianfranco Fini), «entro un anno dall’inizio della legislatura» (Franco Frattini, autore di una legge finta).

E anche perché questa volta non si potrebbe parlare di una temporanea disattenzione degli elettori. Chi lo voterà saprà, con esattezza, che sta portando di nuovo al vertice del governo italiano il più esemplare conflitto di interessi che vi sia nel mondo democratico, quello che riguarda il controllo praticamente totale delle fonti di informazione.

Gli elettori potranno invocare il fatto che pochi e poche volte gliene hanno parlato e hanno fatto notare la contraddizione vistosa fra democrazia e conflitto di interessi. Non ci illudiamo sul peso e sulla capacità di persuasione di questo giornale. Né cerchiamo l’alibi dei «io lo avevo detto».

Per chiarezza: condividiamo l’idea che meno si litiga e meglio si discute. Però è impossibile non notare due tratti di comportamento che rende difficile la tanto sognata discussione pacata. L’interessato svicola da ogni possibile confronto con tute le scuse. E quando gli chiedono di commentare un’idea o una proposta dei suoi avversari, prontamente replica che «quelli di sinistra fanno come Stalin». La battuta avrebbe animato il fortunato cinema d’altri tempi detto «commedia all’italiana».

Adesso serve a motivare le tristi e dure parole di Paolo Flores d’Arcais (La Repubblica, 25 marzo) che sarebbe bello - ma è impossibile - definire esagerate: «Se Berlusconi vincerà, il fondamento antifascista della Costituzione sarà irriso, la morsa clericale celebrerà fasti medievali, tolleranza zero verso gli emarginati, impunità totale per gli amici».

Gli risponde (La Repubblica, 26 marzo) Michele Serra: «Un quadro grave che amerei molto poter alleggerire, non fosse che è piuttosto realistico, anche perché descrive processi degenerativi della democrazia già ampiamente in atto». Mi sembra però necessario chiarire un punto della previsione triste di Flores d’Arcais.

Il chiarimento è questo. Il conflitto di interessi non è un vecchio signore di Arcore che vuole tornare a governare. Il conflitto di interessi è il centro di tutto e si ripete e moltiplica in ogni azione, iniziativa, dichiarazione o atto che Berlusconi compie. In altre parole il vero scandalo - adesso, e in un deprecabile futuro che dobbiamo essere capaci di rendere impossibile - è la continuazione del reato. Continuando, quel reato si allarga, occupa spazi sempre nuovi e attrae sottomissioni sempre più vaste, come si nota già adesso, osservando con quanto zelo una parte della borghesia italiana già va a mettersi a disposizione, dalla collocazione in lista ai favori, pur di farsi trovare nel posto giusto in caso di vittoria. Sa benissimo che, se Berlusconi tornerà alle sue ville a i suoi cactus, con il centro sinistra non perde niente. Ma con un leader vendicativo come l’uomo di Mediaset, è bene non farsi trovare dalla parte sbagliata.

Questo hanno notato i grandi giornali stranieri, da The Economist a The Wall Street Journal, esprimendo, persino con candore, la meraviglia per i sondaggi italiani. Si stanno chiedendo ad alta voce: «possibile?». Possibile che gli italiani preferiscano il prodotto usato pur avendo la certificazione internazionale del niente (con danno) che è stato il «berlusconismo»? È ricordato, sempre e da tutti, per l’amabile dialogo dell’allora presidente del Consiglio italiano e presidente del Consiglio d’Europa, con l’eurodeputato tedesco Martin Shultz, definito spiritosamente «Kapò»” dall’uomo di Arcore che ha poi descritto l’intero Parlamento europeo come un luogo frequentato dai «turisti della democrazia» solo perché non lo applaudivano come alle feste a pagamento di Forza Italia e, adesso, del «Popolo delle Libertà»?

***

Ma questo stato di sorpresa, condivisa nell’opinione pubblica europea ripetuta e manifestata dalla Spagna del Pais allo Zeit di Amburgo, è esso stesso prova delle conseguenza (in questo caso percezione distorta dei fatti) del conflitto di interessi.

E il conflitto di interessi, proprio mentre deborda dal suo alveo «normale» (notizie false o taroccate che si sovrappongono alle notizie vere e da cancellare a causa del controllo completo di tutte le fonti di informazione e della gigantesca intimidazione sugli operatori tecnicamente «liberi» che ne consegue) va mostrando, come una malattia non curata, la sua capacità di espandersi e perfezionarsi.

L’espansione si verifica nel momento in cui Berlusconi si impadronisce senza alcuna cautela del problema Alitalia, ne fa una questione elettorale, benché ogni sua dichiarazione abbia riflessi immediati sull’andamento del titolo in Borsa. E annuncia un suo modo di risolvere il problema che è due volte fuori legge. Una prima volta perché il candidato presidente del Consiglio (che oggettivamente è già in conflitto di interesse in quanto è l’uomo più ricco ed economicamente potente in ogni campo del Paese che vuole governare) non esita ad affermare che i suoi figli (i suoi figli) faranno parte di una cordata italiana che sostituirà la sola trattativa finora reale ed esistente, quella con Air France.

Una seconda volta perché nega, pur avendone parlato enfaticamente in televisione, di avere mai nominato i suoi figli, e annuncia in modo disinvolto, con l’espediente di «svelare qualche segreto» a un bravo reporter, una serie di nomi che sarebbero parte della nuova, grande avventura d’affari. Tutto ciò avviene in un articolo di prima pagina, de La Stampa (27 marzo) che reca la firma di un provato specialista delle confidenze di Berlusconi, Augusto Minzolini. Ma Augusto Minzolini è anche un buon amico, o meglio questa è la condizione per continuare a ricevere confidenze. Il 28 marzo si lascia benevolmente smentire. E benevolmente le varie Tv pubbliche e private stanno al gioco, che avrebbe stroncato altrove qualunque candidato: a mano a mano che le persone o gruppi indicati come partner della «cordata» smentiscono. Tutti si prestano a mettere in onda, senza precisazioni ulteriori, l’ultima notizia che Berlusconi decide di dare di se stesso. Afferma che non ha mai detto i nomi che ha detto. A tutti va bene così. Eccoci dunque di fronte al conflitto di interessi perfetto.

Primo, non riguarda solo le notizie, ma - come era stato ripetuto dagli allarmisti solitari che non hanno mai smesso di denunciare questo male terminale della democrazia - si estende apertamente a questioni economiche di grande rilevanza.

Secondo, mentre fa campagna elettorale per diventare presidente del Consiglio, Berlusconi non esita a restare con le mani in pasta in affari che lo riguardano, al punto di coinvolgere i suoi figli.

Terzo, nel farlo altera drammaticamente e gravemente il corso del valore delle azioni Alitalia, una iniziativa che sarebbe duramente contestata e punita in ogni legislazione che non consente il conflitto di interessi, e dunque lo «insider trading» (influenzare il corso di un valore azionario attraverso l’uso delle informazioni che hai o che generi).

Quarto, Berlusconi torna tranquillamente e indisturbato al primo tipo di conflitto di interessi, quello sul controllo delle fonti delle notizie. Di fronte alle smentite e alla prova di ciò che ha detto, annunciato, promesso da candidato elettorale, ma anche potente uomo d’affari, nega tutto. Non solo nega, ma attribuisce a Prodi e al suo governo il reato di cui lui si è reso colpevole. Insinua che lo svolgersi della trattativa in corso fra Alitalia e Air France, approvata dal governo italiano, sarebbe - quella e non le sue piazzate - la causa di un oscillazione dei valori azionari dell’Alitalia.

Detta così la balla è un po’ grossa. Ma per Berlusconi non c’è problema. I mezzi di comunicazione scritti, radiofonici, televisivi glielo passano, e non c’è autorità della concorrenza o le comunicazioni, che, finora, si sia fatta sentire. La vita continua e la probabilità che questo campione usato del conflitto di interessi vinca di nuovo le elezioni, alle quali si candida per la quinta volta benché «over Seventy», è considerata da molti troppo rischiosa per contraddirlo, per dare prova di ciò che ha effettivamente detto, dopo ogni smentita.

***

Vale la pena di osservarlo bene mentre dice - di nuovo senza il minimo riscontro - «Io sono un uomo di fatti, gli altri offrono solo parole», e lo dice con disprezzo rivolto a Veltroni, che è stato, con successo, sindaco della città più bella ma anche più complicata d’Europa.

Chiunque annunciasse una cordata che non esiste, mentre piovono smentite, comprese quelle grosse come una casa di Eni e Mediobanca, sarebbe considerato un «pataccaro», termine romano per coloro che tentano di vendere il Colosseo. Nel gergo americano il pataccaro è un «con-man» abbreviazione di «confidential-man», persona che a parole, ma solo a parole, guadagna attenzione e interesse per qualcosa che è falso o non esiste e comunque nasconde un imbroglio. «L’uomo dei fatti» se la cava, perché per le sue parole non esiste posto di blocco. Ripeto: è questo il conflitto di interessi perfetto.

Ma la storia diventa più interessante se uno si domanda, con la insistenza tipica della stampa americana: «fatti? quali fatti?».

Si potrebbe fare una bella celebrazione dei «fatti di Berlusconi» ricordando come tutto comincia. Comincia prima con un oscura ricchezza divisa in tanti depositi intestati a pensionate, segretarie e sconosciuti vari. Poi con una legge, speciale, unica, quella del governo Craxi, per consentire alle sue tante stazioni Tv locali di diventare «reti». Poi con un periodo di duro ed efficace controllo della televisione di Stato, sua unica concorrente in modo da tenere il concorrente nei limiti desiderati. È l’unico vero risultato dei cinque anni del suo governo, oltre alle leggi ad personam. Con quelle leggi «l’uomo dei fatti» si mette al riparo, attraverso una ulteriore estensione del conflitto di interessi (questa volta fra imputato e giustizia) dalle conseguenze penali di tutte le scorciatoie, sentenze acquistate, corruzione di giudici, falsi in bilancio, fondi neri, in modo da non dover mai pagare le conseguenze delle sue disinvolte iniziative (i fatti di cui si vanta sono quasi sempre reati) o a causa della prescrizione guadagnata dai suoi bravi avvocati, che fanno durare troppo i suoi processi (con la sarcastica collaborazione del premier che si presenta per dire «non lo vedete che devo governare e ho cose più importanti da fare che farmi giudicare?»). O perché i reati sono stati cancellati dal Codice con l’operosa attività dei suoi avvocati divenuti, intanto, membri o presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera e Senato.

Ma è proprio su questo nuovo e interessante fatto politico che il conflitto di interessi, ormai maturo e solido puntello della vita privata, pubblica e politica di Berlusconi (e forse la vera ragione che gli fa desiderare di non abbandonare la politica) mostra tutta la sua forza.

Mi riferisco a una dichiarazione di Gianfranco Fini che ha annunciato, senza ripercussioni e smentite istituzionali che «il 13 aprile sarà la data in cui celebreremo finalmente la vera liberazione d’Italia». Il 13 aprile è il primo dei due giorni delle prossime elezioni, che Fini presume di vincere. Poiché quella dichiarazione è di un post-fascista, l’ostinazione a smentirlo e dunque a vincere queste elezioni dovrebbe farsi ancora più tenace e ostinata, per tanti di noi. Nessun giornale o tv ha autorevolmente detto a Fini che l’Italia è già stata liberata, il 25 aprile, e liberata proprio dall’oppressione degli antenati e predecessori politici del postfascismo.

Sul momento non sapevamo che la frase di Fini precedeva di poco l’annuncio della candidatura sotto le bandiere di Berlusconi (a cui si è piegato e sottomesso anche Fini) del fascista Ciarrapico, che della sua fede fondata sul delitto (Matteotti, Gobetti, Rosselli, Gramsci, Fosse Ardeatine) sulla persecuzione dei nemici politici, sulle leggi razziali, fa un vanto orgoglioso e pubblico. Lo fa, in romanesco bonario, nella città che il 16 ottobre 1943 ha visto scomparire mille e diciassette cittadini ebrei romani (quasi nessuno è tornato) in un silenzio prudente di personaggi piccoli e grandi, un po’ come succede adesso.

Ecco dove il conflitto di interessi diventa perfetto. Una democrazia libera e normale non dà pace a un finto leader democratico che include con onori e fanfara nelle sue liste un fascista dichiarato con la motivazione «mi servono i suoi giornali» (segue, come sempre, smentita). Invece rispetto e silenzio. Chi vorrebbe farsi espellere disturbando il giocatore avversario che intanto è diventato arbitro (arbitro mentre gioca)?

La situazione resterà penosa, umiliante, estranea alla civiltà democratica fino ai giorni 13 e 14 aprile. In quei giorni sarà impegno e dovere di tanti italiani esseri sicuri che Paese e governo tornino a celebrare il 25 aprile, la data in cui Ciarrapico e i padrini del post-fascismo hanno perduto il controllo del Paese e l’Italia è diventata, e potrebbe tornare ad essere, un Paese grande, rispettato e libero.

furiocolombo@unita.it

* l’Unità, Pubblicato il: 30.03.08, Modificato il: 30.03.08 alle ore 8.45


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